Commercialisti: «Governo maldestro sul praticantato, durata e compenso normati male»

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 13 Giu 2012 in Interviste

Il decreto liberalizzazioni all'articolo 9 ha previsto alcune modifiche rispetto al tirocinio per l'accesso alle professioni regolamentate: l'introduzione di un obbligo di compenso e un significativo cambiamento rispetto alla durata massima, ridotta a 18 mesi - letteralmente dimezzando il praticantato per i commercialisti che fino a ieri ne durava ben 36. La polemica più recente è divampata proprio rispetto alla interpretazione della retroattività di questa riduzione: i praticanti attuali (in prima linea commercialisti e avvocati) speravano di venir ricompresi, invece un parere del ministero della Giustizia - riconfermato anche da una lettera del ministero dell'Istruzione - ha dato indicazione contraria. Tutti i percorsi avviati prima del 24 gennaio 2012 dovranno avere la durata precedentemente stabilita.
La Repubblica degli Stagisti ha chiesto ad Andrea Bonechi, delegato alla riforma della professioni per il Consiglio nazionale dei commercialisti, un commento sulle novità dal punto di vista dei 113mila commercialisti italiani. Bonechi, classe 1968, iscritto all'Ordine dal 1994, è stato presidente dell'Unione giovani dottori commercialisti di Pistoia e componente della giunta nazionale dell'Unione nazionale giovani dottori commercialisti. Conosce dunque molto da vicino i problemi e le istanze dei praticanti, che ad oggi sono 24mila.

stage lavoroL'articolo 9 comma 4
della legge 27/2012 recita: «Al tirocinante è riconosciuto un rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio». Come valutate questa novità?
Non positivamente, perché il decreto interviene sulla pratica professionale a dir poco maldestramente. Innanzitutto esso non corregge la norma del decreto legge 138/2011, la manovra di Ferragosto, bensì ne introduce una nuova: il che ha creato solo confusione. Rispetto al tirocinio il decreto 138 già aveva disposto che dovesse essere integrato con l'università ed essere equamente compensato. Ora mi chiedo a cosa è servito rimuovere la dicitura «equo compenso» e inserire «rimborso spese»: il cambiamento di termine penalizza il giovane, che da un auspicato compenso passa a vedersi solamente rimborsate le spese.

Ma «compenso» e «rimborso spese forfettariamente concordato» sono due concetti praticamente identici, perché qui non si parla di un rimborso «a pié di lista»: quindi non si parla solo delle spese concretamente sostenute.
Se fosse stato uguale, perché cambiare? Si modifica una norma di legge quando si vuole dire una cosa diversa. È vero che rimborso spese non è «a pié di lista» bensì «forfettario», ma comunque si presuppone a copertura di spese. Un esempio: un mio tirocinante sta a 20 chilometri dallo studio e un altro abita qui dietro. Io con la vecchia formulazione avrei dotato i due di un compenso proporzionato alla utilità portata da ciascuno allo studio. Con la nuova norma invece dovrei fissare un rimborso spese forfettario, e a quello che sta dietro lo studio sostanzialmente non dovrei niente. Perché il compenso va parametrato al lavoro, ancorché svolto nella fase di tirocinio; mentre il rimborso spese va parametrato su quanto si spende per andarci, a lavorare.

Peraltro già il vostro Codice deontologico conteneva una prescrizione di questo tipo: «il dottore commercialista non mancherà di attribuire al praticante somme, a titolo di borsa di studio, per favorire ed incentivare l’impegno e l’assiduità dell’attività svolta». In passato avevate mai svolto ricognizioni per scoprire quanti vostri iscritti ottemperavano a questo articolo?

Statistiche non ne abbiamo fatte. Però non abbiamo praticamente mai ricevuto lamentele da parte dei tirocinanti. Non escludo che qualche collega possa essere stato inadempiente, ma si tratta di un fenomeno marginale. Laddove fosse diffuso il malcostume di non pagare ci sarebbero segnalazioni agli Ordini, questo è poco ma certo. Molti Ordini verificano con colloqui periodici l'effettivo svolgimento del tirocinio: in quei contesti spesso viene chiesto se c'è una corresponsione economica. È in altre professioni che questo fenomeno è dilagante.

