Primo maggio, su coraggio. Con il 43% di disoccupazione giovanile - quella propriamente detta, cioè rilevata nella fascia dei 15-24enni in cerca di lavoro - ma sopratutto con un tasso del 30% tra i 18-29enni e, ancor più grave, quasi del 20% tra i 25-34enni, la festa dei lavoratori in Italia ormai da anni anziché celebrare il lavoro che c'è finisce per celebrare la speranza di quello che verrà.
L'anno scorso Giuliano Poletti, da poche settimane a capo del ministero del Lavoro nel neonato governo Renzi, decise di usare il 1° maggio come data simbolica per lanciare il programma Garanzia Giovani, l'iniziativa di matrice europea per contrastare la disoccupazione giovanile e favorire l'occupazione e (termine più vago) l'occupabilità. La Garanzia in Italia prevede che entro quattro mesi gli under 30 senza lavoro e al di fuori di percorsi di istruzione o formazione si vedano offrire dai servizi per l'impiego regionali una proposta di "politica attiva": una offerta di un ulteriore periodo di formazione, un accompagnamento al lavoro, un contratto di apprendistato, una opportunità di tirocinio, un percorso di servizio civile, un sostegno all’autoimprenditorialità, una proposta di mobilità professionale all’interno del territorio nazionale o in Paesi Ue… Insomma, una azione di sostegno attivo per uscire dallo stato di disoccupazione e inattività.
Oggi, a un anno di distanza, sopratutto considerando che solo per l'Italia sul piatto della Garanzia Giovani ci sono 1,5 miliardi di euro, non ci si può esimere dal tracciare un primo bilancio. La Repubblica degli Stagisti ha scelto di farlo ascoltando i giovani, raccogliendo le loro voci, le loro storie: i racconti dei fruitori, effettivi o potenziali, di questa Garanzia Giovani. Attraverso una collaborazione con il centro studi Adapt ha elaborato un questionario online, veloce e anonimo, dando la possibilità a tutti gli under 30 interessati di venire a dire la propria. A questo "monitoraggio informale" hanno partecipato oltre 3mila giovani.
Le loro parole, i loro giudizi, i voti che hanno dato all'iniziativa sono molto importanti. E anche se ovviamente non si tratta di un campione rappresentativo, in quanto la partecipazione al monitoraggio è stata volontaria e dunque assolutamente casuale, quello che questi 3mila giovani hanno raccontato della loro personale esperienza con Garanzia Giovani è prezioso e deve essere messo al centro dell'attenzione, dal ministero e dalle Regioni, in modo da poter correggere in corsa gli errori e le storture, e poter fornire un servizio migliore nei prossimi mesi.
Cos'hanno detto questi giovani finora, lo trovate in una sintesi qui (da pagina 39). Ovviamente il lavoro non è che a metà: seguiremo i nostri 3mila durante i prossimi mesi - con i primi lo stiamo già facendo - attraverso dei questionari di recall, per dar loro modo di raccontarci come sta andando, se ci sono state novità, se il giudizio è cambiato. Questo ci permetterà a fine anno di poter delineare un quadro più completo di cos'abbia veramente voluto dire la Garanzia Giovani nella vita degli under 30 italiani in cerca di lavoro.
Per ora uno degli elementi finora più evidenti, la criticità che con più frequenza i 3mila hanno evidenziato rispondendo al monitoraggio, sta nei tempi enormemente dilatati. Passa cioè troppo tempo dal momento dell'iscrizione online al primo contatto da parte dei servizi per l'impiego, e poi ci sono ancora tempi morti fino al momento della presa in carico, con l'appuntamento di persona e la firma del patto di servizio. E poi ancora tempi morti prima di ricevere una proposta concreta di politica attiva. Il primo obiettivo che ministero e Regioni dovrebbero perseguire, dunque, è quello di velocizzare il sistema.
L'altra grande criticità della Garanzia Giovani sta nella rosa di offerte che si possono e potranno "garantire" a questi giovani partecipanti - che sono, secondo i dati ufficiali, ormai quasi 600mila. Ci sono corsi di formazione adeguati per questi giovani, che diano competenze e specializzazioni in linea con le richieste del mercato di oggi e di domani, e che permettano loro di essere immediatamente più appetibili per le aziende? Ci sono opportunità di stage serie, con progetti formativi interessanti, aziende disponibili ad accogliere stagisti mettendo loro a disposizione tutor preparati e magari anche a offrire uno sbocco occupazionale? E posti di lavoro, contando anche sugli incentivi economici che il programma prevede a favore di chi assume un partecipante di Garanzia Giovani, ne salteranno fuori prima o poi? Per ora c'è poco, e a macchia di leopardo, anche perché il piano si sviluppa Regione per Regione, con differenze anche notevoli.
