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Sento che è tutto inutile

5 anni, 10 mesi fa di AsdrCott

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Sento che è tutto inutile

A volte contestare la scelta che abbiamo fatto noi stessi è un vero e proprio tabù che rischia di mandare in cortocircuito te e in secondo luogo tutti quelli che hanno fatto la tua stessa scelta.
Ma io, sono qui, in questo sfogo per manifestare la mia delusione e la mia tristezza…
L’argomento non può essere affrontato in pubblico o in intimità: si rischia di allontanare amici e parenti e probabilmente già l’ho fatto quando ho accennato a ciò che mi affligge.
Sono già stato dallo psicologo, ma ha ammesso di essersi arreso, cercando di indirizzarmi da altri suoi colleghi da cui non sono mai stato. Ho già oberato fin troppo economicamente i miei genitori.

Cinque anni fa ho scelto per ignoranza di trasferirmi in un’altra città, in una università privata per studiare giurisprudenza. Al secondo anno mi sono reso conto che non era un percorso che faceva per me, ma ho continuato perché non so davvero cosa avrei potuto fare nella vita e non lo so tuttora. Probabilmente il mio sogno sarebbe insegnare storia nelle università, ma per motivi che comprenderete non ho mai perseguito questo obiettivo. Mi affascinava l'idea di fare il diplomatico, ma poi cresci e capisci che se sai parlare solo l'inglese quando i tuoi coetanei parlano già 3-4 lingue e si deve passare un concorso pubblico con un numero di posti miserrimo, forse è meglio cambiare idea; magari poi studi diritto internazionale e ti fa schifo.
Tralasciando ciò.
Vengo da una famiglia umile. Grazie ad una vertenza abbiamo ottenuto un gruzzoletto che hanno speso esclusivamente nella mia formazione e quest’anno si sono esauriti.
Si sono privati delle vacanze, mi hanno pagato l’affitto in una città costosa, sono stati costretti a convincere mia sorella a restare nel paese di origine perché non c’erano soldi per entrambi. Tutto questo per un percorso che non mi appassiona un granché e senza prospettive che mi piacciano.
Ho fatto di certo il mio dovere di studente, ho un’ottima base di laurea che mi consente di arrivare a 110, ho una esperienza all’estero dove ho svolto alcuni corsi di un master, mi è stato anche pubblicato un “research paper” che avevo scritto all’estero da una casa editrice, ho svolto tanti tirocini e progetti: al senato, a New York, e infine presso un famoso studio legale; ho lavorato anche part-time nel settore dell’Orientamento e così via.

Nonostante ciò, so che il massimo a cui posso aspirare mi fa rivoltare e mi disgusta profondamente.
Il tirocinio presso lo studio legale mi ha fatto capire che non voglio fare l’avvocato, eppure “avere il titolo è necessario”. Non mi attirano neanche tutte le altre carriere (notarile, magistratura, ecc). Ho amici brillantissimi di altre università, pubbliche e private che al massimo stanno in quei studi legali col fatturato da capogiro a lavorare minimo 16 ore al giorno, senza alcuna tutela contrattuale e senza un salario che consenta loro di vivere degnamente (che ben che vada si aggira sui 1200 euro e se riescono a conciliare lo studio diventando avvocati a trent'anni avranno 3000 euro con una vita da schifo).

Tutti gli studenti di giurisprudenza, dopo la laurea, hanno vissuto questa “gavetta”. Quando essa finisce si sentono tutti in diritto di adoperare le stesse metodiche di sfruttamento lavorativo che avevano loro stessi subito nei confronti dei nuov disgraziati neolaureati.
A me tutto questo fa schifo e mi disgusta. Ovviamente quegli studenti che non hanno il cv al mio livello possono pensare che io sia puerile e ridicolo. Io desidero semplicemente fare una gavetta vera, una pratica vera, voglio avere la certezza che ogni mio sacrificio verrà ricompensato, che tutto lo schifo che ho vissuto sarà ripagato da un lavoro con un bel contratto e un bel bilanciamento vita lavorativa/vita privata, ma nessuno può darmi questa garanzia, nemmeno io posso darla a me stesso.

