FAQ
Le FAQ della Repubblica degli Stagisti
→ Quando si può fare uno stage?
In Italia uno stage si può fare praticamente a qualsiasi età, ad alcune condizioni. I giovani studenti di scuole superiori e di scuole professionali possono svolgere esperienze che comunemente vengono definite “stage”, anche se non sono propriamente tali (v. FAQ seguente). Gli studenti universitari (o di master, o in generale di corsi di formazione formalmente riconosciuti) possono fare stage “curriculari”, che sono sempre caratterizzati dalla denominazione “di formazione e orientamento” perché hanno come primo obiettivo quello di aiutarli a conoscere un determinato settore lavorativo. Chi non è più uno studente può invece fare stage “extracurricolari”. Chi ha concluso da poco gli studi (dunque i neodiplomati e i neolaureati) può fare, nei primi 12 mesi dal conseguimento del titolo di studio, stage “extracurricolari” sempre denominati “di formazione e orientamento”. Dopodiché, si passa alla denominazione “di inserimento / reinserimento lavorativo”: questa tipologia di stage è accessibile a tutti coloro che risultino inoccupati o disoccupati, indipendentemente dall’età.
→ In alternanza scuola lavoro (ora PTCO) si fanno stage? NEW
I giovani studenti di scuole superiori e di scuole professionali possono fare esperienze “on the job” all'interno dei percorsi “di alternanza scuola / lavoro”, oggi chiamati PCTO (percorsi per le competenze trasversali e l'orientamento). Generalmente tali esperienze vengono organizzate e svolte tra la fine della primavera e l’inizio dell'estate e durano dalle 2 alle 4 settimane. Possono avvenire, come gli stage “comuni”, in aziende private, enti pubblici, associazioni non profit e in generale in tutte le attività professionali; l'ideale sarebbe che fossero in qualche modo correlati a ciò che gli studenti studiano a scuola, ma non sempre ciò avviene. Come spiega lo stesso ministero dell'Istruzione, i PCTO sono «progettati in una prospettiva pluriennale, coerente con quanto previsto nel piano triennale dell’offerta formativa» di ciascuna scuola, e «possono prevedere una pluralità di tipologie di collaborazione con enti pubblici e privati, anche del terzo settore, nonché con il mondo del lavoro», come per esempio «incontro con esperti, visite aziendali, ricerca sul campo, simulazione di impresa, project-working e con l’impresa, tirocini, progetti di imprenditorialità».
Poiché però questo tipo di tirocini si differenzia in maniera sostanziale dai tirocini extracurricolari, e anche da quelli curricolari – anche solo per il fatto che vengono svolti nella maggior parte dei casi da persone minorenni – forse sarebbe più corretto trovare un nome diverso per definirli.
→ Perché alcuni tirocini vengono chiamati “curricolari” e altri “extracurricolari”?
Tale differenziazione è stata istituzionalizzata indicativamente a partire dal 2012. I tirocini cosiddetti “curricolari” sono quelli che vengono svolti durante un percorso di studio (nella maggior parte dei casi, mentre si fa l’università). I tirocini extracurriculari sono tutti gli altri. La differenza più rilevante è la competenza normativa: i tirocini curriculari sono di competenza statale, cioè devono essere normati da leggi del Parlamento e/o da decreti ministeriali. I tirocini extracurricolari invece sono di competenza regionale, dunque ogni Regione ha un suo provvedimento normativo in materia. Per fare in modo che le normative regionali non fossero troppo differenti l’una dall’altra, nel gennaio del 2013 si è raggiunto in sede di Conferenza Stato-Regioni un accordo su un documento denominato “Linee guida”, che delinea il quadro normativo di riferimento ponendo anche una indicazione rispetto alla cifra minima – 300 euro al mese – che ogni Regione deve prevedere come indennità obbligatoria a favore di tutti gli stagisti extracurricolari. È bene sapere però che queste linee guida non sono vincolanti e dunque che le Regioni possono anche decidere di non seguirle (come in effetti è accaduto nei casi di alcune normative regionali che si sono significativamente discostate dai dettami contenuti nelle linee guida, per esempio relativamente alla proporzione massima tra stagisti e dipendenti). Nel maggio 2017 sono state approvate dalla Conferenza Stato-Regioni le nuove “Linee guida”, e conseguentemente tra il 2017 e il 2019 la maggior parte delle Regioni ha adeguato la propria normativa ad hoc sui tirocini.
→ Che differenze ci sono tra tirocini curricolari e tirocini extracurricolari?
La differenza di competenza normativa comporta una significativa differenza nel quadro normativo di riferimento e dunque nei “diritti” degli stagisti. Per esempio, per gli stage extracurricolari è previsto l’obbligo di erogare un compenso mensile, mentre – quantomeno per ora – per gli stage curricolari tale obbligo non sussiste. Un’altra differenza molto importante, anche se tecnica, è che gli stage extracurricolari devono essere comunicati allo Stato attraverso la cosiddetta “comunicazione obbligatoria” al momento dell’avvio; il che permette ai centri per l’impiego di conoscerne l’esistenza e di tracciarli. Per effetto di una circolare del ministero del lavoro risalente al 2004, invece, tale obbligo non è previsto per i tirocini curricolari.
→ Perché i tirocini svolti durante gli studi vengono definiti “curricolari”?
Questa denominazione deriva dal fatto che negli ultimi anni all’interno dei piani formativi delle facoltà universitarie – ma non solo – sono stati sempre più frequentemente inseriti dei tirocini obbligatori per il curriculum studiorum dello studente, spesso con uno specifico valore di cfu (crediti formativi universitari). Poi, per osmosi, si è cominciato a chiamare “curricolari” anche i tirocini svolti spontaneamente dagli studenti universitari, anche senza valore di cfu. Oggi dicendo “curricolari” si intendono tutti gli stage nei quali lo stagista, quantomeno al momento dell’attivazione dello stage, sia iscritto a un percorso formale di istruzione / formazione. È importante sapere che al momento i tirocini curricolari sono al centro di una sorta di vuoto normativo: non è chiaro cioè a quale normativa debbano fare riferimento. La precedente, che regolamentava tutti gli stage prima della suddivisione tra “curricolari” ed “extracurricolari”, era il decreto ministeriale 142/1998: si continua a fare riferimento ad essa, in attesa di una nuova regolamentazione che dovrebbe arrivare dal ministero dell’Istruzione o altra fonte centrale. La Regione Lombardia nell’attesa ha inserito nella sua normativa sui tirocini extracurricolari anche disposizioni riguardanti quelli curricolari (malgrado questi ultimi non siano di competenza regionale).
→ Se ci si diploma o ci si laurea mentre si fa uno stage cosa succede?
Di solito, niente. L’inquadramento dello stage viene riferito al momento dell’attivazione; dunque, per fare un esempio, uno stage curricolare di 6 mesi attivato a favore di uno studente universitario laureando, che dopo qualche settimana dovesse laurearsi, potrà essere completato senza problemi. In alcuni casi però capita che il soggetto promotore o il soggetto ospitante abbiano adottato delle policy “speciali”, per cui in caso di laurea lo stage curricolare va interrotto e subito dopo ne va attivato uno nuovo extracurricolare.
In particolare, secondo quanto emerso dal monitoraggio dello strumento dello stage commissionato nel 2018 dal Comune di Milano alla Repubblica degli Stagisti, quattro università milanesi (Politecnico, Bocconi, Iulm e Cattolica) prevedono esplicitamente che se durante lo svolgimento di un tirocinio curricolare lo studente consegue il titolo di studio (es. discute la laurea), indipendentemente dalla data di attivazione del tirocinio, esso debba essere interrotto – ed eventualmente ripartire con la configurazione di extracurricolare.
→ Si può fare uno stage anche se sono passati più di 12 mesi dalla laurea?
