Quando ha iniziato a scrivere il suo libro Angelica Isola, 32enne giornalista della Radiotelevisione Svizzera di lingua italiana, aveva un'idea chiara in testa: voleva raccontare il precariato con un linguaggio efficace, mettendosi da un punto di vista diverso da quello di solito adottato dai media. «Ero stanca delle storie in stile Ballarò, sui precari che non possono prendere un mutuo o che non riescono a pagare le bollette. Per carità, tutto vero, ma c'è dell'altro: dietro l'instabilità economica ce n'è una anche psicologica e parlarne può aiutare qualcuno», racconta l'autrice de Il Muro. Vita precaria di giovani tacchini, pubblicato di recente dalla Fondazione Mario Luzi e in via di presentazione in diverse città italiane proprio in queste settimane.
Il romanzo racconta le liti di condominio tra due tacchini precari: Aceto Civetta, disilluso e pungente, e Brando Statobrado, cocciuto e determinato a non arrendersi. Una metafora di quel conflitto che si gioca dentro ogni persona esposta all'incertezza, lavorativa e non solo, divisa tra la rassegnazione e l'indignazione, la stanchezza e la voglia di continuare a lottare. L'ispirazione, per Angelica, è arrivata dal suo vissuto personale: «In Italia, come tanti altri giovani e meno giovani, mi sono scontrata con un mercato del lavoro chiuso, con contratti precari e stage senza senso formativo e senza prospettiva», racconta.
La metafora dei due tacchini svela il suo significato solo nella seconda parte del libro, dopo essersi nutrita di tanti paradossi dell'Italia contemporanea, lo «Scarpone colato a picco» dove «tutti corrono, sgomitano e caricano»: «Volevo far fare al lettore un viaggio allucinogeno, che riuscisse a farlo staccare dalla realtà». Per tornarci solo alla fine, quando l'equazione appare chiara: «Il muro è la mente, e i tacchini proiezioni di pensieri e sentimenti», spiega ancora l'autrice. Ma gli animali sono anche la rappresentazione perfetta di chi non ha un lavoro fisso, e sta già facendo piazza pulita dei propri sogni. Proprio ai suoi simili precari Brando Statobrado dedica alla fine del libro un vero e proprio manifesto, un libro nel libro che vuole veicolare un messaggio di empatia, ma anche di indignazione: «Hai tutta la rabbia impensabile ed inimmaginabile da trasformare in pura energia propulsiva per la sopravvivenza. Arricomplimenti, fai parte della favolosa famiglia dei tacchini, esseri umani talmente umani da essere considerati alieni. Sei una stella lucente nel buio della notte».
A rendere il libro interessante è proprio l'indagine degli aspetti psicologici ed emotivi della condizione dei giovani precari, la descrizione asciutta ma calzante degli stati d'animo: «Il nulla è l'amico silente che impari a conoscere in fretta. È l'assenza totale di risposte. È il tempo vuoto che ti soffoca. È quella sensazione di vertigine amplificata dalle persone che, nel tentativo di aiutarti, ti rassicurano sulla temporaneità della situazione senza capirne il dramma». Il racconto preciso delle sensazioni causate dallo sguardo indagatore di un vicino: «Bisogna diffidare di chi è con le zampe in mano, perché quella strana inutilità da cui certuni sono affetti, potrebbe essere contagiosa», pensa la signora Pina. O ancora, il disagio provocato dalla curiosità insistente di amici e conoscenti: «Probabilmente non riuscirò ad ordinare neppure una seconda bibita per idratare la bocca che, sempre più secca e arida, si prepara alle domande scottanti degli amici che non sono per niente dei tacchini e vogliono sapere del mio nulla».
Un vero e proprio percorso a ostacoli da cui l’autrice si è salvata andando a cercare quello che le mancava fuori dall'Italia: «Più che la precarietà è stata l'assenza di meritocrazia e l'impossibilità di capire realmente quanto si vale che mi ha spinto a lasciare lo Stivale per la Svizzera, Paese che mi ha accolto per quello che sono e quello che valgo», racconta, rifiutando però di essere etichettata come "cervello in fuga": «Io sinceramente non mi considero un cervello in fuga, ma più scherzosamente delle braccia in fuga. I cervelli in fuga, quelli d'oro, sono altri!», sorride. Approdata in Svizzera due anni fa da Cernobbio, in provincia di Como, dopo aver fatto tanti stage e tanti lavori precari in Italia, oltralpe ha trovato un ambiente dove contano i meriti e le capacità: «Alla Radiotelevisione svizzera di lingua italiana sono stata scelta tramite concorso pubblico. Se osservo la realtà italiana e quella svizzera, mi è difficile fare un paragone poiché la mentalità, l'organizzazione del lavoro e le leggi sono diverse. Posso sicuramente affermare che nella Confederazione ho trovato il posto ideale dove vivere e lavorare perché ci sono regole certe rispettate da tutti, meritocrazia, trasparenza e correttezza».
Nel libro c'è spazio anche per un piccolo manuale di sopravvivenza, «norme di autocontrollo per salvaguardare la salute»: «Mai mostrare le tue emozioni agli sconosciuti, specie in angoli bui dell'universo», per evitare accanimenti della curiosità altrui; «mai essere servile o adulatore. Se ti sei smarrito è normale, le pressioni a cui sei sottoposto sono enormi, ma non svenderti»; «mai sedersi. Evita che la tua mente esegua il classico ragionamento: “Mi riposo per due minuti e poi riparto”»; «Ignora gli irritanti incoraggiamenti». Allo stesso tempo, però, il messaggio che emerge in tutto il libro è un invito a non abbattersi e non smettere di indignarsi: una specie di chiamata alla armi per continuare a far valere i propri diritti. «Costruisci prima di tutto delle solide fondamenta. Insegui con cocciutaggine e tenacia la tua vocazione. Affronta gli ostacoli impervi. Tanto, li incontrerai comunque».
Nello scenario tracciato dal romanzo ci sono solo sconfitti: se molti giovani vivono in una condizione di incertezza, alla fine è tutta la società a risentirne. Il precariato per l'autrice è un concetto che esonda così in ogni settori, che tocca tutti, sia esso economico, emotivo, lavorativo o psicologico. «Siamo tutti precari. Precari nel mondo. Precari nell'anima», scrive nell'ultima pagina, e rivolgendosi a chi si sente lontano da questa condizione, continua: «Magari la tua mente monolitica non ha mai conosciuto dubbi e vivi in un nido tranquillo e sicuro. Eppure non illuderti. Anche in te dormono un Brando e un Aceto che in circostanze particolari si svegliano».
E allora che fare? Angelica Isola indica, per bocca del tacchino Brando, due vie da imboccare insieme: rivalutare l'importanza delle relazioni umane e non smettere di lottare. Le «navicelle di salvataggio» sono «quelli che ti stanno accanto, nonostante tutto», uniti alla perseveranza: «Non cedere e continua a spolverare i tuoi sogni. Nessuno può spogliarti del tuo orgoglio di essere vivo».
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