WorkHer: una piattaforma che aiuta le donne a essere protagoniste nel mercato del lavoro

Marianna Lepore

Marianna Lepore

Scritto il 28 Dic 2015 in Approfondimenti

Disoccupazione occupazione femminile

Aiutare le donne a entrare, rientrare e rimanere nel mondo del lavoro. È l’obiettivo di WorkHer, una piattaforma dedicata a tutte le donne, di tutti gli ambiti lavorativi. Lanciata sei mesi fa e già molto seguita nel nord Italia, in particolare a Milano, e nella città di Roma, è nata dall’impegno di Silvia Brena, amministratore delegato di Network Comunicazione, e di Riccarda Zezza, presidente di Piano C: ad oggi conta già 3mila iscritte e ha ottimi volumi di traffico anche in grandi capoluoghi del sud come Napoli e Palermo.

L’idea è nata «dalla consapevolezza che troppe poche donne lavorano. Partiamo da un dato: all’appello del mercato del lavoro in Italia mancano dieci milioni di donne» spiega alla Repubblica degli Stagisti Silvia Brena, giornalista, oggi ceo di Network Comunicazione e in passato direttore di Cosmopolitan e vicedirettore di IoDonna. «Questo significa che stiamo perdendo ricchezza per il sistema Paese: sia da un punto di vista economico che di risorse sociali, perché le donne sono portatrici di una capacità di pensiero laterale, la capacità multitasking, che in questo modo si perde».  

Un gap che «va assolutamente colmato» e a cui WorkHer, in cui al momento lavorano una project manager, un consulente per la programmazione e i vari membri di Piano C e NC sia per i contenuti che per la parte grafica, trova una soluzione innanzitutto con la capacità di fare rete. «Se le donne sono fuori dal mercato del lavoro hanno un problema di connessione» osserva Brena. «E noi sappiamo quanto il capitale delle conoscenze e di chi riesce a supportarti nella ricerca e interiorizzazione del tuo lavoro sia importante. L’altro problema di queste donne è la mancanza di informazione, ad esempio sui bandi di concorso. E poi c’è l’ultimo elemento: la formazione, quindi la capacità di essere consci del proprio valore e della strada che si vuole fare».

WorkHer
nasce per colmare questi gap. Sul portale, infatti, si può accedere a informazioni molto selezionate su bandi particolari, si possono creare nuove connessioni e non manca la parte formativa. «Sul sito c’è un test che si chiama Est, ed è l’acronimo di esplora scopri e trasforma: è un self assessment tool formulato e ideato da un pool di psicologhe del lavoro e sociologhe dell’università Cattolica di Milano fatto solo per WorkHer» spiega alla Repubblica degli Stagisti Silvia Brena. «Il test identifica attraverso quattro item che sono fare rete, capacità esecutiva, capacità relazionale e problem solving, quali sono le proprie potenzialità e la distanza tra gli obiettivi e lo stato attuale della propria formazione e conoscenza». Poi in base ai risultati si può decidere come migliorare le competenze individuali.

L’elemento della piattaforma oggi più apprezzato dalle iscritte è la rete, ovvero la possibilità di creare una community. WorkHer offre, infatti, una rete di mentor cioè di donne che hanno raggiunto condizioni professionali di un certo livello e che hanno voglia di restituire la conoscenza assimilata fino ad oggi. «Il tema della restituzione è molto importante ed è rappresentato da queste donne che mettono a disposizione gratuitamente il loro tempo per fare un lavoro di mentorship per chi cerca un lavoro o ha voglia di cambiarlo».

Accanto alle mentor ci sono anche delle professioniste, che dopo un primo contatto propongono consulenze e servizi a pagamento, senza l'intermediazione del sito. WorkHer è una piattaforma di contenuti che non ha profitti visto che è un progetto sociale. «Abbiamo dei partner commerciali, quindi aziende che credono in questo programma, prima fra tutte Intesa Sanpaolo», che ha dato il contributo iniziale. Poi c’è stato Monster che ha creduto nel progetto a ridosso del lancio. Ma non ci sono entrate dirette, «non solo perché far pagare i contenuti in rete è difficile se non impossibile. Ma soprattutto perché la nostra piattaforma ha uno scopo sociale alto: portare le donne in un percorso di reintegro o integrazione nel mondo del lavoro».  