Sì. Pressoché chiunque, a qualsiasi età e con qualsiasi grado di istruzione, può fare uno stage. Lo stage è una convenzione tra un “soggetto promotore” e un “soggetto ospitante”: gli studenti universitari hanno diritto ad utilizzare l’ufficio stage della propria università come ente promotore per tutta la durata degli studi (per tirocini curricolari) e per i primi 12 mesi dopo la laurea (per tirocini extracurricolari di formazione e orientamento). Dopo questo periodo, nulla vieta a un laureato di fare uno stage, ma per richiedere l’attivazione di un tirocinio extracurriculare di inserimento / reinserimento lavorativo dovrà rivolgersi per esempio al centro per l’impiego della sua città, oppure a un'agenzia per il lavoro.
→ Si può fare uno stage anche a quarant’anni?
Sì. La normativa vigente non pone limiti all’età degli stagisti; in effetti, lo stage (purtroppo) viene utilizzato molto spesso in Italia come strumento di “riqualificazione” dei disoccupati, nonché di sostegno al reddito quando l’indennità per lo stage va a sommarsi all’indennità di disoccupazione. Nello specifico, il numero di persone tra 35 e 54 anni coinvolte in esperienze di tirocinio extracurricolare è aumentato del 90% – cioè è quasi raddoppiato – nell'ultimo decennio, passando da poco meno di 26mila nel 2012 a poco meno di 49mila nel 2019; e il numero di stagisti over 55 anni è più che triplicato, da poco più di 3mila a quasi 10mila all'anno. Non sono numeri confortanti: spesso in questi casi lo stage si trasforma sostanzialmente in un ammortizzatore sociale di ultima istanza.
→ Cos’è il soggetto promotore?
È chi “promuove” lo stage, cioè l'ufficio che assolve a tutti gli oneri burocratici previsti dalla normativa per attivarlo. Stipula una convenzione di stage con il soggetto ospitante, redige il progetto formativo individuale (PFI) relativo a ogni singolo stage inserendovi le informazioni specifiche (dati anagrafici dello stagista, data di inizio e di fine, luogo in cui si svolgerà lo stage, mansioni che verranno insegnate allo stagista, nominativo dei tutor...) e lo fa firmare alle parti coinvolte. Si occupa anche, salvo eccezioni, di assolvere gli obblighi di legge relativi alla posizione Inail e all’assicurazione Rc che devono essere attivati a favore di ogni stagista. I principali soggetti promotori operanti in Italia sono le università (attraverso gli uffici tirocini / job placement), i centri per l’impiego, le agenzie per il lavoro, le istituzioni scolastiche e alcuni altri soggetti autorizzati. Per lo stagista il soggetto promotore è il primo punto di riferimento, in quanto “garante” del buon andamento dello stage e della qualità formativa del percorso.
Con le “Linee guida” approvate in sede di Conferenza Stato-Regioni nel maggio 2017 sono stati introdotti nuovi elementi: il soggetto promotore è tenuto ora ad assumersi il dovere di «segnalare al soggetto ospitante l’eventuale mancato rispetto degli obiettivi contenuti nel PFI e delle modalità attuative del tirocinio, nonché ai competenti servizi ispettivi i casi in cui vi siano fondati motivi per ritenere che il tirocinante venga adibito ad attività non previste dal PFI o svolga comunque attività riconducibile ad un rapporto di lavoro». Inoltre il soggetto promotore e il soggetto ospitante di uno stesso stage extracurricolare non possono più coincidere.
→ Cos’è il soggetto ospitante?
È la realtà che accoglie – “ospita” – lo stagista. Deve mettere a disposizione un tutor che lo segua con costanza, trasferendo conoscenze e competenze e supervisionando la sua formazione “on the job”. Secondo le nuove “Linee guida” del 2017, il soggetto ospitante deve trasmettere al soggetto promotore le comunicazioni effettuate e le comunicazioni di proroga, di interruzione e di infortuni; garantire, nella fase di avvio del tirocinio, un’adeguata informazione e formazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, e mettere a disposizione del tirocinante tutte le attrezzature idonee e necessarie allo svolgimento delle attività assegnate. I principali soggetti ospitanti sono naturalmente le aziende private, ma anche gli enti pubblici, le associazioni non profit, gli studi professionali e in generale qualsiasi attività produttiva / professionale. In alcune Regioni possono ospitare stagisti solamente le realtà che hanno almeno un dipendente assunto a tempo indeterminato; in altre Regioni invece è legale ospitare stagisti anche per chi è privo di dipendenti; anche se, per effetto delle Linee guida del 2017, ormai quasi tutte le Regioni permettono anche a realtà prive di dipendenti di avere stagisti.
→ La denominazione “tirocini di inserimento / reinserimento lavorativo” implica una garanzia di inserimento lavorativo, cioè di assunzione, al termine dello stage?
No, non implica alcuna garanzia. Si tratta di una denominazione esclusivamente mirata a differenziare tali tirocini da quelli di “formazione e orientamento”, ma priva di un effetto pratico. Si può intuire che dietro questa denominazione vi sia da parte del legislatore la volontà di esplicitare che stage di questo tipo dovrebbero essere attivati solo in realtà dove vi sia effettivamente una concreta possibilità, in caso di buon esito dello stage e di valutazione positiva delle capacità dimostrate dallo stagista, di stabilizzare la collaborazione attraverso una assunzione. Ma si tratta, appunto, solamente di una “intuizione”, non supportata da obblighi o divieti. Dunque un’azienda può aprire le porte a uno o più tirocini “di inserimento / reinserimento lavorativo” e poi non assumere nessuno dei tirocinanti, senza fare niente di vietato. In alcune Regioni però la normativa prevede il divieto di attivare questo tipo di stage in realtà aziendali che abbiano in atto procedure di cassa integrazione e mobilità o che abbiano effettuato di recente licenziamenti.
→ Cos’è la convenzione di stage?
Poiché lo stage non è un rapporto di lavoro, non si può usare il termine “contratto”; dunque si usa la parola “convenzione”. Questa parola assume però in questo contesto un doppio significato. Vi è una “convenzione quadro” che siglano un soggetto promotore (es. università, centro per l’impiego etc) e un soggetto che si dichiara disponibile a ospitare tirocinanti (es. un’azienda privata, un ente pubblico etc). Questa disponibilità è generica e non riferita a un tirocinante in particolare. Vi è poi una “convenzione di stage” per ciascuno stage che viene attivato. In questa convenzione sono riportati, oltre ai dati del soggetto promotore e di quello ospitante, anche il nominativo del tirocinante e altri dati specifici relativi allo stage in questione: la data di inizio, la durata, e appunto un testo denominato “progetto formativo”, in cui vengono descritte in maniera (più o meno...) dettagliata tutte le competenze che il tirocinante dovrà apprendere nel corso dell’esperienza formativa, le mansioni che gli verranno affidate, l’ufficio in cui verrà inserito. La convenzione di stage contiene al suo interno, o in allegato, il progetto formativo individuale che ne è parte integrante. Al tirocinante conviene sempre farsene dare una copia al momento dell’attivazione del suo stage.
→ Cos'è il PFI? NEW
Il PFI – progetto formativo individuale – è il documento che riassume i dati del tirocinante, del soggetto promotore e del soggetto ospitante dello stage. Riporta tra le altre cose gli obiettivi formativi del tirocinio, cioè le conoscenze e le competenze da acquisire; la descrizione sintetica delle attività oggetto del tirocinio; l'ammontare dell'indennità di stage, se prevista. Il PFI va firmato dal tirocinante, dal tutor del soggetto promotore e dal tutor del soggetto ospitante.
→ Uno stage può prevedere un periodo di prova?
No. Non essendo lo stage un contratto di lavoro, non avrebbe alcun senso che prevedesse un periodo di prova. La ratio del periodo di prova, infatti, è quella di concedere alle parti (la persona che sta per essere assunta e l’azienda che la vuole assumere) un periodo prima di procedere con il “completamento” dell’assunzione in cui entrambe sono libere di “recedere”. Dato che uno stage può essere interrotto con facilità, non avrebbe senso prevedere questa fattispecie.
La dicitura “periodo di prova” applicata a uno stage cela, purtroppo, un tentativo da parte del soggetto ospitante di far partire lo stage in una data anteriore rispetto a quella concordata attraverso la convenzione di stage; ma di fatto se una persona inizia prima del previsto, i giorni in cui si reca sul luogo di lavoro da “stagista in prova” sono, di fatto, giorni di stage in nero… cioè di lavoro nero.
