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Obbligata ad andare in ufficio

4 anni fa di iceagecomin_

Ciao a tutti,

sto svolgendo un tirocinio curriculare (con questa formula solo perché l'azienda lo preferiva, ma di fatto è un lavoro a tutti gli effetti quello che svolgo) presso un'agenzia per il lavoro. Ci troviamo a Milano, dove la situazione coronavirus è particolarmente critica, e l'unico modo che ho per spostarmi sono i mezzi pubblici.
La farò breve: mi obbligano ad andare in ufficio in presenza, e io lo trovo onestamente allucinante. La beffa più grande è che i dipendenti con contratto possono decidere di stare a casa (è un lavoro che si può svolgere benissimo da remoto), mentre io devo andare in presenza quando mi viene detto di farlo, e non ho autonomia decisionale né vengo interpellata su quanto mi senta confidente a farlo in una situazione così delicata. Ovviamente i miei capi sanno benissimo che prendo i mezzi e sanno benissimo che se loro lo volessero potrei lavorare da casa, e invece continuo a trovarmi inutilmente davanti a un pc e lavorare con gli altri del mio team che nel frattempo stanno in smartworking, insomma con nessuna differenza rispetto al fare la stessa cosa da casa. Tutto questo, anche per la disparità di trattamento con gli altri, mi sembra assurdo. Non c'è qualcosa che posso fare per tutelarmi? Che ne pensate?

Redazione_RdS

3 anni, 12 mesi fa

Lo stage da remoto, che noi abbiamo ribattezzato "smart internshipping", è una possibilità – ma non un obbligo. Ciò significa che è a discrezione del soggetto ospitante decidere di utilizzare questa modalità oppure no. Certo, sembra assurdo che di fronte ad appelli continui alla prudenza, e a indicazioni (anche per iscritto!) delle istituzioni a cercare di preferire ove possibile lo svolgimento delle attività lavorative e/o di formazione da casa, vi siano invece aziende che si intestardiscono nel richiedere la presenza in ufficio.

Vi sono però degli elementi che vanno tenuti in considerazione per poter formulare riflessioni ponderate. Non sono elementi necessariamente positivi o negativi, o necessariamente "pro" o "contro" la situazione in questione. Ma vanno considerati e approfonditi.

1) Vi sono mansioni che non è possibile svolgere da casa. Pensiamo alle fabbriche che producono oggetti, per esempio: in questo caso c'è bisogno che vi siano fisicamente le persone che producono questi oggetti. Tu dirai, Iceagecomin, "Ma questo non è il mio caso: io faccio lo stage in un'agenzia per il lavoro". Giusto. Ma effettivamente vi è almeno una attività che viene abitualmente svolta nelle agenzie per il lavoro, e che non è possibile svolgere da casa: l'accoglienza di utenti. Le agenzie per il lavoro hanno infatti le proprie sedi su strada, solitamente con grandi vetrine che espongono i cartelli con le offerte di lavoro, e parte dell'attività è proprio quella di ricevere persone che hanno un appuntamento o che si fermano di fronte alla vetrina, magari perché attratti da un annuncio, e decidono di entrare e lasciare il proprio cv. Se per il primo gruppo la soluzione è facile (anziché di persona, gli appuntamenti possono essere concordati ed effettuati online), non avere nessuno fisicamente in agenzia significa "perdere" il secondo gruppo.

2) Abbiamo visto che in questi mesi le aziende in grado di lavorare totalmente in modalità smart hanno di solito messo il 100% del personale a proseguire le attività da casa – compresi gli stagisti, in caso ne avessero e le indicazioni regionali lo permettessero. Vi sono però attività produttive che hanno scelto una via intermedia, spostando in modalità smart una parte (solitamente la maggior parte) del personale, e lasciando però una piccola parte in sede per le mansioni indispensabili e impossibili da svolgere da remoto. In quest'ottica, non sarebbe insensato che un'agenzia per il lavoro aperta al pubblico riducesse il suo personale in ufficio, ma non lo azzerasse completamente, in modo da poter restare appunto aperta al pubblico.

