Dal 1923 è il cuore pulsante della ricerca italiana: con i suoi novant’anni di età e le tante vicende che ne hanno scandito la storia, il Consiglio nazionale delle ricerche resta un punto di riferimento fondamentale del settore in Italia. Tra mille difficoltà: proprio questa mattina, ad esempio va in scena all'Istat l'assemblea dei lavoratori precari degli enti di ricerca, tra i quali anche il Cnr, che chiedono la stabilizzazione sulla base della sentenza della Corte di giustizia europea dello scorso 26 novembre, sull'abuso di contratti precari da parte della Pubblica amministrazione italiana.
Una protesta che si affianca a un'altra battaglia, quella avviata da alcuni dei ricercatori risultati idonei al concorso del 2009. Si tratta di 700 studiosi, con un’età media di cinquant’anni e all’apice della carriera – tra loro ci sono anche nomi come quelli di Angelo Basile, titolare di sette brevetti internazionali – che da ben sei anni sono in attesa di una promozione sulla base della graduatoria, che resterà valida fino al 2016. Per loro a ottobre del 2013 è arrivata una doccia gelata: l’annuncio di un nuovo concorso bandito dall’ente, per altri 219 posti. Una decisione in aperto contrasto, denunciano, con un provvedimento del governo – datato 2012 – che impedisce alle pubbliche amministrazioni di bandire nuovi concorsi se non sono ancora andate esaurite le graduatorie precedenti. Così alcuni di loro hanno deciso di presentare ricorso al Tar: la vicenda è ancora lontana dal trovare una soluzione, dopo che il nuovo concorso, annullato due volte dal tribunale amministrativo regionale, ha ricevuto a inizio dicembre il via libera del Consiglio di Stato.
Al centro della protesta dei ricorrenti non c’è solo il nuovo concorso, ma anche il fatto che, come spiega Angelo Basile, «c’è stato uno scorrimento parziale della graduatoria del 2009, per cui alcuni degli idonei, circa una cinquantina, hanno comunque ottenuto la promozione e questo è assurdo». Quella di Basile, che ha 62 anni e ha all’attivo oltre 500 lavori internazionali nell’ambito della ricerca sulle membrane, «è una battaglia di principio. Com’è possibile» si chiede «che alla mia età e con i titoli di cui dispongo io sia ancora ricercatore? I concorsi, purtroppo, sono un terno al lotto».
Il Cnr non ha voluto fornire ulteriori commenti sulla notizia, segnalando però alla Repubblica degli Stagisti l’esistenza di posizioni diverse: come quella di un altro ricercatore, Gianluca Groppelli, che al quotidiano La Repubblica ha scritto una lettera in cui sostiene invece la necessità di nuovi concorsi, per poter valutare i candidati anche sulla base dei titoli acquisiti in tempi più recenti e favorire l’ingresso di ricercatori più giovani.
Questa situazione riflette la condizione che il mondo della ricerca in generale e il Cnr in particolare si trovano a fronteggiare, tra riforme più o meno azzeccate e risorse sempre più scarse. A offrire una panoramica completa della storia e delle prospettive di un ente che ha segnato la strada del nostro Paese verso il progresso è un volume pubblicato a ottobre dell'anno scorso da Donzelli, La ricerca e il Belpaese, sottotitolo «La storia del Cnr raccontata da un protagonista». Lucio Bianco, presidente dell’ente dal 1997 al 2003, in una conversazione con il giornalista Pietro Greco ripercorre i novant’anni di vita del Consiglio, in un’analisi che parte dal passato per guardare al futuro.
Sulla vicenda dei ricercatori beffati dal doppio concorso, ad esempio, l’ex presidente sottolinea che l’errore è nell’impostazione: «Il problema è che ora i concorsi si svolgono in maniera diversa da prima: si tratta un ente di ricerca come se fosse un ministero, mentre bisognerebbe distinguere i concorsi per il personale tecnico da quelli dei ricercatori» riassume. «Per ogni concorso i vincitori dovrebbero ottenere i posti messi a bando, mentre gli altri dovrebbero rimanere esclusi e avere la possibilità di ripresentarsi al prossimo bando. Il meccanismo dell’idoneità, attraverso il quale si creano queste graduatorie, non dovrebbe essere applicato agli enti di ricerca: invece ora tutto è assimilato al pubblico impiego». Per l’ex presidente del Cnr «questo meccanismo penalizza proprio i più giovani, perché le liste degli idonei sono valide per diversi anni, creando così un blocco ai nuovi ingressi e una riduzione delle opportunità per i ricercatori più giovani: questo per la ricerca non è un fatto positivo».