→ Cos’è la proroga e come funziona?
Al termine di uno stage, può capitare di sentirsi proporre una “proroga”. Teoricamente ciò dovrebbe costituire un’eccezione, per esempio in caso il percorso formativo non sia stato per qualche ragione completato; ma capita che venga utilizzato come “procedura standard”, tanto che in alcuni annunci di ricerca stagisti c’è addirittura indicata a priori la durata 3+3 o 6+6. Si parla di “proroga” quando solitamente sussistono contemporaneamente tre condizioni: che il soggetto ospitante resti il medesimo, che lo stage prosegua senza soluzione di continuità e che la convenzione di stage con annesso progetto formativo non cambi – cioè che settore di inserimento dello stagista, nominativo del tutor aziendale e percorso formativo restino immutati. La ratio della proroga è che i tre protagonisti dello stage (soggetto promotore, soggetto ospitante e stagista) concordino che per qualche motivo il tempo inizialmente previsto per lo stage non sia stato sufficiente al tirocinante per svolgere appieno il percorso formativo, e vi sia dunque bisogno di altro tempo. Ovviamente, come è facilmente intuibile, questa motivazione talvolta è solo di facciata, e viene usata più o meno onestamente dalle aziende per poter trattenere una risorsa che ritengono valida ma a cui, per ragioni contingenti, non hanno la possibilità di offrire un vero contratto di lavoro.
→ Esiste un limite al numero di stage che si possono fare?
No, non esiste un numero massimo di stage che si possono fare nella vita, ma solo un limite alla durata massima di ogni singolo stage (differenziata a seconda delle normative regionali). Alcune Regioni prevedono un generico divieto a svolgere più di uno stage per la stessa mansione, ma tale divieto è di fatto impossibile da far rispettare, perché anche all’interno dello stesso settore professionale e addirittura della stessa funzione vi possono essere mansioni differenti da apprendere. Risulta invece applicabile il divieto di svolgere più di uno stage all’interno della stessa azienda (in particolare: della stessa ragione sociale, o “denominazione”): ma anche questo può essere aggirato, se i due stage si svolgono in uffici diversi della stessa azienda e con un progetto formativo radicalmente diverso; oppure nel caso l'azienda sia in realtà un gruppo formato da diverse ragioni sociali / denominazioni.
→ Quanti stagisti può ospitare al massimo un soggetto ospitante?
Si deve fare una proporzione con il numero di dipendenti: in genere gli stagisti non possono essere più del 10% dei dipendenti, dunque un’azienda con 100 dipendenti può ospitare non più di 10 stagisti. Qui però le normative cambiano anche sensibilmente da Regione a Regione: vi sono Regioni che permettono un numero maggiore (per esempio la Campania nella sua Delibera della Giunta Regionale n. 103 del 20/02/2018 dice che sono permessi “tirocinanti attivi contemporaneamente in misura non superiore al 20 per cento del numero complessivo di dipendenti a tempo indeterminato e a tempo determinato anche in somministrazione presenti nella specifica unità operativa con più di 20 dipendenti”). Inoltre nella maggior parte dei casi questo numero massimo si riferisce a stagisti ospitati contemporaneamente; dunque in caso gli stage durino 6 mesi, per esempio, un’azienda con 100 potrebbe ospitarne 10 nel primo semestre e altri 10 nel secondo semestre (cioè 20 in totale). Infine, molto significativa è anche la scelta della “base” da conteggiare: secondo le nuove “Linee guida”, la modalità di conteggio dei dipendenti di ciascuna unità non deve più essere basata solo sugli assunti a tempo indeterminato, ma anche sui dipendenti a tempo determinato. Per i soggetti ospitanti con unità operative aventi più di 20 dipendenti a tempo indeterminato si aggiunge poi una novità: l’attivazione di nuovi tirocini, se supera la quota di contingentamento del 10% già prevista, può essere permessa se l'azienda avrà superato una certa quota di assunzioni post-stage.
Inoltre, le “Linee guida” prevedono esplicitamente che nel calcolo della proporzione numerica tra stagisti e dipendenti non ci debba essere cumulabilità tra tirocinanti curricolari e quelli extracurricolari. Di fatto questo vuol dire che un'azienda può avere un numero di stagisti extracurricolari in contemporanea pari al 10% del numero dei suoi dipendenti, più un numero (purtroppo, allo stato attuale, di fatto indefinito) di stagisti curricolari.
→ Si può fare uno stage in un’impresa che non ha nemmeno un dipendente assunto a tempo indeterminato?
Sì, quasi dappertutto. Per effetto delle nuove “Linee guida” del 2017, ora quasi tutte le Regioni permettono anche a realtà prive di dipendenti di avere stagisti, secondo le quote di contingentamento previste dalle singole normative. Ma alcune Regioni continuano a disincentivarlo; per esempio la Toscana lo permette solo in quattro situazioni: nelle aziende artigiane di artigianato artistico e tradizionale; presso imprenditori agricoli professionali; nelle start-up innovative; e presso soggetti ospitanti aderenti alle associazioni rappresentative delle professioni non organizzate.
In generale, nel conteggio del numero dei dipendenti utile al fine di calcolare il numero di stagisti che si possono accogliere i dipendenti a tempo determinato potranno essere conteggiati purché la data di inizio del contratto sia anteriore alla data di avvio del tirocinio e la scadenza posteriore alla data di fine del tirocinio.
→ Si possono fare più stage per la stessa mansione?
Dipende. Come non esistono limiti al numero di stage che si possono intraprendere nell’arco della vita, così le linee guida non impediscono ad una persona di intraprendere più stage per una stessa mansione (anche se è frustrante ritrovarsi a svolgere diversi stage uno dietro l’altro, tutti uguali, senza mai ottenere un contratto di lavoro pur avendo acquisito sufficiente esperienza). Alcune regioni, però, come la Toscana nella sua legge n. 15/2018, indicano esplicitamente che il tirocinante «non può svolgere più di un tirocinio per ciascun profilo professionale»; la situazione varia dunque a seconda della Regione in cui lo stage viene attivato. Bisogna ricordare inoltre che le Linee guida del 2017 vietano di attivare tirocini «in favore di professionisti abilitati o qualificati all'esercizio di professioni regolamentate per attività tipiche ovvero riservate alla professione». Un farmacista, ad esempio, non potrà quindi intraprendere uno stage nel suo ambito se è iscritto all'albo. Tant'è che «i tirocini previsti per l'accesso alle professioni ordinistiche, nonché i periodi di pratica professionale» non rientrano tra le tipologie di tirocinio extracurricolare previste dalle linee guida. Ad ogni modo, tutte le nuove normative indicano che il soggetto ospitante non può ospitare tirocinanti se prevede nel piano formativo individuale (il cosiddetto PFI) attività equivalenti a quelle per cui ha effettuato, nella stessa unità operativa e nei 12 mesi precedenti, licenziamenti per giustificati motivi oggettivi, licenziamenti collettivi, per superamento del periodo di comporto, per mancato superamento del periodo di prova, per fine appalto o come risoluzione del rapporto di apprendistato per volontà del datore di lavoro al termine del periodo formativo. Lo stagista non può svolgere più di uno stage all’interno della stessa azienda, e non può essere ospitato presso un soggetto ospitante con il quale ha avuto un rapporto di lavoro, una collaborazione o un incarico nei ventiquattro mesi precedenti l’attivazione del tirocinio.
→ Uno stage può essere interrotto prima della sua scadenza?
