Il ministero della Giustizia fa retrofront e stabilisce che tutti i cosiddetti "praticantati", cioè i tirocini professionali per l'accesso alle professioni regolamentate, non possano durare più di un anno e mezzo - per uniformarsi ai dettami del decreto liberalizzazioni, precisamente del suo articolo 9 comma 6, in cui la durata massima del tirocinio è stata ridotta appunto a 18 mesi.
A metà maggio lo stesso ministero aveva risposto a un quesito del Consiglio nazionale forense sostenendo una tesi esattamente contraria: e cioè che tutti i percorsi di tirocinio professionale avviati «in epoca anteriore al 24 gennaio 2012» dovessero mantenere la vecchia durata e che «le nuove norme» fossero «destinate a trovare applicazione solo quanto il tirocinio» fosse «iniziato successivamente» a quella data. Il parere era stato firmato da Augusta Iannini, all'epoca capo dell'ufficio legislativo del ministero, forse più nota per essere la moglie di Bruno Vespa. La Iannini però è stata nominata un paio di settimane fa vicepresidente dell'autorithy sulla privacy. Pochi giorni dopo il suo trasferimento, il capo del dipartimento per gli Affari di giustizia Eugenio Selvaggi e il direttore della Direzione generale della giustizia civile Maria Teresa Saragnano devono aver avviato una riflessione sul tema dei tirocini professionali, decidendo di rivedere la posizione ufficiale del ministero.
All'inizio di luglio hanno dunque diramato una circolare, intitolata «Durata del tirocinio previsto per l'accesso alle professioni regolamentate. Interpretazione dell'art 9, comma 6, del d.l. 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012 n. 27», spiegando di aver ricevuto «da privati e da Ordini professionali» numerose richieste «di parere in merito alla applicabilità della suddetta disposizione anche a coloro i quali abbiano iniziato il tirocinio anteriormente alla data di entrata in vigore della nuova legge» e ammettendo subito la complessità della questione, anche in ragione della mancanza di appigli normativi espliciti: «né il decreto legge né la legge di conversione contengono disposizioni transitorie volte a regolare i casi di tirocinio professionale iniziato prima dell’entrata in vigore del decreto-legge».
Ma, scrivono Selvaggi e Saragnano, si può sempre fare riferimento «ai principi generali in materia di successione di leggi nel tempo». E se è vero che secondo l’articolo 11 delle disposizioni preleggi del codice civile «la legge dispone per l’avvenire», è vero anche che «la nuova legge può applicarsi agli effetti non esauriti di un rapporto giuridico sorto anteriormente quando sia diretta a regolare questi effetti indipendentemente dall’atto o dal fatto giuridico che li generò». Insomma, il ministero si è ora convinto che «nel caso di specie, deve ritenersi che la norma sia applicabile immediatamente, ovvero anche ai casi di tirocinio iniziato in precedenza», perché «la volontà del legislatore è chiaramente improntata ad ampliare fin dall’immediato la possibilità di accesso dei giovani al mondo del lavoro, in armonia con il più generale disegno di liberalizzazioni delle professioni». A far pendere l'ago della bilancia per questa interpretazione sono state certamente le centinaia di voci di protesta che si sono levate non solo dalle associazioni e dai forum dei praticanti, ma anche dagli stessi ordini professionali: «Non mi si venga a dire che si agevolano i giovani facendo il taglio del tirocinio in quel modo. Perché chi ha iniziato il tirocinio a gennaio si deve fare 36 mesi e chi l'ha iniziato a maggio ne fa 18?» aveva dichiarato in un'intervista alla Repubblica degli Stagisti Andrea Bonechi [nella foto], delegato alla riforma della professioni per il Consiglio nazionale dei commercialisti.
Queste motivazioni appaiono nel testo della circolare: «Ove si accedesse alla contraria interpretazione, si verificherebbero situazioni di palese disparità di trattamento nell’accesso alla professione in relazione alla data di inizio del tirocinio, nel senso di penalizzare fortemente coloro che abbiano iniziato la pratica professionale immediatamente prima dell’entrata in vigore della norma». E questo, non mancano di notare Selvaggi e Saragnano, violerebbe l'articolo della costituzione che sancisce il principio di uguaglianza. Una "prova" della volontà del legislatore viene poi individuata nella scelta del tempo verbale: «in sede di conversione il legislatore ha usato – per riferirsi alla durata del tirocinio – il tempo presente in sostituzione del tempo futuro previsto nel decreto». Questa frase, in particolare, si pone in aperto contrasto con quanto affermato dall'ufficio legislativo nel documento di metà maggio, dove si leggeva testualmente che «L'uso del tempo presente in luogo di quello futuro non può essere interpretato come espressione della mutata volontà del legislatore di applicare le nuove disposizioni anche ai tirocini in corso, giacché - anche in tal caso - sarebbe stato necessario inserire norme transitorie per disciplinare i tirocini iniziati nel periodo tra l'emanazione del decreto-legge e l'entrata in vigore della legge di conversione».
La circolare ricorda infine, un po' pleonasticamente, che per i primi sei mesi il tirocinio può essere svolto durante il percorso universitario (solo in presenza di apposite convenzioni tra ministero e Ordini professionali però), e che «ai fini del compimento della pratica professionale è necessario che un periodo di dodici mesi, non surrogabile con altra forma di tirocinio, sia svolto con la frequentazione effettiva di uno studio professionale».
A questo punto migliaia di praticanti tirano un sospiro di sollievo: in particolare gli aspiranti commercialisti, per i quali la differenza sarebbe stata abissale (36 mesi contro 18). Sempre che il ministero della Giustizia non cambi di nuovo idea.
Eleonora Voltolina
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