Rita Ghedini, classe 1960, dal 2008 è parlamentare del Partito democratico. Arrivata in Senato dopo una ventennale esperienza nel settore delle cooperative sociali nella sua Emilia Romagna, nella scorsa legislatura è stata incaricata dal gruppo Pd dei rapporti con le commissioni economiche all’interno della Commissione Lavoro. Lo scorso dicembre si è presentata alle primarie Pd e oltre 6mila preferenze le hanno permesso di tornare in Senato.
Si aspettava un risultato elettorale così?
No. Sapevamo di giocare una partita difficile, ma francamente non immaginavamo la situazione di paralisi.
Ma in questi giorni il Parlamento può davvero lavorare?
Noi siamo una Repubblica fondata sull'esistenza di tre poteri, indipendenti ma fortemente relazionati fra loro per l'equilibrio complessivo delle istituzioni: quindi non è vero che un parlamento può lavorare senza governo. Il parlamento però può fare, come sta facendo in questi giorni, delle attività di sostegno e di verifica all'ordinaria amministrazione del governo che continua ad essere in carica, e può occuparsi di questioni urgenti. Ma è evidente che senza governo tutte le misure ad esempio di politica economica e del lavoro, di cui c'è un bisogno drammatico, non possono essere assunte.
Lei ha presentato nei giorni scorsi al Senato una serie di ddl: per contrastare le dimissioni in bianco, per estendere l'Aspi ai precari e la maternità alle lavoratrici atipiche. Questi ddl hanno lei come primo firmatario e poi una serie di altri senatori Pd, o hanno avuto una genesi bipartisan?
In questa fase, nei primi giorni della legislatura, io ho presentato alcuni disegni di legge che sono il frutto di una gestazione all'interno del nostro gruppo parlamentare della precedente legislatura, riveduti e corretti sulla base delle istanze che noi abbiamo portato avanti in campagna elettorale. Dunque in questa fase sono stati presentati come ddl sottoscritti da senatori del Pd. Tutti i disegni di legge in questo momento sono in fase di drafting ed è ovviamente mia intenzione sottoporli anche alla valutazione dei colleghi degli altri gruppi parlamentari. Nutro alcune aspettative, positive o negative, rispetto alle forze che erano già in Parlamento: per esempio sulla estensione delle norme di contrasto alle dimissioni in bianco per i parasubordinati il confronto con il Pdl l'avevamo già fatto al giro precedente e loro non erano favorevoli. Riproverò a sottoporglielo, ma non mi aspetto grande disponibilità. Mentre ho qualche aspettativa nei confronti degli altri partiti della coalizione e perché no, se dovessero cadere le preclusioni tattiche della fase, anche nei confronti di esponenti del Movimento 5 Stelle. Per quel che riguarda l'estensione delle tutele per maternità, spero che quantomeno la componente femminile - largamente presente in questa legislatura - possa aderire trasversalmente. Mentre per l'estensione dell'Aspi l'aspettativa si limita alla compagine di centrosinistra, e forse - con la premessa che facevo già prima - al Movimento 5 Stelle.
Una sua proposta per sostenere il lavoro femminile è un investimento per l'avvio di asili nido e servizi all'infanzia. Oggi la copertura dei posti nei nidi è circa al 10% in Italia, cioè un posto ogni 10 neonati, contro il 30% della media europea. Avete calcolato quanto un intervento del genere potrebbe far salire l'occupazione femminile?
Io sono emiliana, e la mia regione ne è la prova provata. L’Emilia Romagna centra gli obiettivi di Lisbona con un 33% di copertura nidi e più del 60% di occupazione femminile. È chiaro che dove non ci sono nidi le donne restano a casa perché non possono fare altrimenti; l'ultimo ministro che si è occupato della questione è stata la Bindi, nel 2007, con il piano straordinario per la creazione di nuovi nidi. Piano che non è stato più rifinanziato dai successivi governi e che il Pd nelle sue proposte è pronto a far ripartire.
Avete fatto un calcolo rispetto a quanti posti di lavoro si aprirebbero aprendo asili nido? L’investimento si tradurrebbe anche in nuovi posti di lavoro?