Sì. Uno stage non costituisce rapporto di lavoro e prevede la possibilità che una delle due parti decida unilateralmente di interromperlo prima del previsto, senza dover fornire preavviso o motivazioni. Solitamente questa possibilità è vista come a vantaggio dello stagista, che può interrompere l’esperienza formativa qualora non sia soddisfatto oppure riceva un’offerta migliore. Però può capitare che anche l’altra parte, cioè il soggetto ospitante, decida di avvalersene. Si veda però a questo proposito la direttiva del Ministro della funzione pubblica n° 2/2005, che all’articolo 7 «Diritti delle parti» prevede testualmente: «La convenzione fra soggetto promotore e soggetto ospitante viene stipulata nell’esclusivo interesse del tirocinante che è soggetto terzo rispetto all’atto. Con tale atto i primi due si obbligano a garantire a quest’ultimo la formazione puntualmente individuata nel progetto di formazione allegato alla convenzione. Ciò comporta che le parti potranno recedere dalla convenzione solo per gravi motivi, quali un comportamento del tirocinante tale da far venir meno le finalità del progetto formativo, oppure nel caso in cui l’amministrazione non rispetti i contenuti del progetto formativo o non consenta l’effettivo svolgimento dell’esperienza formativa del tirocinante. Per quanto riguarda quest’ultimo si può ritenere che il medesimo possa invece interrompere il tirocinio in quanto il progetto è costituito nel suo interesse». La direttiva in questione riguarda i tirocini presso enti pubblici ma il senso del principio qui sancito si può chiaramente estendere anche ai tirocini presso imprese private.
Le Linee Guida del 2017 indicano esplicitamente che lo stage possa «essere interrotto dal soggetto ospitante o dal soggetto promotore in caso di gravi inadempienze da parte di uno dei soggetti coinvolti. In caso di interruzione del tirocinio da parte del tirocinante, quest’ultimo deve dare motivata comunicazione scritta al tutor del soggetto ospitante e al tutor del soggetto promotore; il tirocinio può essere altresì interrotto dal soggetto ospitante o dal soggetto promotore, in caso di impossibilità a conseguire gli obiettivi formativi del progetto».
→ Come fa uno stagista a interrompere anticipatamente uno stage? NEW
Il tirocinante che desideri interrompere il suo percorso formativo prima del previsto è tenuto a darne motivata comunicazione scritta al tutor del soggetto ospitante e a quello del soggetto promotore. Talvolta è disponibile un modulo prestampato, messo a disposizione dalla Regione o dallo stesso soggetto promotore, che permette di compilare in pochi minuti tale comunicazione. L’università di Cagliari, per esempio, ha un form predisposto in cui basta inserire i propri dati anagrafici e indicare con una crocetta se l’interruzione è dovuta al «mancato rispetto del regolamento sui tirocini da parte della struttura ospitante», al «mancato rispetto del progetto formativo da parte della struttura ospitante», alla «poca disponibilità e interesse da parte della struttura ospitante»; oppure a una «improvvisa impossibilità da parte dell’azienda ad ospitare il tirocinante», o ancora alla «vincita di una selezione d’accesso a master, scuole di specializzazione, altri tirocini»; o infine (in questi due ultimi casi la notizia dell’interruzione è positiva!) alla «assunzione presso la struttura ospitante del tirocinio» o «presso una struttura diversa da quella del tirocinio». E se nessuna di queste motivazioni fosse quella giusta, è sempre possibile indicare i classici «motivi personali».
In caso il tirocinio sia curricolare, bisogna considerare attentamente l’aspetto dei crediti formativi (cfu); è buona norma non interrompere fino a che tali crediti non sono stati maturati. In alternativa si può richiedere al soggetto promotore (che nel caso di curricolari è sempre una istituzione formativa: università, master, scuola etc) di essere collocati presso un diverso soggetto ospitante.
→ A chi si può rivolgere uno stagista in caso abbia problemi durante il suo stage?
Il primo interlocutore dello stagista è il suo tutor, cioè la persona che all’interno del soggetto ospitante è incaricata di seguire la sua formazione. Questa figura è il primo punto di riferimento in caso lo stagista abbia problemi all’interno della struttura che lo ospita. Non di rado, però, capita che sia proprio il tutor aziendale uno dei problemi: può accadere che non dia attenzione allo stagista, oppure che lo sovraccarichi di compiti, o che gli faccia svolgere mansioni non coerenti con il progetto formativo; o ancora, che si comporti in maniera inappropriata, o che pretenda prestazioni impreviste (orari prolungati, commissioni personali...). A questo punto è bene che lo stagista ricordi che ha anche un secondo tutor, indicato con nome e cognome nella convenzione di stage (è sempre bene farsene rilasciare una copia!), che afferisce al soggetto promotore. Ci si può rivolgere dunque a questo tutor, chiedendogli di intercedere per riportare lo stage nei giusti binari. Vi è però la possibilità che anche il soggetto promotore non sia ricettivo, e “se ne lavi le mani” evitando di occuparsi dei problemi evidenziati dallo stagista. Oppure capita che le criticità siano molto gravi: come per esempio quando lo stagista viene trattato come un dipendente, e si sente richiedere prestazioni in autonomia, efficienza e talvolta addirittura turnazione con i “colleghi”. In questo caso, di fatto, lo stage maschera lavoro dipendente. Si può chiamare in causa un sindacato: basta recarsi nella più vicina sede della sigla sindacale di cui si ha più fiducia ed esporre il proprio caso. L’azione più forte di tutte è poi quella di denunciare la situazione alla Direzione territoriale del lavoro, chiedendo un intervento degli ispettori del lavoro che, se valuteranno sufficientemente credibile e circostanziata la descrizione delle presunte illegalità, potrebbero programmare una visita a sorpresa presso il soggetto ospitante e verificare il corretto trattamento degli stagisti (e a quel punto di tutti i dipendenti). Questo tipo di denuncia non può essere anonimo, anche se gli ispettori sono tenuti a mantenere di fronte all’azienda il riserbo sulla fonte della segnalazione, e va effettuato possibilmente portando materiale a supporto della propria dichiarazioni (documenti, email, testi scritti che attestino la veridicità del racconto). In linea generale, le Direzioni del lavoro vanno sollecitate solo in caso di abusi gravi. A seguito di una ispezione, può anche scaturire un procedimento giudiziario a carico del soggetto ospitante. Nel 2018 l'Ispettorato Nazionale del Lavoro aveva inserito i tirocini tra i settori prioritari di intervento per la vigilanza; purtroppo però dal 2020 i tirocini non sono più tra questi settori prioritari.
→ Esistono gli stage in nero?
Nel caso una persona cominci uno stage senza che sia stata predisposta la documentazione necessaria (cioè senza la formalizzazione dello stage attraverso un progetto formativo individuale e una convenzione di stage, senza l’intervento di un soggetto promotore, senza l’apertura di una posizione Inail e rc), o senza che – nel caso di un tirocinio extracurricolare – sia stata fatta la comunicazione obbligatoria di avvio, allora si può parlare di “stage in nero”, in diretta analogia con il lavoro in nero.
In realtà, però, una distinzione del genere è pretestuosa, dunque si può affermare che non esistano gli stage in nero: ogni volta che vi è la presenza di una persona in una realtà lavorativa senza che questa persona sia correttamente inquadrata, si è di fatto di fronte a un caso di lavoro in nero.
→ Quanto tempo ci vuole di solito per attivare uno stage? NEW
Dipende dal soggetto promotore, dal quanto sono efficienti le sue policy nel gestire le attivazioni, e da fattori specifici: per esempio, sarà più veloce una attivazione per far partire uno stage in un'azienda che è già convenzionata con il soggetto promotore rispetto a farlo partire in un'azienda non ancora convenzionata. I soggetti promotori più efficienti sono in grado di far partire un tirocinio, sbrigando tutte le procedure burocratiche, anche in sole 24-48 ore. In media di solito ci vuole più o meno una settimana.
Secondo una ricerca effettuata dalla Repubblica degli Stagisti su commissione dell'assessorato al Lavoro del Comune di Milano nel 2019, che ha coinvolto ben 42 soggetti promotori di tirocini attivi sul territorio milanese, per quanto riguarda i tempi di attivazione “standard” il 53% ha dichiarato di riuscire a svolgere la pratica in meno di una settimana; il 40% tra una e due settimane, e solo il 7% oltre le due settimane.
→ Quante ore devono fare gli stagisti?