Ora che l'obbligo del compenso è contenuto in una legge dello Stato, ritenete immediatamente operativa questa prescrizione?

Sì.

Avete già effettuato azioni specifiche - per esempio una circolare - per assicurarvi che i vostri iscritti si adeguino?

No, perché la legge è legge. Sulle liberalizzazioni e sulla riforma degli ordinamenti ci sono  circolari, interventi informativi, pubblicazioni, se ne parla ad ogni evento pubblico. Mandare una circolare per rammentarlo sarebbe quasi offensivo.

Suggerirete una cifra standard da erogare ai praticanti?

Assolutamente no. Non è stato fatto in passato sulla norma deontologica, e neppure sarebbe stato fatto sull'equo compenso. Ciascun nostro iscritto deve sapersi regolare in maniera autonoma.

In caso vi arrivassero segnalazioni di commercialisti ancora restii a erogare un compenso ai praticanti - quelle segnalazioni che lei mi ha detto fino ad oggi essere state rarissime - adesso come vi muovereste?

Queste segnalazioni devono arrivare all'Ordine competente, che ha la vigilanza disciplinare sull'iscritto e che quindi dovrebbe convocarlo e chiedere riscontro di quanto denunciato. Laddove fosse verificata l'inadempienza a una norma di legge, si aprirebbe un procedimento disciplinare. Comunque l'interlocutore non è il consiglio nazionale: sono i singoli ordini territoriali, 142 in tutta Italia.

Quali sono le sanzioni che ogni ordine può comminare ai suoi iscritti?

Ve ne sono di tre tipi: censura, sospensione e radiazione. La censura è un'ammonizione che viene registrata nella fedina professionale del collega. La sospensione può andare da un giorno a due anni: apparentemente è una sanzione blanda, in realtà invece è devastante perché fa decadere ope legis tutti gli incarichi professionali. Poi c'è la radiazione.

Nel caso specifico, in un ipotetico procedimento disciplinare contro un iscritto che non paga i praticanti, si comincerebbe con un'ammonizione?

Non è detto, perché la graduazione è sulla gravità della violazione: dipende dalla sensibilità del singolo Ordine.

Tornando al decreto liberalizzazioni, sempre nell'articolo 9 ma al comma 6 la durata massima del tirocinio viene ridotta a 18 mesi. Come valutate questa riduzione?

Sulla questione della durata non avevamo posto nessun problema. L'unica cosa che avevamo chiesto, ma che la legge riporta, è che comunque un anno di tirocinio fosse svolto sempre e comunque dopo la laurea. Noi siamo stati il primo e unico Ordine a realizzare, ben prima che il governo lo imponesse, l'integrazione con i corsi universitari e ad attuarla con i decreti ministeriali e i regolamenti. Già l'anno accademico 2011-2012 in tante università ha visto un corso di laurea specialistico convenzionato con l'Ordine, che consentiva di sfruttare i due anni di corso come 24 mesi di tirocinio e ridurre una prova di esame di abilitazione. Dopodiché tra la laurea e l'esame di abilitazione occorreva soltanto un anno di tirocinio. Dunque per noi il tirocinio vero e proprio, quello fatto a tempo pieno, è comunque di 12 mesi. Che siano integrati con 24 o 6 mesi non ci cambia granché. Ma la riduzione a 18 mesi operata quest'anno tramite decreto ha creato grande confusione, non si è capito se fosse immediatamente vigente, come e per chi. Tant'è che è uscito recentemente un parere del ministero della Giustizia che dice che chi ha iniziato il tirocinio prima di una tale data, il tirocinio lo deve svolgere per 36 mesi.

