Duecentocinquanta milioni per avvicinare impresa e ricerca. È forse l'ultima misura relativa all'occupazione giovanile presa da Enrico Letta in qualità di premier e deliberata dal Consiglio dei ministri lo scorso 6 febbraio: uno stanziamento per incentivare le assunzioni di personale qualificato nelle piccole e medie imprese. Sono tre i dicasteri che nei prossimi mesi dovranno pubblicare i bandi per reclutare le risorse in questione (non solo dottori di ricerca ma, come ha precisato il Governo, anche semplicemente laureati): il ministero della Coesione Territoriale, quello dello Sviluppo economico e quello dell'Istruzione. Con la finalità, si legge nel comunicato che Palazzo Chigi ha emesso sulla misura, di «rafforzare la ripresa economica con azioni qualificate per la crescita e valorizzare immediatamente le opportunità offerte dal nuovo ciclo di programmazione europea». Questa volta però lo stimolo alla innovazione delle imprese passerà attraverso lo 'svecchiamento' della materia prima di un'impresa, la sua dotazione di personale, estendendo così «l’occupazione qualificata» e al contempo potenziando «l'innovazione e internazionalizzazione delle imprese». Le coperture giungono dall'Europa, in particolare dai fondi strutturali europei per le Regioni del Mezzogiorno. Una parte dei finanziamento è invece di origine nazionale, grazie a un cosiddetto fondo di rotazione, che permette di anticipare fino a 500 milioni sulla base della legge di stabilità sui fondi europei 2014-2020 (e solo previa autorizzazione della Commissione Ue). Un'altra fetta proviene infine dai fondi nazionali per le Regioni del centro nord.
Le misure progettate sono sette. Si va dalla cosiddetta Rise&Shine, con cui si offrono incentivi alle imprese che assumono con contratti a tempo indeterminato, previo stage annuale, dottori di ricerca e laureati magistrali in discipline tecnico-scientifiche, a quella denominata 'Mille e più uno dottorati industriali', che mette in campo 2mila percorsi formativi frutto di accordi fra scuole di dottorato delle università e altri soggetti operanti nei territori di riferimento (tra cui regioni, imprese, enti di ricerca, pubbliche amministrazioni) e cofinanziati dalle imprese (per entrambe le iniziative il bando è a carico del Miur e la deadline rispettivamente tre e un mese dall'assegnazione dei fondi). E sempre a carico del Miur saranno i bandi - da pubblicare entro due mesi dall'arrivo delle risorse - per promuovere «l’aggregazione di gruppi di ricerca competitivi intorno a grandi temi di ricerca» come scritto nella presentazione del progetto, e il «coordinamento e networking di gruppi di ricerca, preferibilmente interdisciplinari e intersettoriali, nei quali i ricercatori e le imprese del Paese possono assumere ruoli di leadership».
Spicca poi l'iniziativa 'Un laureato in ogni impresa' che prevede la concessione di un credito di imposta pari al 35% del costo aziendale sostenuto per le assunzioni o stabilizzazioni a tempo indeterminato di laureati magistrali o dottori di ricerca (per massimo 200mila euro annui per impresa), prima sostenendo il costo dello stage e poi la sua - eventuale - trasformazione in una assunzione indeterminata. Questo bando, per la cronaca, è a carico del ministero dello Sviluppo economico, che dovrà emetterlo entro due mesi dalla ricezione dei fondi.
E ancora, stessa tempistica anche per i voucher per l'innovazione e l'internazionalizzazione delle pmi, con concessioni di contributi a fondo perduto fino al 60% del costo dei servizi acquistati per le migliorie, per far sì che le imprese si modernizzino. Tutti interventi che sembrerebbero muoversi nel senso della ripresa economica partendo dall'emergenza più grande del Paese, ovvero il lavoro. E rimettendo in gioco alcune delle sue risorse più preziose, come laureati e ricercatori. Eppure la Adi, l'associazione dottori di ricerca italiani, non sembra appoggiare in toto il provvedimento. Alla Repubblica degli Stagisti Alessio Rotisciani, responsabile comunicazione dell'organizzazione, spiega che «seppure questa iniziativa sia auspicabile, si inserisce in un contesto di generale definanziamento dell'università» e in questo senso «lascia perplessi uno stanziamento di 250 milioni di euro di cui però non è valutabile la possibile incisività in un domani». Per essere davvero efficiente una politica di questo tipo secondo Rotisciani «non può non andare a braccetto con un intervento forte di rigenerazione del sistema complessivo italiano della ricerca». Non basta insomma incentivare le imprese a inserire in organico giovani qualificati a garantire a loro e al Paese un futuro migliore, né dà certezza di una stabilizzazione lavorativa: «Siamo ultimi nella classifica Ocse per finanziamenti alle università. La ricerca di base è in grande difficoltà e per camminare sulle sue gambe ha bisogno di risorse». L'altro rischio a cui apre un'iniziativa simile è relativo all'impiego distorto di fondi pubblici finalizzati alla ricerca applicata (ovvero quella 'pilotata' dalle aziende per fini propri). «Non che questa sia il male assoluto» precisa Rotisciani, ma per esempio se «un dottorato in consorzio con le imprese si svolge in una modalità per cui viene finanziata una manodopera per un processo produttivo che ha una attinenza modesta con la ricerca, allora stiamo utilizzando male del denaro pubblico». La soluzione, chiedono dall'Adi, sta quindi nella definizione di «criteri stringenti e chiari che normino questo avvicinamento» tra ricerca e impresa, con «vincoli per quanto riguarda l'assunzione delle persone che intraprendono il percorso, e scongiurare così il rischio che l'iter si interrompa bruscamente e i giovani ripiombino nella disoccupazione». L'ipotesi peggiore in questo momento, ma che l'impostazione attuale del progetto non esclude del tutto: gli incentivi – si legge nel testo – non dipendono dalla garanzia di assunzione, ma solo dall'apertura di una collaborazione con un laureato o dottore di ricerca.
Critica anche la posizione della Cna, Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa, riguardo questa misura «dai contorni ancora non delineati», come conferma alla Repubblica degli Stagisti Mario Pagani, responsabile del dipartimento delle politiche industriali di Cna. La reazione di primo acchito verso un'iniziativa che incrementi l'impiego di laureati è positiva, vista la generale «diffidenza degli imprenditori verso l'assunzione di laureati, secondo quanto emerso da uno studio recente: sono visti come inadeguati dal punto di vista delle competenze e con molte pretese». Di qui la scelta di non assumerli perché potrebbero «alterare le dinamiche di una piccola azienda», dove peraltro la maggior parte dei dipendenti è «tutt'al più diplomata». Al netto di queste considerazioni, il rischio secondo Pagani è che un pacchetto di misure come quello prospettato dal governo possa essere scarsamente applicabile in un settore «in cui il 95% delle imprese non arriva a dieci addetti, e il 98% a 50». I bandi sono spesso rivolti «a target troppo alti, diretti a una fascia minima di imprese». L'ideale sarebbe invece ideare «formule nuove che vadano incontro alle piccole imprese». Pagani fa un esempio: «un ricercatore inserito in un nucleo ristretto di addetti rischia di diventare insostenibile», allora perché «non condividerlo tra più imprese» in modo da suddividerne costi e benefici? Un appello al prossimo esecutivo dunque, affinché agisca sui singoli bandi che dovranno tradurre in azioni concrete questi impegni programmatici facendo in modo che questa potenziale spinta all'innovazione delle pmi non si riduca a un flop.
Ilaria Mariotti
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