Rispetto agli orari le normative sugli stage non prescrivono in genere nulla di preciso. Vi sono dei casi in cui si concorda a priori che lo stage sia part-time, per esempio 20 o 25 ore la settimana; la stragrande maggioranza degli stage è tuttavia “full time”, quindi presuppone la presenza dello stagista in ufficio per circa 36-40 ore settimanali (che è l’orario standard di lavoro). Presuppone anche – qui è il buonsenso che parla – che lo stagista si uniformi all’orario della struttura presso cui opera: e cioè arrivi all’ora in cui il lavoro comincia all’interno dell’ufficio, e se ne vada all’ora in cui il lavoro termina. Ciò significa, nel caso per esempio di uno stage nella redazione di un quotidiano, che lo stagista non si presenterà alle nove di mattina se lì si comincia a mezzogiorno, e però non pretenderà di andarsene alle sei di sera se nei quotidiani si lavora solitamente fino all’ora di cena. Sempre il buonsenso, tuttavia, suggerisce che se in una data azienda vi è l’abitudine di lavorare 10-11 ore al giorno, tirare nottata per rispettare le scadenze o altro, allo stagista non venga richiesto di assicurare una presenza continuativa secondo quegli orari “massacranti”: perché è appunto uno stagista, e non un lavoratore. Ciononostante, il tirocinante potrà decidere di sua volontà di fare qualche volta gli stessi orari dei dipendenti, magari per dimostrare buona volontà, nella prospettiva di inserirsi nel gruppo di lavoro e magari poter essere assunto al termine dello stage. In generale è bene ribadire che lo stage non è un contratto di lavoro e quindi lo stagista non è necessariamente tenuto a rispettare pedissequamente un orario (come se timbrasse un cartellino); allo stesso modo, può uscire prima se ne ha bisogno qualche volta, o anche stare assente, senza che gli possa venir chiesto di recuperare le ore o i giorni di assenza.
→ Si può svolgere uno stage in orari notturni?
Dipende dalla normativa; nella maggior parte dei casi questi dettagli non sono specificati. La normativa vigente in Campania prevede che «l’orario di attività del tirocinante non eccede quello previsto dal contratto collettivo applicabile al soggetto ospitante e si svolge in fascia diurna, a meno che la specifica organizzazione del lavoro del settore o reparto di inserimento non ne giustifichi lo svolgimento anche in fascia serale. È viceversa del tutto vietata l’attività formativa in fascia notturna», similmente a quella vigente in Veneto che dice che «il tirocinio dovrà svolgersi in fascia diurna. Il tirocinio in fascia serale e/o notturna si potrà realizzare solo se la tipologia dell’attività e la specifica organizzazione del lavoro non consenta lo svolgimento dell’esperienza di tirocinio in fascia diurna». La normativa lombarda invece rispetto alla «possibilità di svolgimento del tirocinio in orario notturno, vale a dire nella fascia oraria compresa tra le ore 22 e le ore 6 o tra le ore 23 e le ore 7» prevede che possa «essere prevista, nell’ambito di intese sindacali aziendali e ferme restando le tutele già previste dalla normativa vigente ed particolare per i minori, a condizione che la specifica attività del soggetto ospitante giustifichi tale modalità di svolgimento».
→ Uno stagista puo’ essere lasciato solo?
Nè il dm 142/1998 che ancora è il punto di riferimento per i tirocini curricolari né i vari provvedimenti regionali che hanno normato negli ultimi anni quelli extracurricolari prevedono indicazioni esplicite al riguardo. Il fatto che siano stati nel corso del tempo “sdoganati” gli stage in realtà piccole e piccolissime, perfino totalmente prive di dipendenti, porta a pensare che la situazione in cui uno stagista sia lasciato solo per brevi o lunghi periodi non preoccupi il legislatore. Vi sono peraltro alcune attività – pensiamo per esempio a quelle commerciali dove si devono andare a trovare clienti o fornitori – in cui lo stagista può accompagnare il suo tutor, ponendosi in una situazione di “shadowing”, oppure può svolgere le attività in prima persona, in questo caso però autonomamente.
In sostanza, lasciare solo sul posto di lavoro uno stagista non è di per sé qualcosa di illegale, a patto di provvedere periodicamente a momenti di formazione, di valutazione in itinere dei progressi effettuati e del raggiungimento degli obiettivi fissati nel progetto formativo individuale. Naturalmente poi è aperta la discussione su quanto effettivamente sia opportuno che lo stagista resti solo, e quanto invece parte della sua formazione on the job passi proprio per la relazione con “capi” e “colleghi”; inoltre, per quei lavori che prevedono relazioni con il pubblico e/o maneggiamento di denaro, lasciare solo uno stagista può voler dire caricarlo automaticamente di eccessive responsabilità.
→ Uno stage può essere svolto da casa? NEW
Fino al febbraio del 2020 la risposta sarebbe stata: “Certo che no! Che senso avrebbe fare uno stage da casa?”. Ma con il Covid-19 è apparsa la fattispecie prima inesistente di “stage da remoto”. Perché, se lo smart working esisteva anche prima del Covid – anche se era poco utilizzato, soprattutto in Italia – di smart internshipping nessuno aveva mai sentito parlare. Ma nella primavera del 2020 milioni di stage sono stati sospesi o interrotti all’improvviso in tutto il mondo: l'introduzione della possibilità di smart internshipping ha permesso di “salvare il salvabile” per tutti coloro che svolgevano tirocini le cui mansioni erano effettuabili anche da remoto. Va da sé che tale modalità non è stata e non può essere una soluzione per tutti quei percorsi di stage per i quali la presenza è indispensabile, come per esempio uno stage come commessi in un negozio.
Lo smart internshipping è possibile solo se vengono soddisfatti quattro criteri fondamentali: gli obiettivi formativi dello stage sono riconducibili a profili professionali che consentono uno svolgimento dell’esperienza con questa modalità; a livello pratico-logistico lo stage può essere svolto anche senza che il tirocinante sia presente in sede; il soggetto ospitante acconsente a questa modalità; e il tirocinante possiede (o riceve) gli strumenti informatici per poter svolgere lo stage da casa. Di solito questa modalità viene formalizzata dal tutor del soggetto ospitante aggiungendo nel fascicolo del tirocinante, o in un addendum alla convenzione di tirocinio, la documentazione relativa alla modalità “a distanza”.
→ Uno stagista è obbligato a presentarsi in giorni festivi se gli viene chiesto di farlo?
Effettivamente capita che il soggetto ospitante chieda – o peggio, tenti di imporre – allo stagista di essere presente in ufficio (o in negozio, o in fabbrica, o ovunque si svolga il tirocinio) in giorni festivi. Ciò accade, è facile intuirlo, in quelle realtà lavorative che non si fermano per le feste, e che addirittura intensificano la propria attività. Dicembre, per esempio, è un mese particolare perché rappresenta il massimo picco per quasi tutte le attività commerciali – negozi, boutique, grandi magazzini. È bene sapere che 8 dicembre (Immacolata), 25 dicembre (Natale) e 26 dicembre (Santo Stefano) sono festivi garantiti, così come 1 gennaio (Capodanno) e 6 gennaio (Epifania). E poi in ogni città c'è la festa del santo patrono (a Milano il 7 dicembre, Sant’Ambrogio; a Roma il 19 giugno, San Pietro e Paolo; e così via). In questi e negli altri giorni festivi, a cominciare dalle domeniche, gli stagisti non sono tenuti per forza a presentarsi – a meno che non sia previsto direttamente per iscritto nella convenzione di stage. Sopratutto, a livello economico non bisogna aspettarsi che prestando la propria attività in un giorno festivo si riceverà a fine mese una indennità più alta: le retribuzioni maggiorate per i giorni festivi sono previste per chi ha un contratto di lavoro, e non sono applicabili a chi è in tirocinio.
→ Gli “straordinari” durante lo stage devono essere pagati?