Mi piace richiamare alcuni indicatori elaborati dalla Banca d’Italia: se il tasso di occupazione maschile e femminile fossero uguali si avrebbe un aumento del Pil di 17 punti percentuali; 100 posti di lavoro femminili ne generano in realtà 115 grazie al processo di esternalizzazione del lavoro di cura. È chiaro il meccanismo: se una donna lavora non solo c'è un più uno nelle statistiche degli occupati ma quelle cose che generalmente faceva a casa in termini di cura della casa, della prole e degli anziani dovranno essere affidate ad altri: e quindi nuovi asilo, case per anziani, centri diurni, personale che viene a casa per fare pulizie.
Passiamo a un elemento limitrofo, la copertura della maternità. Lei propone una copertura del periodo di maternità per le lavoratrici autonome parasubordinate e le imprenditrici. Dall’approfondimento della Repubblica degli Stagisti su questo tema è emerso che mentre chi è iscritto alle casse previdenziali di categoria è abbastanza tutelato, chi fa riferimento alla gestione separata Inps ha un percorso molto più difficoltoso per ottenere l'indennità, che peraltro ha un importo anche più basso. Come si incide su questa sperequazione?
Il tentativo del disegno di legge è esattamente questo: estendere innanzitutto alle lavoratrici iscritte alla gestione separata le stesse tutele delle dipendenti. Quindi una pari copertura del periodo di astensione obbligatoria e dell'accesso ai congedi parentali, quelli che una volta si chiamavano "astensione facoltativa", che in questo momento sono del tutto inaccessibili per le iscritte alla gestione separata. La questione poi delle lavoratrici autonome iscritte alle casse ordinistiche e delle imprenditrici è variegata e dipende dai trattamenti previsti dalle singole casse: qui l'idea è quella di fare interventi di omogeneizzazione e di compensazione. Per le imprenditrici il tema è sopratutto quello della facilitazione delle modalità di gestione del periodo di maternità: non parlo in questo caso di "astensione", qui la priorità è legata sopratutto al mantenimento dell'attività professionale / imprenditoriale. Ci sono poi alcuni casi specifici di totale scopertura sui quali occorre intervenire, per esempio le mediche di medicina generale non hanno nessun tipo di copertura. Ma non sono le uniche: anche le assegniste di ricerca sono prive di tutele.
Tutelare vuol dire dare dei soldi alla neomamma, per non lasciarla senza reddito nel momento in cui partorisce e si prende cura del neonato, ma anche non farle perdere il posto di lavoro. Però come si fa coi cocopro e le collaborazioni a partita Iva? Questi contratti per loro natura possono essere sciolti senza problemi: tutelare queste lavoratrici per quanto riguarda la continuità del posto di lavoro quando restano incinte è dunque impossibile?
No, io credo che ci sia un modo. In un ddl che avevo presentato nella legislatura precedente e che sto rielaborando ho inserito il concetto di "giusta causa" tradotto in termini civilistici anche per i rapporti autonomi, con riferimento in particolare alle condizioni di maternità anche per i contratti parasubordinati e per le committenze legate al lavoro autonomo. Il tema è quello di non annoverare tra le cause di impossibilità a rendere la prestazione - perché questa è l'attuale disciplina - la condizione di maternità. Quindi proteggere la condizione di maternità dalla possibilità di revoca della committenza.
Per quanto riguarda il congedo di paternità, lei propone nel suo ddl di introdurre 15 giorni obbligatori. E quell'unico giorno previsto dalla riforma Fornero ha comunque un suo senso o è una foglia di fico?
