Se il negozio ti obbliga a dichiarare che sei davvero un autonomo (anche se non lo sei)

Ilaria Costantini

Ilaria Costantini

Scritto il 08 Ago 2012 in Notizie

A meno di un mese dall’entrata in vigore la riforma Fornero ha già iniziato a dispiegare i primi effetti su alcune categorie di atipici. Le notizie che arrivano dal fronte degli associati in partecipazione non sono però tutte positive: in Piemonte la catena Poltronesofà ha appena interrotto il rapporto di lavoro con tre associati colpevoli di essersi rifiutati di certificare, dinanzi ad un’apposita commissione, la loro posizione di lavoratori autonomi.
La risoluzione dei tre contratti è avvenuta proprio in seguito all’applicazione di un comma – il n. 29 dell’articolo 1 – inserito in extremis nel corpo della 92/2012, che dallo scorso 18 luglio ha limitato ad un massimo di 3 il numero di persone inquadrabili da ciascuna impresa come associati (si fa eccezione per i coniugi,  i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado del titolare). In caso di violazione – prescrive ora il legislatore - il rapporto di lavoro sarà da considerarsi a tutti gli effetti di tipo subordinato a tempo indeterminato. Una norma che ha prevedibilmente messo in allarme migliaia di esercenti, ma soprattutto molti grandi marchi operanti in Italia attraverso punti vendita in franchising. Perché è proprio qui, secondo la campagna Dissociati! recentemente conclusa dalla Cgil, che è oggi impiegata una quota rilevantissima di associati in partecipazione. Lavoratori formalmente autonomi, assimilati da questo contratto ad una sorta di “soci” del datore di lavoro, per il quale svolgono in realtà mansioni di semplici dipendenti: ma con meno diritti, retribuzioni inferiori e tutti i rischi collegati alla partecipazione ad un'impresa commerciale.
In questo quadro il comma 29 concede un'ulteriore deroga per i contratti di associazione già esistenti: fino al momento dell’entrata in vigore della legge, al datore di lavoro si dà infatti la possibilità di sottoscrivere congiuntamente con il lavoratore una "certificazione volontaria" presso una delle apposite commissioni territoriali introdotte nel 2003 (dal decreto legislativo 276 e precisamente dagli articoli 75 e seguenti), blindando di fatto le condizioni del contratto fino alla sua scadenza naturale. «La certificazione consiste nel confermare che è corretto il rapporto di lavoro come associato nel modo in cui si svolge» spiega alla Repubblica degli Stagisti il segretario generale della Nidil-Cgil di Torino Eric Poli, «dando così all'impresa la possibilità di non adeguarsi immediatamente alle nuove norme»
. Come molte altre aziende anche Poltronesofà ha deciso di approfittare dell'opportunità concessa e nelle scorse settimane si è rivolta alla commissione di certificazione istituita dalla fondazione Marco Biagi dell’università di Modena e Reggio Emilia.
«Ci è stata consegnata un’istanza da firmare e un modulo allegato in cui si chiedeva di specificare una serie di dati relativi al rapporto di lavoro» racconta alla Repubblica degli Stagisti Laura (il nome è di fantasia), ex associata del punto vendita Poltronesofà di Beinasco, alle porte di Torino, gestito direttamente dal marchio grazie all'apporto lavorativo di sei associati, oggi guardacaso ridotti esattamente a tre. «Nel questionario si chiedeva se avevamo vincoli stringenti di orario, se ricevevamo ordini specifici e reiterati inerenti la nostra prestazione lavorativa, se dovevamo dare comunicazione in caso di assenza». In parole povere se il contratto in questione avesse o meno le caratteristiche della subordinazione.
«Peccato che le risposte fossero già state precompilate in modo conveniente all’azienda» rivela Laura. «La nostra partecipazione agli utili aziendali [una delle caratteristiche qualificanti il "vero" associato, ndr] consisteva esclusivamente nelle provvigioni per le vendite. Sul luogo di lavoro dovevamo rispondere ad un capo negozio e ad un capoarea, comunicare l’eventuale assenza e in qualunque momento l’azienda poteva effettuare controlli sulle divise e sul nostro badge». Per un contratto part time che formalmente prevedeva 32 ore lavorative settimanali -  «niente pagamento di straordinari e domeniche obbligatoriamente lavorative da due anni» -  la busta paga poteva arrivare a 1.200 euro: non proprio il lauto stipendio degno di un socio di un famoso marchio del made in Italy.
«Insieme ad un'altra collega ci siamo rifiutate di accettare il modulo precompilato. Un terzo collega ha invece accettato di firmare, ma ricompilandolo in maniera veritiera. Non è cambiato granché: l’azienda ha chiesto a tutti e tre di firmare le dimissioni volontarie e al nostro rifiuto ha cambiato immediatamente tutte le password di accesso e persino la serratura del negozio».
Sarà ora il giudice del lavoro a stabilire se Potronesofà si sia comportata correttamente nei confronti dei tre associati di Beinasco, considerato anche che «lo stesso punto vendita aveva subito ben due verifiche dell’ispettorato del lavoro che avevano già messo in luce irregolarità contrattuali» sottolinea Eric Poli [nella foto a fianco]. Non solo: a quanto risulta al sindacato un trattamento analogo è stato riservato in tutta Italia a diversi altri lavoratori impiegati in punti vendita in franching dello stesso marchio. Quanto alla commissione di certificazione intitolata a Marco Biagi - e composta da illustri docenti universitari - si dovrà probabilmente stabilire se abbia svolto la propria funzione «in assoluta trasparenza e imparzialità», così come prescritto dall'apposita carta dei servizi. Raggiunto al telefono, uno dei componenti, il ricercatore Alberto Russo, ha assicurato che i moduli consegnati ai lavoratori non erano stati precompilati, precisando che per la stessa azienda la commissione ha eseguito circa 200 certificazioni analoghe.
La vicenda di Beinasco solleva tuttavia il sospetto che il periodo ponte concesso dal governo per i contratti di associazione già in essere si sia risolto in molti casi in ulteriori pressioni e ricatti, ai danni di una categoria di atipici talmente debole sotto il profilo contrattuale da aver inizialmente indotto gli stessi autori della riforma ad ipotizzare la loro completa scomparsa.
La soluzione di mediazione raggiunta alla fine sul tetto dei tre associati inizia tuttavia a produrre anche qualche timido effetto positivo. «A metà luglio siamo riusciti a chiudere un accordo con la catena Tracks Retail  attiva con un centinaio di punti vendita nel settore dell’abbigliamento» annuncia Poli, «che ha deciso di assumere a tempo indeterminato trenta associati». Un primo segnale nella giusta direzione, anche se la strada per sanare la posizione degli oltre 50mila associati italiani resta ancora molto lunga.

Ilaria Costantini

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