No. La normativa non prevede prescrizioni particolari in merito agli orari, che comunque devono essere specificati nella convenzione di stage. L’orario in cui lo stagista deve presentarsi in ufficio è comunque indicativo e non vincolante: a differenza di un normale contratto, quindi, lo stagista è tenuto a rispettare gli orari indicati, e può capitare che arrivi in ritardo o che debba uscire in anticipo, senza che ciò comporti la decurtazione di una certa somma dalla propria indennità mensile, la necessità di presentare documenti giustificativi o di recuperare le ore perdute. Allo stesso modo, se si trattiene di più non può avanzare pretese di “straordinari”. Vale il discorso delle prestazioni in giorni festivi: le retribuzioni maggiorate sono previste per chi ha un contratto di lavoro, non per chi sta svolgendo un tirocinio, e dunque in caso si facciano più ore non ci si può aspettare di ricevere una indennità più alta a fine mese. Nel caso, però, in cui l’orario indicato nella convenzione non sia quasi mai sufficiente e lo stagista si ritrovi la maggior parte delle volte a fermarsi più del dovuto, una soluzione può essere di rivolgersi al tutor aziendale, proponendo magari di integrare l’importo dell’indennità, a fronte del fatto che si svolge quasi sempre un orario più lungo di quello inizialmente ipotizzato.
→ Come è configurata a livello fiscale l’indennità mensile percepita dagli stagisti?
L’indennità – che può assumere varie denominazioni: “premio”, “borsa di studio”, “borsa lavoro”, “rimborso spese forfettario” – va obbligatoriamente erogata nel caso dei tirocini extracurricolari, e può essere anche erogata in caso di tirocini curricolari. Essa è sempre fiscalmente inquadrata come un «reddito assimilabile a quelli di lavoro dipendente». Bisogna dunque fare riferimento all’art. 50 del DPR 917/86 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR) applicando le disposizioni tributarie dei redditi di lavoro dipendente: trattenuta Irpef lorda con aliquota del 23% per somme fino a una certa soglia (intorno ai 15mila euro), nonché detrazioni dall’imposta lorda rapportate al periodo di lavoro nell’anno. L’Irpef è infatti un’imposta personale a carico di chiunque abbia un reddito: in questo caso, lo stagista. Al momento di erogare il rimborso spese il soggetto ospitante trattiene già gli oneri fiscali, cioè l’Irpef ed eventualmente altre imposte locali. Vale a dire che svolge il ruolo di «sostituto di imposta», che tecnicamente è quel soggetto obbligato per legge a trattenere, in caso di erogazione di somme, una ritenuta – prevalentemente a titolo di acconto, ma in alcuni casi anche a titolo di imposta – Irpef al percettore. Si dice «sostituto» perché sostituisce l’erario: prima trattiene al percettore la somma Irpef e poi la versa, sempre nei tempi dettati dalle norme, allo Stato. Ovviamente ciò comporta da parte del soggetto ospitante un accurato calcolo di somme a carico e detrazioni. E qui vi è l’aspetto interessante e vantaggioso per gli stagisti. Da un punto di vista puramente matematico, infatti, fino alla somma di 8mila euro all’anno (quindi 670 euro al mese), per effetto delle detrazioni, non vengono attuate trattenute fiscali. Il lordo e il netto vengono quindi a coincidere. Ciò ovviamente avviene solo se il percettore (lo stagista) non abbia anche altri redditi, provenienti da altre fonti, che lo portino a sforare il tetto degli 8mila euro annui.
→ È vietato dare soldi a uno stagista curricolare?
Assolutamente no, non è vietato. Solo, non è obbligatorio: perché, a differenza dei tirocini extracurricolari, per quelli curricolari la normativa non prevede l’obbligo di corrispondere allo stagista una indennità mensile. È stata presentata alla Camera dei deputati nell’agosto 2018 una proposta di legge che mira a introdurre una indennità minima anche per tutti i tirocini curricolari di durata superiore a 160 ore (un mese), ma l’iter ad oggi – estate 2021 – non è ancora cominciato, dunque non è dato sapere se una tutela del genere verrà mai introdotta!
→ Uno stagista deve fare la dichiarazione dei redditi?
Come per i redditi derivanti da borse di studio, anche quelli derivanti da indennità di tirocinio sono assimilati al lavoro dipendente e viene applicato un trattamento fiscale simile a quello di una normale busta paga. Il soggetto ospitante si occupa di trattenere gli oneri fiscali dello stagista e, se il reddito complessivo annuale non supera gli 8mila euro, lo stagista non è obbligato a fare la dichiarazione dei redditi. Superata questa cifra, si paga una maggiorazione Irpef che è prelevata dal datore di lavoro o versata direttamente dallo stagista, e in quel caso bisogna fare la dichiarazione.
→ L’indennità di stage è compatibile con il sussidio di disoccupazione?
Sì: Naspi, Aspi e mini Aspi sono indennità compatibili con l’indennità di tirocinio, oltre che con una serie di altri compensi, come quelli derivanti da borse di studio e di lavoro, e con i redditi derivanti dallo svolgimento di attività sportive dilettantistiche. A specificarlo sono gli articoli 9 e 10 del decreto legislativo 22/2015, e in più una recente circolare dell’Inps (la n. 174/2017). Il tirocinio, infatti, nonostante venga assimilato ai redditi da lavoro, non è un’attività lavorativa, e perciò è interamente cumulabile con i sussidi di disoccupazione. Ma bisogna specificare che, nel caso in cui uno stagista riceva un sussidio di disoccupazione, il soggetto ospitante ha la facoltà – e non l’obbligo – di corrispondere l’indennità di tirocinio. La decisione, in altre parole, sta al soggetto ospitante. Nel caso l'azienda decida di dare un'indennità di tirocinio, poi, il tirocinante riceve un'indennità diversa a seconda della propria condizione. In particolare, i lavoratori sospesi (ovvero quelli che sulla carta sono occupati, ma a zero ore, per esempio i cassintegrati), possono unicamente ricevere dall’azienda un’indennità di tirocinio che, sommata all'importo del sussidio di disoccupazione, non ecceda il valore minimo previsto dalla Regione (se quindi il sussidio è di 300 euro e il limite minimo di indennità previsto dalla mia Regione è 500 euro, l'azienda potrà dare al cassintegrato-stagista al massimo 200 euro di rimborso spese, indipendentemente da quanto che di solito dia ai suoi stagisti). I lavoratori disoccupati (cioè quelli che hanno perso il lavoro) che ricevono forme di sostegno al reddito, invece, hanno diritto a ricevere (se l'azienda decide di darglielo) un rimborso spese anche più alto rispetto al limite minimo regionale. Queste indicazioni sono esplicitate nelle nuove Linee guida di maggio 2017 e sono attualmente state adottate da (quasi) tutte le Regioni italiane nelle loro normative più recenti.
→ Si può accedere al sussidio di disoccupazione dopo aver finito un tirocinio?
Il sussidio di disoccupazione – ora denominato Naspi, che sta per “nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego” – spetta solamente a chi ha avuto, e al momento non ha più, un contratto di lavoro; bisogna cioè aver lavorato – non necessariamente con un contratto a tempo indeterminato, però con un contratto di tipologia subordinata – e aver versato contributi per un certo tempo, nello specifico almeno trenta giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione e almeno tredici settimane di contribuzione contro la disoccupazione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. Ciò significa che lo stage, non essendo un contratto di lavoro e non dando luogo a retribuzione né a contribuzione, non permette di poter accedere a una prestazione di questo tipo.
→ L’indennità di stage è compatibile con il reddito di cittadinanza? NEW
Sì, il reddito di cittadinanza è compatibile con lo svolgimento sia di attività lavorativa sia di tirocini. I redditi derivanti da questo tipo di attività formativa “on the job” non sono soggetti agli obblighi di comunicazione previsti dalla legge 26/2019, che è appunto quella che regolamenta la misura del reddito di cittadinanza: lo conferma anche una circolare Inps del 2019 precisando che «non devono essere comunicati i redditi derivanti da attività socialmente utili, tirocini, servizio civile, nonché da contratto di prestazione occasionale e libretto di famiglia». Come tutti i redditi da lavoro, anche gli introiti derivanti da tirocinio comunque andranno successivamente valorizzati in sede Isee: sono gli indicatori economici di ciascun nucleo familiare a determinare infatti il diritto a percepire il reddito di cittadinanza.