Sono davvero pretenzioso?

Siamo pretenziosi noi che non chiediamo nient’altro che avere una garanzia sul nostro futuro? Di avere un inquadramento in apprendistato con degli orari ben definiti, di avere stage davvero formativi, di aspirare ad avere una piccola soddisfazione economica che compensa il nostro lavoro equamente volta per volta?
Mi sono ultra-specializzato in questi anni sul diritto europeo sulla protezione dei dati personali, la tesi la scriverò in inglese.
Sono quasi certo di poter trovare quel che voglio in qualche ufficio di compliance aziendale all’estero, ma anche qui il pensiero mi distrugge.
Amo troppo l’Italia e il mio paese, amo i passatempi che posso fare qui: uscire e passeggiare col sole in un parco, sentire i colori e le voci dei nostri connazionali, le espressioni colorite dei miei conterranei, il caffè e in generale tutta la vitalità che solo chi ha già vissuto all’estero può apprezzare sotto una nuova luce.
Tutto ci sembra sempre “meglio” all’estero quando siamo in Italia, ma appena vivi un anno fuori ti rendi conto invece che il tuo desiderio è trovare una dimensione nel luogo in cui sei nato.
Ed ecco che ora sono qui a scrivere una tesi complicatissima in inglese e sento che ogni mio sacrificio di questi anni sia stato inutile.
Che il mio laurearmi in corso sarà inutile perché al massimo vado in questi studi legali dove dovrò pure fingermi super-motivato, o a provare un concorso come fanno tutti, o andare all’estero per trovare le garanzie che voglio.


Tutto questo è un tabù. Anche chi non ha questa disponibilità di scelta perché non sa l’inglese o per altre questioni sente che io sia ridicolo, mi fa ancora più soffrire non poter trovare qualcuno che possa comprendere la mia sofferenza. La gavetta implicherà che i miei vecchi genitori dovranno ancora lavorare senza andare in pensione e se vado all’estero significa che non potrò stare con loro mentre invecchiano. Tutto questo mi distrugge e volevo semplicemente scriverlo, so che pochi mi risponderanno o capiranno, al massimo verrei offeso e compatito con una parola di conforto: "Siamo tutti nella stessa barca". Ma la verità è che non so neanche io cosa voglio da questo mio post, volevo solo avere il coraggio di dire ciò che non ho il coraggio di pensare e ammetterlo a me stesso.

AsdrCott

5 anni, 9 mesi fa

In risposta a #26728
grazie per la vicinanza, ho letto in ritardo perché non vedevo da tanto questo sfogo. Spero che un giorno riusciremo a caprie cosa vogliamo e che troveremo il nostro posto e la nostra dimensione professionale in questo mondo.
In bocca al lupo per tutto!

Rosehip

5 anni, 9 mesi fa

Ehi AsdrCott, non so se leggerai questo messaggio ma mi andava di risponderti comunque perché le tue parole mi hanno toccato. 


Credo che parlare di profonda identificazione sia sbagliato perché abbiamo background abbastanza diversi. Io ho una laurea magistrale in lingue conseguita a pieni voti e mi sono specializzata in inglese e francese. Tuttavia, credo che il sentimento di inquietudine e insoddisfazione sia lo stesso. Sento che ho fatto la magistrale solo per prendere tempo e perché non sapevo cosa potessi fare dopo. Mi trovo di fronte a una questione paradossale: che fare quando quello per qui ho studiato cinque anni non mi appassiona più di quel tanto? I miei professori all'università mi hanno sempre inondata di complimenti ed elogi, ma adesso sinceramente non so cosa farne. A che servono i 30 che ho preso agli esami di letteratura se nel mio tempo libero non leggo un libro che sia uno? A che servono i 30 degli esami di lingua se nel mio tempo libero non faccio pressoché nulla per tenermi in esercizio e sono di natura una persona timida e riservata? È come se quello in cui sono brava si limitasse a quello che "devo" fare e non a quello che "voglio" fare. È davvero curioso. Magari sono semplicemente una persona che ha idee molto confuse e basta. Magari come te non so davvero cosa voglio e non so come fare per capirlo.