Tentiamo di leggere il bicchiere mezzo pieno e diciamo che quel giorno ha posto il tema. Poi è ovvio che, in una situazione di arretratezza terribile rispetto alla condivisione delle responsabilità, è stato letto quasi come una provocazione. La battuta che circolava è "abbiamo regalato un giorno di ferie in più agli uomini". Però io continuo a pensare che siccome c'è una situazione di forte arretratezza culturale rispetto a questo problema, almeno abbiamo "postato un titolo". Dopodichè l'obiettivo minimo è quello di arrivare alla misura europea, ed è quello che proponiamo nel disegno di legge. Vorrei aggiungere due cose che il tema del congedo obbligatorio di paternità richiama. È considerato ovvio - e questo dice molto della diversa considerazione degli obblighi e delle responsabilità di cura e della loro condivisione - che nel predisporre la misura del congedo di paternità obbligatorio sia stata prevista l'entità della copertura economica dei giorni di distacco al 100%. Nella mia proposta considero indispensabile calcolare al 100% anche l'indennità per il distacco delle madri, e aumentare almeno al 50% quella per i periodi di congedo parentale. Perché altrimenti la fruizione di quest'ultima modalità rimarrà inaccessibile ai più e alle più e sicuramente e continuerà a costituire ostacolo per la scelta delle donne. Il tema è quello di rendere possibile la scelta di maternità. La maggior parte delle giovani donne ormai non è più in condizione di praticare questa scelta. La valorizzazione della scelta di maternità come valore collettivo passa anche attraverso - e questo è il terzo pilastro della proposta - lo spostamento sulla fiscalità generale di una quota del costo.
Qualcuno potrebbe obiettare: tutto belle queste proposte, ma tutte costose. Avete calcolato quanto costerebbero e come potrebbero essere finanziate?
Calcolando sui cinque anni, la proposta che riguarda l'estensione delle tutele di maternità, compresi i 15 giorni di paternità obbligatoria, costa circa 2 miliardi. Includendo anche l'intervento sui nidi il costo raddoppia: 200 milioni all’anno, dunque un miliardo, per i nidi in sé e un altro complessivo per l'incremento delle tutele per i periodi di astensione facoltativa.
E per l'apertura dell'Aspi ai parasubordinati?
Per questa estensione, contenuta in un altro ddl, il costo dipende dalle platee. Il calcolo è più approssimato, ed è in questo momento, considerando solo l'estensione agli iscritti alla gestione separata, intorno ad altri 2 miliardi circa. Le modalità di finanziamento che abbiamo immaginato in questo momento lavorano tutte su una variazione delle poste fiscali, cioè su una diversa distribuzione della fiscalità, su un aumento del prelievo sui patrimoni e su una diversa modulazione delle aliquote fiscali. Diciamo che la copertura di queste proposte - la maternità, gli ammortizzatori sociali - trova il suo finanziamento nella proposta di riforma fiscale del Partito democratico.
Su Facebook da qualche giorno gira un'immagine che rappresenta graficamente le proposte di legge presentate dai vari gruppi parlamentari in queste prime settimane di legislatura: la denuncia è che il M5S non ne abbia presentata nemmeno una. Adriano Zaccagnini, deputato grillino, si è difeso su Fb dicendo che in questa fase il Movimento non ha personale amministrativo e legislativo adeguato alla presentazione di proposte di legge. E ha contrattaccato denunciando che se volessero assumere delle persone, sarebbero obbligati a sceglierle in due elenchi prestabiliti di persone già dipendenti delle Camere. Ma quindi le leggi non le scrivete voi parlamentari?
Le leggi le scriviamo noi parlamentari, ovviamente supportati da esperti di legislazione per la formalizzazione dell'estensione, e da esperti di settore per i vari ambiti. Ognuno utilizza le forme di consulenza che ritiene. Con me hanno lavorato come collaboratrici nella precedente legislatura una esperta di diritto del lavoro e una di diritto costituzionale, e quest'ultima sta continuando a lavorare con me anche in questa nuova legislatura.
E queste due esperte erano dentro gli elenchi di persone prestabiliti?
No. La questione posta dagli eletti del M5S riguarda personale che aveva rapporti di collaborazione con la struttura del Senato o della Camera, e che dovrebbe andare in priorità rispetto alle nuove assunzioni che fanno riferimento alla struttura delle due Camere. Parliamo dei collaboratori dei deputati e dei senatori che fanno parte degli uffici di presidenza piuttosto che dei gruppi parlamentari. Non si tratta dunque dei collaboratori dei singoli parlamentari. Io come singolo parlamentare mi avvalgo di collaboratori che remunero con la quota che viene trasferita sia ai deputati sia ai senatori esattamente per la retribuzione dei collaboratori. Se i deputati o i senatori 5 stelle volessero fare contratti e assumere ciascuno un paio di collaboratori, avrebbero le risorse per farlo.
intervista di Eleonora Voltolina
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