Eleonora Voltolina
Scritto il 11 Mar 2022 in Editoriali
Commissione Lavoro differenza tra stage curricolari e extracurricolari diritti degli stagisti diritto al rimborso spese normativa stage normativa stage curriculari normativa stage extracurriculare proposta di legge stage curriculari stage extracurricolari
Questo il testo dell'audizione di ieri, giovedì 10 marzo, di fronte alla 11ª Commissione permanente (Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato della Repubblica nell'ambito della Indagine conoscitiva sui canali di ingresso nel mondo del lavoro e sulla formazione professionale dei giovani: stage, tirocinio e apprendistato
Ringrazio molto per l'invito. Il mercato del lavoro è molto ostico per i giovani italiani – qui non dico niente che voi non sappiate già, altrimenti la vostra Commissione non avrebbe avviato questa indagine conoscitiva. Porto quindi alla vostra attenzione alcuni fatti e dati in modo che possiate avere un quadro il quanto più possibile accurato delle urgenze.
Io dirigo una testata giornalistica online, che ho fondato ormai una quindicina di anni fa proprio per aiutare i giovani nel delicato momento di passaggio dalla formazione al lavoro. La testata si chiama Repubblicadeglistagisti.it, un gioco di parole con l’articolo 1 della nostra Costituzione. Quando ho aperto la testata ho pensato che fosse molto efficace questo titolo, perché lo stage si stava stagliando sempre più come una sorta di passaggio obbligato per entrare nel mondo del lavoro.
In effetti il numero dei tirocini extracurriculari in meno di un decennio è praticamente raddoppiato. Nel 2012 erano stati attivati 185mila tirocini extracurriculari, nel 2019 – ultimo anno prima del Covid – le attivazioni sono state 356mila.
Peraltro questo enorme incremento nel numero dei tirocini è avvenuto proprio negli stessi anni in cui, anche grazie al lavoro della mia testata Repubblica degli Stagisti e all’attenzione di alcuni politici sia a livello regionale sia a livello nazionale, si è ottenuto finalmente un quadro normativo più tutelante e oggi abbiamo normative regionali che offrono un quadro di diritti e doveri abbastanza chiaro per i tirocinanti extracurriculari. Fortunatamente per questo tipo di tirocini è stata debellata la gratuità perché appunto la Regioni hanno introdotto delle indennità mensili obbligatorie minime – il che è stato sicuramente molto importante per i giovani tirocinanti. Dico questo en passant per sottolineare che prevedere una indennità minima per i tirocini non vuol dire assolutamente diminuire il numero delle opportunità di tirocinio!
Sarebbe però da parte mia spericolato dire che la situazione dei tirocini è oggi buona.
Innanzitutto perché i tirocini sono ancora troppi. La loro crescita è stata sproporzionata, soprattutto perché in molti casi sono usati per sostituire lavoro dipendente, per mansioni troppo semplici per giustificare lunghi periodi di formazione. Ci troviamo di fronte spesso a tirocini di 3 o addirittura 6 mesi – talvolta finanziati addirittura con soldi pubblici, per esempio attraverso Garanzia Giovani! – per imparare a fare i cassieri al supermercato, i commessi nei negozi, i baristi: tutte competenze che potrebbero essere acquisite in tempi molto brevi, e per le quali sarebbe più corretto assumere del personale con contratto di lavoro subordinato.
Quindi il tirocinio in Italia oggi ha questo grande primo problema di essere una scorciatoia molto vantaggiosa per chi vuole qualcuno che lavori ma senza essere disponibile a fargli un contratto di lavoro serio e a dargli una retribuzione adeguata e versare i contributi previdenziali. Ed è vero che è un concorrente sleale degli altri contratti di lavoro, primo tra tutti l'apprendistato. Per questo è anche grave che, dopo aver messo nel 2018 e nel 2019 i tirocini tra gli “ambiti principali di intervento per l’attività di vigilanza dell’Ispettorato nazionale del lavoro”, il ministero del Lavoro a partire dal 2020 li abbia fatti scomparire da tali ambiti principali di intervento. C'è davvero bisogno di più controlli per assicurarci che gli stage non vengano utilizzati per sfruttare i giovani.
