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Pratica forense: come scegliere tra la propria dignità ed un lavoro non retribuito.

12 anni, 8 mesi fa di PPaolaP

Dopo numerosi quanto infruttuosi colloqui con gli avvocati mi trovo qui a redigere il racconto di come questa esperienza mi abbia aperto gli occhi. Perché cercare di mantenere un certo tipo di rispettabilità in questo ambiente è praticamente impossibile.
Ora, non mi dilungherò ad illustrarvi ogni singolo colloquio che ho sostenuto. Sono certa vi basteranno alcune delle risposte più significative che ho ottenuto dai Principi del Foro.
L’esperienza peggiore in assoluto è stata quella con uno dei più grossi studi della città. Dopo essermi fatta valere sul campo di battaglia ed aver passato la “fase frastornamento” sono tornata a casa con il magone. L’avvocato in questione mi ha chiesto per prima cosa come intendessi fare per mantenermi durante gli anni di pratica. Voglio specificare che offriva un “rimborso spese”, insufficiente però a pagare il più misero degli affitti. Probabilmente per non sentirsi dire da qualcuno che anche lui, come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi, mandava a quel paese il codice deontologico. Ecco qui uno stralcio della nostra conversazione. E’ andata pressappoco così:
- Dottoressa, lei come avrebbe intenzione di fare per mantenersi durante la pratica forense?
-Lei cosa pensa debba fare? Lavorare di notte? No, perché temo che sarei poco produttiva durante il giorno.
-Non pensa di chiedere una mano ai suoi?
-Per “una mano” lei intende che devo chiedere ai miei di mantenermi mentre lavoro per lei?
-Non potrebbe fare altrimenti.
(Devo riconoscere che almeno è stato chiaro e diretto.)
-No, guardi, lavoro da quando ero al liceo, non chiederò ai miei di mantenermi.
-Allora temo lei non possa esercitare la libera professione. Io chiesi una mano a mio padre quando decisi che volevo fare l’avvocato. E ai miei tempi non pagavano.
(Eh, perché invece lui PAGA.)
-Quindi non basta la buona volontà, la motivazione e la voglia di fare? Anche solo per poter accedere all’esame di stato devo chiedere ai miei di mantenermi fino a quando non avrò superato l’esame, che come ben sa è un terno al lotto?
-I fuorisede che non hanno un appoggio economico da parte della famiglia non possono farcela. Perché non torna a casa dai suoi?
Temo non abbia bisogno di commenti. Anzi, no, vorrei commentare riportando la reazione di mio padre <>. No papà, non si vergogna.
Ed ecco a voi le reazioni degli altri avvocati:
-Guardi, la retribuizione del lavoro nello studio legale, è il lavoro stesso nello studio legale. Bisogna fare sacrifici per diventare avvocati.
-I sacrifici a cui lei si riferisce, dovrei farli io? O i miei genitori?
-Beh, in vista di un futuro da avvocato…
Insomma, mancava mi dovessi inginocchiare e renderle grazie per l’onore di poter lavorare con lei in uno STUDIO LEGALE (detto come lo diceva lei, sembrava dovessi lavorare alla CIA). Per non parlare di come diceva la parola AVVOCATI, cercando infruttuosamente di insinuare nella mia mente il miraggio di grossi guadagni una volta terminati i “sacrifici”.
Altro studio:
-Le vogliamo far capire che non è semplice questo mestiere. Si lavora quando va bene 9 ore, ma anche 14 ore al giorno. E poi non venga a dire “ma io non lo sapevo” oppure “ma io credevo di poter assistere alle udienze”.
No? Non posso assistere alle udienze? Che sono venuta a fare? Questo studio ha furbescamente glissato sull’argomento retribuzione. Non ho chiesto neanche, mancava che prendessero in mano la frusta per testare il mio livello di sopportazione al dolore fisico.
Ma adesso vi riporto LA CHICCA. Non so se ridere o piangere, fate voi:
-Ma lei, dia retta a me, se non può fare pratica perché non viene retribuita, si metta a studiare e dia l’esame.
-Scusi, l’esame?
-Eh sì, guardi che è difficile eh. Lasci stare la pratica e studi. Dia l’esame l’anno prossimo. Poi lei, mi si presenta così per fare pratica… e non è neanche avvocato.
-Certo che non sono avvocato. Se fossi avvocato non cercherei un avvocato da cui fare pratica.
-E allora dia l’esame!
-Mi scusi avvocato, a parte il fatto che non posso dare l’esame l’anno prossimo, mi chiedo: come pensa che possa dare l’esame lasciando perdere la pratica se la pratica è condizione imprescindibile per avere accesso all’esame?
-Ah, non lo sapevo.
Adesso, non so da che pianeta venga, mi sono permessa a chiedergli anche se avesse studiato in quella città. In realtà volevo capire se fosse o meno italiano. Ma come è possibile??? Se qualcuno ha una risposta, per favore, mi illumini.
E terminiamo con le frasi preferite da TUTTI gli avvocati:
“Noi insegnamo una professione, voi imparate. Perché dovremmo anche darvi una retribuzione per imparare? Noi vi retribuiamo mettendo a disposizione il nostro tempo e i fascicoli. E nessuno di noi ai nostri tempi è stato retribuito”.
Questo è il rapporto di scambio che si deve instaurare. Per due anni almeno.
Eh sì, perché ci vogliono due anni e passa per imparare. Siamo tutti celebrolesi. Perché anche le aziende quando fanno i contratti di apprendistato, non pagano gli apprendisti…perché la retribuzione per gli apprendisti è imparare il mestiere!
Ho la vaghissima impressione che si sia perduto per strada il significato della parola “lavoro”. Adesso si lavora per la gloria. E se vivi sotto un ponte, ma hai la gloria, sai che soddisfazione?
Altra frase comune a TUTTI:
”I miei colleghi che pagano, in realtà non vogliono un collaboratore, ma un segretario. E voi ci cascate allettati dai facili guadagni”.
Peccato che invece i miei, di colleghi, abbiano lavorato come facchini proprio per quegli studi che non davano un euro di rimborso spese. E che per “facili guadagni” uno degli avvocati intendesse letteralmente “50-100 euro al mese”.
Mi chiedo se anche loro abbiano un forum in cui discutere di noi poveracci e imparare a memoria le risposte da darci, in modo tale da essere certi di darci le stesse identiche risposte con le stesse identiche parole. Così, solo perché “a communi observantia non est recedendum”.
Chissà le grasse risate che si fanno alla faccia nostra. Mentre i politici ci additano come mammoni che non vogliono staccarsi dalla casa natìa, la società ci dice di stare invece a casa, perchè non possiamo permetterci una vita dignitosa distanti dalle gonne di mammà.



gianclaudio

10 anni, 10 mesi fa

Ciao Paola... che dirti!Una vergogna che mi ha suggerito di scrivere un libro improntato sulla mia traumatica esperienza. Se ti capita di fare un salto su facebook, questo è il link della mia pagina:
https://www.facebook.com/pages/Gocce-di-rassegnata-vergogna-la-pratica-forense/1427416984147144?fref=ts
Un salutone

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