Scopo che riesce a raggiungere ogni giorno grazie proprio alla collaborazione tra le donne, contro tutti gli stereotipi che le vorrebbero in lotta tra loro sul lavoro. Perché invece «le reti al femminile funzionano, perché c’è una sorta di solidarietà». Capita spesso, infatti, che le utenti workher si conoscano e diano vita a nuovi progetti. «È capitato per esempio quando abbiamo fatto alcuni eventi sul territorio dove le iscritte si sono trovate, piaciute e hanno utilizzato la competenza una dell’altra».

E poi ci sono i casi in cui si lavora fianco a fianco con la propria mentor per avere una guida per esempio su come costruire una start up o un piano di comunicazione e magari si sfruttano le sue conoscenze per realizzare il proprio progetto. «C’era una giovane architetta che mi ha chiesto la mentorship perché dopo anni di lavoro in una onlus era arrivata a Capoverde dove ha deciso che voleva fare la stilista. Aveva creato la sua prima linea, ma voleva fare il salto per diventare una griffe. Così l’ho messa in contatto con una professionista che era nella mia rete di conoscenze e si era trasferita in Giappone per aprire un sito di ecommerce. Grazie a questa connessione la giovane architetta sta producendo una linea per questo portale giapponese».

Una buona notizia, e di certo non l’unica. Sul portale è presente una sezione “Good News” dove mettere da parte il pessimismo e raccontare una volta a settimana tre buone notizie sul mondo del lavoro femminile. «Abbiamo bisogno di far veicolare energia positiva. Perché partiamo da un presupposto molto negativo: siamo a meno 10 milioni». Ovvero dieci milioni di donne in Italia che mancano dal mercato del lavoro. «Perciò vale la pena segnalare tutte le notizie che ci regalano una visione diversa e mostrano l’apertura alle donne nel mercato del lavoro».

In questa lettura positiva si cala anche la sezione dedicata ai bandi in scadenza: cinque nuovi selezionati ogni mese un po’ per tutti i gusti. Perché la maggior parte delle donne vuole costruire una propria impresa. «Sono i sondaggi e gli indicatori del Censis a raccontare come la capacità propulsiva e imprenditoriale delle donne sia altissima. Ma il problema maggiore è il reperimento dei fondi che ti consentano di supportare il lancio e di far fronte al day by day». Così ci pensa WorkHer a fare da tramite.     

Un progetto che va incontro alle donne e cerca di aiutarle per cambiare il dato, agghiacciante, che vede sotto il 50% la percentuale di donne che lavorano. Di strada ce n’è ancora tanta da fare. Il progetto di Piano C e Network Comunicazione cerca di invertire la rotta, ma «non è la panacea di tutti i mali» perché c’è un tema di cultura di fondo che è ancora difficile da smontare.

Il bilancio, però, oggi è positivo.
«Conosco il mercato femminile, avendoci lavorato per vent’anni come direttore di giornali del settore: e la mia sorpresa è stata grandissima quando ho visto l’enorme potenzialità e la risposta immediata e forte della community», dice Brena. Perché in sei mesi dal lancio, di cui tre di piena estate, si è avuta un’ottima risposta: 3mila iscritte, con il 78% che sta facendo il test. Ora l’obiettivo è arricchire la piattaforma, aumentando le mentor, le professioniste e i tool di formazione a disposizione.

Con una novità su cui si sta ragionando: fare una serie di contest per imprese al femminile o singole professioniste con premi per le idee più meritevoli.

Perché alle donne fuori dal mercato del lavoro bisogna infondere ottimismo, tanto che alle giovani Brena non ha dubbi nel dire che il consiglio più importante da dare è «Crederci, crederci, crederci». Resistenza e resilienza sono le parole chiave che le workher di oggi devono impiegare.

Marianna Lepore

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