Per un tirocinante che percepisce tale sussidio le circostanze possono essere due. La prima è che viva a casa dei genitori, e faccia parte dunque dello stesso nucleo familiare: in quel caso il reddito derivante da tirocinio concorrerà alla composizione del reddito familiare e di conseguenza al diritto della famiglia a percepire il reddito di cittadinanza. Se invece il giovane vivesse da solo e fosse affrancato dai genitori, allora sarà solo la sua indennità di stage a essere calcolata ai fini Isee, e a determinare dunque (insieme alle eventuali altre sue fonti di reddito) l'accesso alla misura.
→ L’indennità a favore dello stagista è sempre mensile?
Solitamente l’entità dell’indennità viene esplicitata con il suo valore mensile, per esempio “400 euro al mese”. Ma non è detto che venga erogata mensilmente; a volte i pagamenti vengono effettuati ogni due mesi, oppure può accadere che la cifra totale (esempio, 2.400 euro complessivi per uno stage di sei mesi con compenso di 400 euro al mese) venga erogata parzialmente all’inizio e parzialmente al termine del percorso formativo. Il consiglio per gli stagisti è quello di informarsi il prima possibile sulle modalità e le tempistiche di erogazione dell’indennità, per non avere sorprese in itinere. Attenzione, a questo proposito, agli stage in cui è previsto che l’indennità non venga pagata direttamente dal soggetto ospitante, bensì da altre fonti (per esempio con fondi pubblici, come accade con Garanzia Giovani, gestiti dall’Inps o dalle Regioni): in questi casi è bene mettere in conto che i pagamenti, a causa di frequenti lungaggini burocratiche, potrebbero arrivare anche con molto ritardo.
→ Cosa succede al rimborso spese in caso di assenza per malattia o altro?
Un eventuale periodo di malattia dello stagista non determina il diritto a percepire comunque il compenso. Naturalmente, invece, se la convenzione firmata tra soggetto promotore e soggetto ospitante regola tali periodi di assenza, il datore di lavoro deve attenersi a quanto dettato dalla scrittura sottoscritta. Il soggetto ospitante non è tenuto a corrispondere per intero il rimborso spese se lo stagista sta a casa, a meno che non lo abbia messo per iscritto nella convenzione di stage. Ciò non toglie che possa farlo, corrispondendo comunque l’indennità nei periodi non frequentati dallo stagista per cause derivanti da assenza per malattia o in caso di interruzione anticipata. Sta insomma al “buon cuore” del soggetto ospitante decidere se decurtare l’importo del rimborso spese o no.
Attenzione, però, perché in alcuni programmi – specialmente se finanziati con fondi pubblici – vi è un tetto massimo di assenze (solitamente espresso in una percentuale di ore sul totale del monte ore settimanale o mensile previsto), superato il quale si perde il diritto all’indennità mensile, o l'importo viene riparametrato alle ore effettivamente effettuate.
→ C’è bisogno di certificati medici o di permessi speciali per le assenze?
No. Uno stagista non è tenuto a esibire un certificato medico per giustificare un’assenza di uno o pochi giorni, né ha bisogno di permessi speciali per effettuare un’assenza programmata – per esempio, in caso debba sottoporsi a una visita medica, sostenere un esame universitario o altri impegni. Lo stagista non è un lavoratore, non deve timbrare un cartellino e non gli possono essere richieste le stesse prestazioni che si richiedono a un dipendente. Ovviamente è nell’interesse dello stagista stesso svolgere lo stage con assiduità e impegno, sia per imparare sia per dimostrare la propria efficienza in vista di una possibilità di assunzione post stage; ma non essendo un dipendente non è vincolato al rispetto assoluto dell’obbligo di presenza. Irricevibili sono in questo senso, per esempio, le situazioni in cui uno stagista avverte che dovrà stare assente un determinato giorno e il tutor cerca di negargli il permesso, adducendo la necessità della sua presenza in ufficio / negozio. Lo stagista non deve essere mai necessario, né tantomeno indispensabile.
→ Lo stage vale ai fini della futura pensione? NEW
No. Non essendo lo stage un contratto di lavoro, così come non dà luogo a una retribuzione – motivo per cui le somme che gli stagisti ricevono vanno definite “indennità”, “premio”, “borsa di studio”, “borsa lavoro”, “rimborso spese forfettario”, e mai “retribuzione” o “stipendio” – non dà nemmeno diritto a contributi previdenziali. I periodi di stage dunque non hanno valore a fini pensionistici.
→ Gli stage gratuiti sono legali?
Non tutti. La risposta è sì in caso di tirocini curricolari, ovvero quelli svolti «nel periodo di frequenza del corso di studi anche se non direttamente in funzione del riconoscimento dei crediti formativi», per i quali non vi è una normativa di riferimento che preveda l’obbligo di corrispondere una indennità minima. La risposta è invece no in caso di tirocini extracurricolari: in questo caso le Regioni hanno deliberato ciascuna una somma minima, che va da 300 a 800 euro. I tirocini gratuiti sono quindi illegali se il tirocinio è configurato come “extracurricolare”, ma se invece è inserito all'interno di un percorso di studio, come per esempio un corso di laurea o un master, è inquadrato come “curricolare” e non gode di tutte le garanzie che le nuove normative regionali hanno fornito.
Quella attuale è dunque una situazione paradossale di tirocini di serie A e tirocini di serie B, dove i tirocini curricolari sono purtroppo quelli di serie B, al momento privi di un quadro normativo preciso, e come detto privi anche di compenso minimo. Per i tirocini curricolari sarebbe buona regola che fossero i soggetti promotori (l'ufficio stage universitario o la segreteria del master) a richiedere ai soggetti ospitanti di prevedere un minimo di rimborso spese. Purtroppo la realtà è ben diversa, e spesso il soggetto promotore si limita a compilare i moduli di convenzione di stage e a provvedere agli obblighi di legge come l'assicurazione Rc e la posizione Inail per lo stagista. La decisione, per questo tipo di tirocini, è quindi a completa discrezione dell'azienda ospitante – che può decidere sia di erogare un rimborso spese mensile ma anche di non dare nulla allo stagista, senza comunque uscire dal perimetro della legalità.
→ Si possono fare due stage contemporaneamente, oppure uno stage contemporaneamente a un lavoro?
Sì, purché gli orari siano compatibili: nessuna norma di legge impedisce a chi sia titolare di un rapporto di lavoro a tempo parziale di impegnare la parte libera della propria giornata in uno stage presso un’azienda diversa da quella dalla quale dipende, sempre che l’esperienza formativa abbia per oggetto mansioni differenti da quelle già svolte. Allo stesso modo si può pensare di impegnare il proprio tempo in due stage diversi, entrambi part-time. Sono comunque fattispecie molto rare.
Attenzione perché vi sono dei particolari programmi di stage (spesso finanziati con fondi pubblici) che richiedono come requisito per l’accesso quello di essere privi di occupazione: significa che in quel caso potrebbe non essere possibile attivare lo stage a favore di una persona che abbia già un impiego (o un altro stage), seppur part-time.
→ Si può fare uno stage extracurricolare se si è ancora studenti?
In linea generale, la qualità di studente non è incompatibile con eventuali altri “status” come quello di inoccupato o disoccupato, e quindi è possibile anche per uno studente intraprendere uno stage extracurricolare: in quel caso si verrà coinvolti non in quanto studenti, ma in quanto appartenenti ad altre categorie quali inoccupato, disoccupato, soggetto disabile o svantaggiato. Ciò implica però che uno studente universitario non si potrà rivolgere, per esempio, all'ufficio stage / placement del proprio ateneo (perché rivolgendosi lì, automaticamente lo status di studente prevarrebbe su tutti gli altri), ma a un centro per l'impiego o a un'agenzia per il lavoro per far attivare lo stage.
→ Per gli stage extracurriculari la normativa a cui fare riferimento è quella della Regione nella quale si svolge lo stage?