Infatti a fine maggio il ministero ha risposto a un quesito del Consiglio nazionale forense sostenendo che tutti i percorsi di tirocinio professionale avviati «in epoca anteriore al 24 gennaio 2012» debbano mantenere la vecchia durata e che «le nuove norme sono destinate a trovare applicazione solo quanto il tirocinio è iniziato successivamente» a quella data.

Onestamente a me sembra inaccettabile. Sotto il profilo di tecnica legislativa il ministero ha ragione: però non mi si venga a dire che si agevolano i giovani facendo il taglio del tirocinio in quel modo. Perché chi ha iniziato il tirocinio a gennaio si deve fare 36 mesi e chi l'ha iniziato a maggio ne fa 18?

I praticanti sono sul piede di guerra.

Il ministero adempie alla sua funzione di interprete della legge: il problema è che la legge è scritta male. Però per fortuna il problema è abbastanza relativo, perché il numero di giovani che sono riusciti a fare la prima parte del praticantato durante l'università è elevatissimo rispetto a quelli che lo devono fare tutto dopo.

Avete dei dati statistici su questo?

No, ma lo vediamo dai riscontri delle commissioni di esame, dai risultati dell'esame stesso, dall'età media dell'accesso all'albo. Chi va all'esame si è laureato poco più di un anno prima, e oggi l'età media dell'accesso  è 26 anni.

A questo punto le avrei chiesto della convenzione quadro da stipulare tra consigli degli ordini e Ministro dell'istruzione per svolgere i primi 6 mesi di tirocinio prima della laurea. Ma lei mi ha preceduta, spiegando che voi questa convenzione l'avete già fatta.

stage lavoroGià. Adesso il tutto andrà rivisto perché attualmente prevede i 24 mesi, mentre si dovrà raccordare ai 6. Se però penso che per scrivere questa convenzione il ministero ci ha messo due anni… Ma il problema reale del tirocinio nostro è un altro: quello per l'attività di revisore legale, per la quale ci si deve iscrivere ad un registro. La revisione è normata da una direttiva comunitaria che prevede un tirocinio di 36 mesi: cosicché oggi si assiste alla situazione paradossale per cui il giovane laureato deve fare 18 mesi di tirocinio e l'esame di abilitazione per dottore commercialista, ma ne deve fare 36 per iscriversi al registro dei revisori legali.

Si dovranno dunque fare 18 mesi aggiuntivi?

Non si sa. Ma ha senso che se io ho l'abilitazione alla funzione di dottore commercialista, di cui la funzione di revisore non è che un pezzetto, non possa iscrivermi al registro dei revisori? Vorrei che qualcuno si prendesse la responsabilità di dire che è escluso poi che si debba anche fare un esame per iscriversi al registro dei revisori, ma nessuno ancora se l'è presa.

Non potreste sottoporre al governo il problema?

L'abbiamo già fatto, proponendo al ministero alcune soluzioni; avevamo anche scritto un emendamento al decreto liberalizzazioni che tutta la commissione Industria del Senato aveva sottoscritto. Ma all'ultimo minuto è sfumato.

E quindi adesso?

Il ministero deve emanare i decreti di attuazione della direttiva sulla revisione legale, ed ha la possibilità di tornare anche sul tirocinio raccordando quello della professione con quello necessario per iscriversi al registro dei revisori. Prima lo fa, meno incertezze genera: di questi tempi, un ragazzo che decide di fare la professione è in cerca di risposte certe. Io sono stato 15 anni nell'Unione giovani, per cui questi problemi li ho ben presenti.

È corretto dire che oggi in un qualsiasi studio di commercialisti di tutta Italia, se un giovane è entrato e si è iscritto come praticante il 23 gennaio del 2012 dovrà fare 36 mesi di praticantato, e se si è iscritto il 25 gennaio dovrà farne solo 18?

Sì, è così. Però entrambi dovranno farne obbligatoriamente 12 successivamente alla laurea specialistica.

Durate diverse, ma entrambi questi giovani avranno diritto a ricevere un rimborso spese.

Sì.

Intervista di Eleonora Voltolina


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