Fin dalla fondazione, ricorda Bianco, «il Cnr si è caratterizzato per una sua fisionomia, che si è andata configurando a partire dal primo presidente, Vito Volterra. A lui si deve l’idea di effettuare la ricerca anche al di fuori dell’università, con quello che all’estero chiamano “sistema duale”». A partire degli anni Sessanta del secolo scorso «il Cnr è divenuto un ente di ricerca ad ampio spettro, con una duplice funzione: in primo luogo quella di agenzia, cioè di ente finanziatore della ricerca svolta in ambito universitario e non solo, come ad esempio per le ricerche svolte da enti pubblici e imprese; in secondo luogo quella di ente di ricerca, con un gruppo di ricercatori interni a tempo pieno, che lavoravano in collegamento con l’università, ma con una loro autonomia».
Fino al Duemila, l’ente «ha avuto questo duplice ruolo: finanziatore e produttore di ricerca in proprio. Data la sua struttura, il Cnr era la sede più idonea per far sviluppare settori di ricerca emergenti, nuovi, che non riuscivano a svilupparsi nell’ambito universitario, come la fisica nucleare e l’informatica. Da esso sono nati molti istituti che poi hanno raggiunto dimensioni tali da diventare autonomi, come l’Ingv – l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia o l’Enea – l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile». In questo modo, sottolinea Bianco, «il Cnr ha svolto un’importante funzione di incubatore, che oggi non svolge più nessuno. Con la riforma del 1999 è rimasta solo la rete degli organi di ricerca attivi nei vari settori, che sono stati ridotti da 300 a 107. Non c’è più la parte accademica, né il ruolo di promotore e finanziatore di ricerche nuove».
Una serie di errori bipartisan: Bianco rimarca che «la riforma Berlinguer-Zecchino del 1999 ha dato al Cnr la fisionomia di puro ente di ricerca, mentre la successiva riforma, quella del 2003 targata Moratti, ha purtroppo segnato una pesante ingerenza della politica nel settore della ricerca». Proprio in polemica con questa nuova impostazione, nello stesso anno Bianco rassegnò le sue dimissioni dalla poltrona più alta del Cnr.
Si arriva così ai giorni nostri, con l’ente che si trova ad affrontare una situazione radicalmente diversa. Attualmente il Cnr conta oltre 8mila addetti, di cui 6mila ricercatori assunti; a questi si aggiungono altre 4mila persone che si occupano di ricerca con altri inquadramenti contrattuali – assegnisti, dottorandi e borsisti che lavorano in sette dipartimenti e venti aree di ricerca. La retribuzione media lorda annuale di un ricercatore è di 48.429,23 euro, come previsto dal contratto nazionale per i dipendenti degli enti di ricerca; calcolando 13 mensilità, la retribuzione lorda mensile dei nostri migliori cervelli corrisponde quindi in media più o meno a 3.725 euro.
«Oggi il Cnr deve prendere atto che la storia passata non si può più ripetere, perché le condizioni sono cambiate, e puntare tutto sulla propria rete di ricerca», riflette Bianco. «Il punto di forza dell’ente sono proprio i suoi 107 istituti di ricerca e i ricercatori, che nonostante le scarse risorse finanziarie messe a disposizione del governo, riescono a procurarsi finanziamenti sul cosiddetto “mercato della ricerca” e a portare così avanti progetti di avanguardia». Per Bianco «bisogna puntare su questo, liberando gli istituti di ricerca dai troppi vincoli di carattere normativo e burocratico, e lasciando liberi i direttori di esprimere al meglio le potenzialità dei singoli organi di ricerca». Al momento, sottolinea l’ex presidente, «non ci sono le condizioni per sperare in un finanziamento pubblico adeguato. Forse il governo attuale non proseguirà nella politica dei tagli, ma non mi pare che nel breve periodo possa esserci un’inversione di tendenza, che determini invece un aumento degli investimenti».
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