3) seguendo il ragionamento del punto 2, se venisse scelta una modalità mista, nulla vieterebbe che nel "misto" di persone a cui è richiesta la presenza in ufficio vi fossero anche stagisti. Naturalmente in misura proporzionata ai dipendenti in ufficio.

4) In questi mesi sta emergendo comunque, oggettivamente, una difficoltà nel gestire gli stage da casa, perché la possibilità di seguire passo per passo le attività dello stagista è molto più ardua, per il tutor, da remoto. Certo, c'è la possibilità di sentirsi al telefono, di fare videocall e riunioni via Zoom o Skype o chi più ne ha più ne metta: ma certamente la formazione "on the job" riesce meglio quando c'è un rapporto diretto. Dunque c'è anche la possibilità che le aziende cerchino di usare il meno possibile la modalità "smart internshipping" in un'ottica di fornire ai propri stagisti un percorso formativo migliore.

5) considerando le curve e i dati statistici, i giovani non sono fascia a rischio. Chiedere a un dipendente 60enne o obeso o diabetico o cardiopatico o immunodepresso di recarsi in ufficio in questo periodo anziché permettergli di proseguire le attività da casa sarebbe, francamente, inaccettabile. Diverso è, oggettivamente, chiedere a uno stagista 25enne in salute di farlo.

6) fermo restando quanto espresso al punto 5, è anche vero però che ciascuno ha diritto a fare le sue valutazioni rispetto al rischio. Se una persona ha molta ansia nell'utilizzo dei mezzi pubblici, e i mezzi pubblici sono l'unico modo per raggiungere il luogo di lavoro/stage, anche se non rientra nelle fasce di popolazione a rischio è poco sensibile da parte dell'azienda non tenere conto di questi suoi timori e obbligarla a fare ogni giorno il tragitto casa ufficio.

7) Anche qualora lo/la stagista fosse un/a 25enne in salute, vi sono ovviamente delle condizioni che potrebbero comunque rendere - al di là delle paure intime e "emotive" - in effetti sconsigliabile e potenzialmente pericoloso un obbligo di recarsi quotidianamente in ufficio. Pensiamo a situazioni ove questo/a 25enne viva insieme ai nonni, oppure con genitori/parenti malati, insomma a contatto con fasce a rischio. Oppure, all'estremo opposto, che conviva con personale sanitario (medici, infermieri) a contatto quotidiano con malati. In questo caso è importante informare l'azienda presso cui si lavora (o fa uno stage), in modo che le decisioni su chi deve andare in ufficio e chi no possano essere prese con tutti gli elementi in mano.

8) torniamo poi per un attimo ai punti 2 e 3. La parola chiave è "proporzione". Tutto questo ragionamento ovviamente non vale se l'agenzia in questione (o qualsiasi negozio o azienda che abbia una apertura al pubblico) mette a lavorare da casa tutti i suoi dipendenti... e lascia in sede solo uno stagista! (o più stagisti). In questo caso si profila una situazione inaccettabile: innanzitutto perché lo stagista è, di fatto, "abbandonato" a gestire da solo una intera sede (e dunque non può esserci nemmeno l'ombra di quella qualità formativa di cui al punto 4); e secondo poi perché la sua presenza è chiaramente funzionale alle esigenze dell'azienda, che ottiene di poter tenere aperto il suo ufficio senza dover usare i suoi dipendenti, lasciandoli comodamente a lavorare da casa, e mettendo questa responsabilità sulle spalle dello stagista.

In definitiva Iceagecomin la scelta è tua. Non possiamo che suggerirti di fare una riflessione sulla base di questi punti, e magari di contattare il soggetto promotore di questo stage (chi è?) per vedere cosa ne pensa e qual è la sua posizione in merito alla prosecuzione degli stage da casa. Hai sempre la possibilità di chiedere l'interruzione anticipata dello stage, ovviamente.

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