Marianna Lepore
Scritto il 24 Mag 2022 in Notizie
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Poco meno di quaranta giorni: tanto manca alla deadline per il varo delle linee guida che dovrebbero limitare i tirocini extracurriculari. E arriva la mossa della Regione Veneto che, contestando le indicazioni che il Governo ha inserito nell’ultima legge di bilancio, presenta ricorso alla Corte Costituzionale. Il processo di scrittura delle nuove regole da parte delle Regioni ora si ferma, in attesa della pronuncia della Corte.
La legge di bilancio 2022 ha dato alle Regioni 180 giorni per formulare nuove linee guida per l’attivazione dei tirocini extracurriculari, chiedendo di circoscriverli alle persone con difficoltà di inclusione sociale. In realtà il dibattito in Conferenza Stato Regioni è fermo al palo. Solo otto – Campania, Abruzzo, Liguria, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Sicilia e Puglia – hanno ad oggi risposto alle domande della Repubblica degli Stagisti, e si sono tutte dichiarate concordi nel non voler creare una disciplina troppo rigida.
In questo contesto di “protesta” delle Regioni si cala il ricorso del Veneto. La giunta regionale, infatti, con la deliberazione numero 148 del 2022 ha autorizzato il Presidente – il leghista Luca Zaia – a promuovere ricorso per illegittimità costituzionale. È bene precisare che i punti sollevati non riguardano esclusivamente la questione dei destinatari degli stage extracurricolari, ma in generale la decisione del governo Draghi di legiferare su un tema di competenza “residuale” (così si dice in gergo tecnico) delle Regioni. Nel testo della delibera di giunta si legge infatti che «i criteri previsti per la determinazione di tali linee guida sono idonei a limitare in modo cogente e irragionevole la competenza regionale esclusiva in materia di formazione professionale, con conseguente violazione dell’articolo 117, comma 4, della Costituzione della Repubblica Italiana».
L’articolo in questione prevede che la formazione professionale rientri tra le materie di legislazione concorrente per le quali «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».
Il comma 721 della legge di Bilancio – da cui nasce lo scontro tra governo centrale e Regioni – prevede, invece, che si trovi un accordo per definire nuove linee guida sui tirocini extracurriculari «secondo criteri che ne circoscrivano l’applicazione in favore di soggetti con difficoltà di inclusione sociale». Ed è proprio questo il pomo della discordia. La Regione Veneto osserva come l’applicazione dei tirocini extracurriculari circoscritta in favore di soggetti con difficoltà di inclusione sociale «esclude alla radice la possibilità di introdurre in sede di accordo o di attuazione dello stesso ogni diversa scelta formativa che le regioni intendessero intraprendere» venendo meno al «principio di leale collaborazione di cui all’articolo 120 della Costituzione, solo all’apparenza rispettato, ma nella sostanza eliso dalla legge statale».
In pratica, osserva la Regione Veneto (che proprio pochi mesi fa aveva bocciato una mozione presentata dalla minoranza – a prima firma Vanessa Camani del Partito Democratico – che chiedeva un impegno della Regione per limitare l'abuso dei tirocini), il provvedimento governativo non lascia libero arbitrio nella riscrittura delle linee guida perché, chiedendo esplicitamente di restringere l’applicazione dei tirocini ai soli “soggetti con difficoltà di inclusione sociale”, obbliga di fatto a limitarne l’uso a una platea molto limitata, senza lasciare alle Regioni la libertà di decidere sfumature diverse nell’applicazione.
L’unica soluzione alternativa sarebbe forzare il concetto di soggetti con difficoltà di inclusione sociale, allargandolo, come già l’assessore al lavoro della Regione Siciliana Antonio Schiavone aveva ipotizzato nella sua risposta alla Repubblica degli Stagisti – «ampliandone l’accezione a donne, disoccupati di lunga durata, soggetti con disabilità, giovani con meno di trent'anni e lavoratori ultracinquantenni».
In entrambe le situazioni, però, si rischia di esagerare: nel primo caso si avrebbe un numero limitatissimo di tirocini extracurriculari, nel secondo si finirebbe per includere in un’unica categoria di “vulnerabili” un’eterogeneità di soggetti – alcuni dei quali tutt'altro che vulnerabili, e a nessun rischio di esclusione sociale.
Secondo l’ultimo studio condotto nel novembre 2021 dall’Osservatorio di Veneto Lavoro, ente regionale a cui sono attribuite le funzioni di direzione e monitoraggio della rete pubblica dei servizi per il lavoro, ogni anno nella Regione sono attivati oltre 40mila tirocini. Questo tipo di esperienza si rivela un efficace strumento di inserimento lavorativo visto che a «un anno dalla sua conclusione il 76 per cento dei tirocinanti trova lavoro o attiva un nuovo stage».
Nel report che analizza il quadriennio 2016-2020 si legge che dei circa 165mila tirocini conclusi nel quadriennio in esame, in 126mila hanno avuto un nuovo contratto di lavoro o un nuovo stage nei 12 mesi seguenti. Nel 2019, per esempio, il numero totale di tirocinanti è stato di 30mila, di questi hanno avuto uno sbocco occupazionale entro un mese dalla fine dello stage in 19mila, in quasi tre quarti dei casi nella stessa azienda in cui hanno svolto il tirocinio.
Non è la prima volta che lo Stato si occupa di tirocini e che le Regioni si “ribellano” interpellando la Corte Costituzionale perché sanzioni l'invasione di campo. C'è il precedente del ricorso che nel 2012 Toscana, Emilia Romagna, Liguria, Umbria e Sardegna fecero all'articolo 11 del decreto legge 138/2011 sugli stage, che aveva escluso i diplomati e laureati da oltre dodici mesi dalla possibilità di fare questo tipo di percorsi, e che aveva ridotto a un massimo di sei mesi la durata di tutti gli stage extracurriculari. In quella occasione la Corte aveva accolto il ricorso stabilendo che la normativa in esame costituiva «un’indebita invasione dello Stato in una materia di competenza residuale delle Regioni».
Ma la situazione adesso è diversa? La valutazione è in mano ai giudici della Corte, che dovranno decidere se accogliere o meno il ricorso. Se dovessero accoglierlo, di fatto le attuali linee guida resterebbero in vigore e quanto prescritto in legge di Bilancio non avrebbe più valore.
Se invece decidessero di mantenere quanto previsto dal Governo, allora il dibattito in Conferenza Stato Regioni riprenderà lì dove al momento si è arenato: chi sono i soggetti con difficoltà di inclusione sociale? E dalla risposta a questa domanda, quindi dall’interpretazione restrittiva o meno del concetto di “difficoltà”, dipenderà il futuro di questo strumento di inserimento lavorativo.
Marianna Lepore
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