Però c'è anche il rischio di passare da un estremo all'altro. Ora nella legge di Bilancio il governo ha tracciato una linea quasi “estrema”, che le Regioni saranno chiamate a seguire... o che potrebbero anche ignorare, a dire il vero. L'articolo 721 della legge di Bilancio ha indicato come primo tra i criteri sulla base dei quali dovrebbero basarsi le Regioni per ridurre il raggio d'azione dei tirocini (cioè, in sostanza, diminuirne il numero) quello di limitare i tirocini ai soli «soggetti con difficoltà di inclusione sociale».
Ma se davvero si restringesse l'utilizzo dello strumento dello stage a queste categorie, il numero di tirocini extracurricolari si ridurrebbe drasticamente: a spanne oltre il 90% sparirebbe, perché a oggi solo una piccolissima percentuale di stage extracurricolari riguarda appunto quei soggetti svantaggiati lì – che sono soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, condannati ammessi a misure alternative di detenzione, ex detenuti, rifugiati, richiedenti asilo. Diverso sarebbe il caso se si includessero tra i soggetti in difficoltà anche i disoccupati di lungo periodo: ma questa sarebbe una interpretazione molto molto “larga” della definizione. Oppure chiaramente le Regioni potrebbero accordarsi per ridurre in altre maniere il raggio d'azione dei tirocini.
Il punto è non solo se sia utile oppure estremo – e dunque controproducente – farlo. È anche capire se le Regioni vogliono veramente farlo. Vi sono Regioni che hanno impostato praticamente tutte le loro politiche attive del lavoro sullo strumento del tirocinio, anche se a ben guardare esso non ha una efficacia elevatissima in termini di inserimento nel mondo del lavoro: solo più o meno il 30% di chi fa tirocini extracurricolari, secondo i pochi e tardivi dati resi pubblici dal ministero, si trasforma in assunzione. Peraltro questo strumento viene usato molto anche per persone adulte o addirittura quasi anziane: basti pensare che in otto anni, tra il 2012 e il 2019, il numero di persone tra 35 e 54 anni coinvolte in esperienze di tirocinio extracurricolare è quasi raddoppiato, passando da poco meno di 26mila a poco meno di 49mila. E il numero di persone di oltre 55 anni è più che triplicato, da poco più di 3mila a quasi 10mila all'anno.
Teoricamente la decisione andrebbe presa al tavolo della Conferenza Stato-Regioni entro giugno: staremo a vedere se la Conferenza agirà in maniera tempestiva... o anche proprio solo se agirà, e con quale aderenza alle “richieste” del governo.
Il secondo grande problema che riguarda i tirocini è che solo una parte di essi ad oggi può godere di una buona normativa tutelante e aggiornata. Sono quelli di cui ho parlato finora, i tirocini “extracurriculari”, cioè quelli svolti quando una persona non è impegnata in un percorso formativo. Questi tirocini hanno una competenza normativa regionale, quindi ad oggi esistono 21 normative diverse.
C’è però un altro enorme sottoinsieme di tirocini: si tratta di quelli “curriculari”, quelli svolti mentre si studia – il caso più frequente è quello dei tirocini fatti da studenti universitari o da studenti di master o di corsi professionalizzanti. In questo caso siamo siamo di fronte ad un problema molto grave: la normativa di riferimento per questo tipo di tirocini, di competenza statale, ha un quarto di secolo, ed è totalmente inadeguata a normare la situazione dei tirocinanti di oggi.
Questa normativa, che risale appunto al 1998, non prevede l’obbligo di erogare un’indennità per i tirocinanti, il che crea ovviamente una situazione di iniquità e molto spesso si trasforma in una barriera che impedisce ai giovani meno abbienti di poter accedere alle opportunità formative prive di compenso.
Per fortuna ho anche delle buone notizie: i vostri colleghi delle commissioni Lavoro e Cultura-Istruzione della Camera hanno finalmente cominciato proprio poche settimane fa l’esame di una proposta di legge che già era stata presentata tre anni fa e che però era rimasta purtroppo in un cassetto per tutto questo tempo, però meno male – è stata appena ritirata fuori dal cassetto. Si tratta della proposta di legge AC1063, a prima firma Massimo Ungaro, che si propone di riordinare il quadro normativo dei tirocini curricolari dando finalmente anche a questi tirocinanti dei diritti, a cominciare da un minimo di indennità. Questa proposta presto arriverà anche qui in esame da voi, e – mi raccomando! – mi auguro che diventerà legge dello Stato prima della fine della legislatura.