Sì, nel 99% dei casi la normativa da seguire sarà quella della Regione dove vive e dove fa lo stage. È però possibile che il soggetto ospitante sia “multilocalizzato”, cioè abbia uffici/sedi/filiali in varie città in Regioni diverse, e per poter semplificare le sue procedure amministrative nella gestione dei tirocini scelga di avvalersi della facoltà – prevista praticamente da tutte le normative regionali – di utilizzare in tutte le sue sedi la normativa di riferimento della Regione ove ha la sua sede legale. In questo caso, per capire a quale normativa fare riferimento bisognerà considerare appunto quella della Regione dove è ubicata la sede legale del soggetto ospitante.
→ L’iscrizione a Garanzia Giovani è obbligatoria per fare uno stage?
No. La Garanzia Giovani (Youth Guarantee) è un’iniziativa specifica a cui l’Unione europea ha dato vita nel 2014 per favorire l’occupazione giovanile attraverso lo stanziamento di finanziamenti per l’orientamento, la formazione e l’inserimento al lavoro. In particolare, in Italia il programma si rivolge ai giovani dai 15 ai 29 anni che non studiano e non lavorano, i cosiddetti Neet, e punta a fornire loro entro 4 mesi dalla fine degli studi o dall’inizio del periodo di disoccupazione un’offerta qualitativamente valida di impiego, formazione permanente, apprendistato o tirocinio. Il programma, quindi, è pensato per una specifica fascia giovanile e abbraccia tutto il tema del lavoro, inclusi gli stage. L’iscrizione al programma da parte di un giovane (che rispetti i requisiti di ammissione) non è obbligatoria, ma può rappresentare un buon modo per ricevere un aiuto concreto nella ricerca di stage o lavoro ed entrare in contatto con diverse opportunità. Inoltre, può succedere che nel momento in cui si trova un’azienda disponibile ad iniziare un percorso di questo tipo, all’aspirante stagista venga richiesta l’iscrizione al programma. Per aderire a Garanzia Giovani occorre registrarsi sul sito dedicato nazionale oppure sui portali regionali. Attivando il profilo personale, si scelgono una o più Regioni dove si preferisce usufruire delle opportunità previste dal programma (corsi di formazione, tirocinio, proposta di lavoro, sostegno all’autoimprenditorialità...).
→ Che differenza c’è tra stagisti, tirocinanti, praticanti e apprendisti?
Per non rischiare di fare confusione, ecco una panoramica.
1) Stage o tirocini
Questo tipo di tirocini si suddivide in due sottogruppi: i “curricolari”, svolti durante un percorso di studi, per i quali non è previsto l’obbligo di erogare un rimborso spese a favore del tirocinante; e gli “extracurricolari”. Mentre i curricolari sono esclusivamente «di formazione e orientamento», quelli extracurricolari possono essere «di formazione e orientamento» se svolti entro i 12 mesi dal conseguimento dell’ultimo titolo di studio, oppure «di inserimento / reinserimento lavorativo» se svolti oltre quel termine. Questi sono gli stage / tirocini più diffusi e noti, quelli che possono essere svolti in qualsiasi settore professionale, da chiunque stia compiendo un percorso di studi (es. studenti delle superiori, o universitari, o allievi di corsi e master), oppure da chi lo abbia già concluso. In generale, quelli formativi dovrebbero essere riservati a persone ancora prive di esperienza lavorativa.
2) Tirocini professionali
Definizione completa: “tirocini per l’accesso alle professioni regolamentate”. Sinonimo più utilizzato: “praticantato”. Qui si passa nel campo delle professioni cosiddette “regolamentate”, che sono circa 150: quelle più classiche sono l’avvocato e il commercialista, ma sono compresi anche giornalisti e notai, ingegneri e geometri, architetti e farmacisti, tutte le specialità mediche, etc. L’elenco completo è allegato alla direttiva 2005/36/CE recepita con il decreto legislativo 206/2007. Per alcune di queste professioni è richiesto lo svolgimento di un tirocinio professionale. Spesso tali tirocini prevedono l’obbligo di erogare un compenso, ma talvolta questo compenso è molto basso; vi sono addirittura casi – come quello degli psicologi – in cui anzi è espressamente vietato offrire un compenso ai tirocinanti. Anche i tirocini professionali / praticantati non sono contratti di lavoro, dunque non danno luogo a retribuzione né a contributi, e sono dunque ininfluenti ai fini pensionistici.
3) Apprendistato
L’apprendistato a differenza dei precedenti è un vero contratto di lavoro. Si suddivide in tre tipologie: “per la qualifica e per il diploma professionale” (destinato ai giovanissimi), poi “professionalizzante” (o “contratti di mestiere”) e infine “di alta formazione e di ricerca” (per i profili con alto grado di istruzione). A seconda delle tipologie può essere sottoscritto da un giovane di età compresa tra i 16 ed i 29 anni, ha una durata massima fino a 6 anni e prevede che il lavoratore svolga un determinato numero di ore di formazione. È stato a più riprese definito come la «modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro». A livello tecnico, si tratta di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato che ha la peculiarità di permettere un licenziamento immotivato al termine della parte formativa, senza bisogno da parte del datore di lavoro di addurre giusta causa né giustificato motivo. Per il datore di lavoro è vantaggioso perché ha profili retributivi e contributivi ribassati; è ovviamente vantaggioso anche per i giovani perché prevede retribuzione, contributi, copertura assicurativa per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le malattie, l’invalidità e la vecchiaia, la maternità, l’assegno familiare, il sussidio di disoccupazione in caso di licenziamento. Inoltre l’apprendista, al pari di un lavoratore a tempo indeterminato, ha diritto a ferie e permessi retribuiti.
4) FIT (Formazione Iniziale e Tirocinio) e TFA (Tirocinio Formativo Attivo)
Il Fit, e prima ancora il TFA, erano modalità di formazione per l'abilitazione all'insegnamento destinata agli aspiranti insegnanti di scuola secondarie. Ad oggi non esistono più.
→ Si può attivare e gestire in autonomia il proprio stage?
No. Lo stage è una convenzione tra un “soggetto promotore” (università, centro per l'impiego, agenzia per il lavoro...) e un “soggetto ospitante” (ente pubblico, azienda privata...), che definiscono insieme un progetto formativo in cui vengono indicate le mansioni che il tirocinante imparerà nel corso dello stage. Dunque non si può prescindere dal soggetto promotore. Ad ogni stagista devono essere sempre attribuiti due tutor, uno all’interno del soggetto ospitante – cioè il “tutor aziendale”, che avrà un rapporto quotidiano con il tirocinante e sarà il responsabile della qualità formativa dello stage – e uno all’interno del soggetto promotore. Per ogni stage vengono attivate inoltre un’assicurazione rc e una posizione Inail per eventuali infortuni. Per poter svolgere il ruolo di ente promotore bisogna essere in possesso di particolari requisiti; gli enti promotori più comuni sono i centri per l’impiego, gli uffici stage delle università, le agenzie per il lavoro.
→ È legale che a un giovane vengano chiesti dei soldi per avviare uno stage?
Capita (per fortuna raramente) che a un aspirante stagista venga chiesto di corrispondere una certa somma per poter iniziare l’attività di stage, magari adducendo come motivazione la copertura assicurativa Inail o quella relativa alla responsabilità civile verso terzi. Ma queste due voci di spesa sono a carico del soggetto promotore, oppure del soggetto ospitante. Gli unici obblighi che lo stagista deve rispettare sono quelli di seguire le indicazioni dei tutor e fare riferimento a loro per qualsiasi esigenza di tipo organizzativo; rispettare i regolamenti aziendali e le norme in materia di igiene, sicurezza e salute sui luoghi di lavoro; e mantenere la riservatezza sui dati, le informazioni o le conoscenze sui processi produttivi acquisiti durante lo svolgimento del tirocinio. È bene dunque che chi si appresta a svolgere uno stage ponga particolare attenzione a eventuali richieste di denaro, perché tali richieste non hanno fondamento nelle norme di legge e regolamentari che disciplinano lo stage; se queste richieste hanno altre giustificazioni (come, per esempio, l’acquisto di materiale didattico necessario allo svolgimento del percorso formativo), tali diverse giustificazioni dovranno essere chiaramente esplicitate e documentate, e la loro legittimità dovrà essere valutata caso per caso.