Molti dei 3mila "monitorati" su questo punto hanno raccontato storie mortificanti, qualcuno si è sentito addirittura suggerire di cercarsi le opportunità da solo e poi andare a farsele "vidimare" al centro per l'impiego. Altri hanno denunciato come il programma sia tarato solo per chi ha bassi titoli di studio, e che vedendo la laurea scritta sul cv alcuni addetti dei centri per l'impiego alzano gli occhi al cielo e invitano a cercare altrove, o addirittura a trasferirsi all'estero.
Nel giorno della Festa del Lavoro, il primo maggio, è bene cercare di capire cosa non sta andando. E ammettere che, se l'intero programma si basa sul servizio di politiche attive del lavoro, non può stare in piedi né tantomeno raggiungere risultati positivi se questo servizio funziona male in partenza. I centri per l'impiego sono al centro della Garanzia Giovani; devono raccogliere le richieste di adesione, smistarle, contattare gli iscritti, chiamarli a colloquio, prenderli in carico, fare un bilancio delle loro competenze, e predisporre per ciascuno di loro una azione specifica, coerente con la formazione pregressa e possibilmente anche con le aspettative.
Devono - dovrebbero - contattare le aziende del proprio territorio, sondarne i bisogni occupazionali, proporre con prontezza i candidati in linea con i requisiti richiesti, farsi protagonisti delle attività di matching tra domanda e offerta di lavoro in maniera propositiva. Tutto ciò non avviene, per ragioni quantitative e qualitative: gli addetti dei centri per l'impiego italiani sono numericamente troppo pochi, e nella maggioranza dei casi non hanno competenze adeguate. Alcuni singoli cpi, o alcune zone dell'Italia, fanno eccezione: hanno costruito in questi anni un dialogo con il proprio territorio, accresciuto la formazione delle proprie risorse, e sono in grado di fornire servizi efficienti ed efficaci. La maggioranza però galleggia appena sopra la soglia della sufficienza, limitandosi a sbrigare il minimo indispensabile, a fare da supporto ai disoccupati che percepiscono sussidi e che hanno bisogno della certificazione del loro status. Mancano drammaticamente, di fatto, le politiche attive.
In questo quadro inserire un capitolo di lavoro in più, la Garanzia Giovani, con i suoi 600mila iscritti - di cui una buona metà finora sconosciuta ai centri per l'impiego - è stato come, dopo un terribile incidente automobilistico, convogliare decine di ambulanze piene di feriti gravi verso un piccolo ospedale di campagna, con attrezzature scarse, pochi medici non addestrati alle emergenze, e già tutti i letti occupati.
L'unica soluzione per festeggiare degnamente, insieme al 1° maggio, anche il primo compleanno della Garanzia Giovani è smettere di pensare che la riforma dei centri per l'impiego possa avvenire «senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Dare ai cittadini un buon servizio di sostegno nella ricerca di un impiego, a cominciare dai giovani che in GG continuano a nutrire una speranza, non può materialmente avvenire gratis.
Ci vogliono nuovi addetti, più preparati (perché non assumere, con un po' dei soldi del prefinanziamento della Garanzia appena aumentato dall'Unione europea, qualche addetto a tempo determinato - con una solida esperienza maturata nelle agenzie per il lavoro private - che finalmente dia vita agli annunciati "Youth Corner" all'interno dei cpi?). Ci vogliono strumentazioni informatiche al passo coi tempi, che aiutino chi lavora all'interno dei cpi a mappare il tessuto imprenditoriale circostante e a "matchare" velocemente i profili dei disoccupati con quello delle richieste delle aziende. Ci vuole formazione per i dipendenti già al lavoro, affinché diventino più capaci e veloci. Ci vuole un sistema meritocratico che incentivi i cpi a lavorare bene, anche legando una parte dello stipendio di manager e addetti ai risultati raggiunti. Perché nessun giovane si debba più sentir dire "trovati lo stage da solo e poi vienicelo a dire".
Primo maggio, su coraggio ministro Poletti: la strada per rendere Garanzia Giovani davvero una garanzia, e in generale per dotare l'Italia di servizi all'impiego degni della media europea, è ancora lunga.
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