Capisco quando parli dell'imbarazzo a parlarne con parenti e amici. Ho constatato anche io la tendenza che hanno ad allontanarsi o comunque a non riuscire a comprendere a fondo la mia situazione e a liquidarmi con parole di circostanza e una pacca sulla spalla con la promessa che un domani le cose si smuoveranno, che farò esperienza di una magica illuminazione che mi aiuterà a vederci meglio. Il ritornello che sento più spesso è: "Quello che non succede in un anno succede in un giorno". Certo... Questa mentalità "airy-fairy" a me non piace perché mi sembra di essere solo una vittima o ancor peggio in balia delle voglie di qualcun altro. 

Da alcuni mesi sto cercando di trovare lavoro senza successo. Mi si presentano solo opportunità di stage poco attinenti e sottopagati (alas). Tutti mi dicono che potrei insegnare (il famigerato Concorsone...) ma sono troppo all'antica se penso che l'insegnamento debba essere prima di tutto una specie di vocazione? Evidentemente sì. Ricordo di aver voluto studiare lingue perché mi interessava essere a contatto diretto con quello che mi interessava, non volevo avere intermediari (almeno pensavo che studiando bene l'inglese in quanto lingua franca sarei riuscita in questo). Cosa mi interessa davvero è la questione del secolo.

Non posso fare a meno di pensare, ma è davvero tutto qui? Dato che ho studiato lingue tutti mi consigliano di andare all'estero, che in teoria non sarebbe un'opzione da scartare, ma trovo ci siano un milione di fattori da prendere in considerazione, primo fra tutti quello economico. Poi leggo le storie dei miei coetanei e mi sembra abbiano sempre qualcosa in più di me, conoscenze, attitudini, specializzazioni.

La mia relatrice della tesi magistrale mi fece un discorso stranissimo riguardo il dottorato. Mi disse che ero bravissima, che scrivevo benissimo, e se che avessi fatto il dottorato sotto la sua tutela mi avrebbe fatto passare davanti a tutti ma mi sconsigliava di intraprendere questa strada perché in Italia con il dottorato non vai da nessuna parte. Può essere questa una considerazione superficiale, ma io li vedevo i dottorandi o gli assistenti dei docenti. Mi sembravano sempre tristi, sopraffatti dalla vita, provati da non so cosa. Forse è vero che in Italia con il dottorato non vai da nessuna parte.

Se pensi di essere pretenzioso allora mi riservo di essere pretenziosa anche io. Questa strana mescolanza di certezza del sentiero che ci sta davanti e il non volerlo percorrere proprio perché sappiamo quello che riserva. Non avevo mai pensato a tutto questo discorso come un tabù ma forse lo è... Certe volte mi sembra che questo sia un problema con contorni troppo nebulosi per riuscire a capirci qualcosa, altre volte penso che la dovrei anche smettere e sarebbe anche ora di trovarsi un lavoro "normale" e mettere su famiglia e fare quello che fanno tutti gli altri. E so che entrambe queste condizioni sono privilegiate. So che è un privilegio anche avere la possibilità di meditarci su, e non poterne parlare con nessuno perché ai più questo, che affronto io in prima persona, è un problema non-problema.

Non so neanche io cosa voglio da questo mio commento, forse farti capire che non sei solo. Spero che anche se professionalmente non riuscirai a realizzarti al 100% come vorresti, riuscirai a conquistare piccole soddisfazioni strada facendo. È quello che spero anche per me. Un abbraccio.

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