Il problema principale dei tirocini curricolari è anche che sono un buco nero: non se ne conosce il numero, non se ne conoscono gli esiti, non se ne conosce nulla perché sventatamente il ministero del Lavoro qualche anno fa fece la scelta di esonerare questo tipo di tirocini dall’obbligo della comunicazione obbligatoria.
Motivo per il quale sia la proposta di legge Ungaro sia un’altra proposta di legge sui tirocini curricolari che è attualmente in esame propongono di ripristinare l’obbligo di comunicazione obbligatoria anche per i curricolari. Cosa che sarebbe fondamentale per avere dei dati certi sul numero e i dettagli dei tirocini curricolari che ogni anno vengono attivati in Italia. Noi come Repubblica degli Stagisti stimiamo che siano all’incirca 150-200mila, ma si tratta veramente solamente di una stima.
Non posso non menzionare, e mi avvio alla conclusione, il grande problema dei Neet. Noi in Italia abbiamo il tasso più alto di giovani che non studiano e non lavorano, i cosiddetti “not in education nor in employment or training”. In Italia alla fine del 2020 nella fascia tra i 15 e i 34 anni erano oltre 3 milioni, di cui 1,7 donne: abbiamo il più alto numero di Neet di tutti i Paesi dell'UE. Una situazione ovviamente aggravata dalla pandemia, che secondo i dati del Rapporto Giovani ha fatto aumentare gli inattivi di altri due punti percentuali. E' una enormità.
Un grande tema a monte di tutto quello che è stato detto finora sta nel mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Qui il grande tema è quello dell’orientamento. Per questo, quando l’anno scorso sono stata chiamata a formulare un parere sulla bozza di PNRR, ho tenuto a specificare quanto fosse importante che ingenti fondi venissero finalmente messi sulla attività di orientamento a scuola – negli ultimi due anni delle scuole superiori ma anche all’ultimo anno delle scuole medie – e che questi fondi venissero utilizzati per portare delle persone qualificate a fare l’orientamento a scuola.
Perché il rischio è quello che infatti purtroppo si sta anche verificando, che a fare orientamento siano chiamati i docenti delle scuole superiori o i professori universitari, questi ultimi nell’idea che vadano a far conoscere le facoltà in cui insegnano e possano quindi attirare nuovi iscrizioni.
In realtà l’orientamento va fatto in tutt’altra maniera: va fatto da professionisti che conoscano a fondo il mercato del lavoro di oggi – e possibilmente anche di domani. Che possano fare i bilanci di competenze, che possano capire le attitudini e i talenti di ciascun giovane, le aspettative, in modo da poter delineare per ciascuno un percorso ad hoc. Che possano anche indicare quali sono le altre strade oltre all’università.
Queste attività di orientamento a scuola sono molto frequenti in altri Paesi, specialmente nei paesi dove l’occupazione giovanile ha i dati migliori, e invece in Italia stentano a decollare. Per questo penso che una grande attenzione andrebbe posta proprio alla costruzione e al finanziamento di attività di questo tipo.
C'è davvero bisogno di un cambio di passo rispetto alle politiche che riguardano i giovani. Le nuove generazioni hanno bisogno di avere ponti verso il mondo del lavoro, poter acquisire il prima possibile competenze di qualità, e poter avviare il proprio cammino verso il lavoro attraverso strumenti che rispettino dei principi base di equità, quindi qualità formativa, sostenibilità economica, e non strumenti che li mettano alla mercé di chi vuole risparmiare sul costo del lavoro. Rendere più forti i nostri giovani nel mercato del lavoro, permettere che abbiano accesso a condizioni contrattuali e retributive dignitose, è l'unica strategia per riportare il Paese a crescere, a essere attrattivo, a fermare l'emorragia di fughe verso l'estero, e dare la possibilità che le giovani generazioni possano esprimere appieno il loro potenziale.
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