Francesco Piccinelli Casagrande
Scritto il 05 Ott 2016 in Notizie
abuso dello stage cause di lavoro Cgil
Il principio in base al quale i tirocini non possono coprire rapporti di lavoro subordinato – e sopratutto non si possono fare quando si sa già svolgere quella determinata mansione – riguarda molti giovani in giro per l’Italia: la recente sentenza della Corte di Cassazione sugli stage, di cui ha parlato la Repubblica degli Stagisti qualche giorno fa, offre un’arma in più per difendere i propri diritti.
«È una sentenza molto importante non solo perché sancisce una volta per tutte che il tirocinio non può nascondere un lavoro subordinato» commenta alla Repubblica degli Stagisti Andrea Brunetti, responsabile delle politiche giovanili della Cgil «ma anche che avere una competenza pregressa è incompatibile con l’idea di percorso formativo propria del tirocinio». In altre parole, uno stage non può servire a imparare una competenza che si possiede già.
Eppure non si sa quanti “Alessandro Rinaldi” – il nome del giovane che ha intentato la causa sulla quale la Cassazione si è appunto pronunciata – ci siano in Italia. Il ministero del Lavoro non ha, a livello nazionale, una statistica che conteggi quante e quali siano le controversie relative a stage e tirocini.
In ogni caso l’attività vertenziale è molto ridotta nei numeri. «Il numero di vertenze di questo tipo è statisticamente irrilevante» conferma alla Repubblica degli Stagisti Marco Locati dell’Ufficio vertenze della Camera del Lavoro di Milano: «e riguarda soprattutto il post tirocinio, quando magari un contratto di apprendistato non si traduce in un’assunzione».
Per quanto il principio giuridico sia importante, il punto è come farlo valere. «Spesso i tirocini vengono svolti in aziende molto piccole» evidenzia Brunetti: «i ragazzi sono impauriti e, in molti casi, non c’è una formazione diffusa in azienda su quello che dovrebbe essere il tirocinio formativo».
La Cgil si occupa da anni di tirocini che, sia nel settore pubblico che nel settore privato, sempre di più nascondono rapporti di lavoro subordinato. «Con il blocco del turnover nella pubblica amministrazione» riflette Brunetti «alcuni tirocini vengono utilizzati per tamponare una parte di posizioni che non possono essere strutturalmente rinnovate».
«Per quanto non possa dare cifre esatte, nel settore privato stiamo cominciando ad avere dell’attività vertenziale» continua Brunetti: «Nelle nostre Camere del Lavoro ci sono gli sportelli SOL (Servizi di Orientamento al lavoro) e Nidil (Nuove identità di lavoro) che possono informare il tirocinante sui propri diritti e, se ce ne sono le condizioni, iniziare una vertenza».
Questo per quanto riguarda il percorso “sindacale”. Ma che succede a chi volesse andare per via giudiziaria? «Chi imbocca questa strada deve sapere che sarà molto dura» ammonisce Laura Noferi, l'avvocatessa di Alessandro Rinaldi: «Non solo da un punto di vista economico, ma anche psicologico: su chi intenta causa verranno dette delle cose spiacevoli che chi ha un po’ di amor proprio difficilmente accetterà. La parte avversa cercherà in tutti i modi di dimostrare che il tirocinante era un peso per l’azienda, mettendone in dubbio la capacità professionale, la qualità del lavoro e la buona fede».
E possono volerci molti anni per ottenere ragione. Il Tribunale di Arezzo, per esempio, in primo grado diede torto a Rinaldi. «In casi come questo è difficile provare che ci sia stato effettivamente un rapporto di lavoro mascherato» spiega l'avvocatessa alla Repubblica degli Stagisti: «L’unica possibilità è trovare dei colleghi che siano disposti a parlare. Nel nostro caso i testimoni erano tutte persone che avevano lasciato l’azienda da tempo e che quindi potevano esprimersi liberamente».
Quanto costa una causa di questo tipo? Secondo le tabelle parametriche rese obbligatorie dal decreto ministeriale 55/2014 (Decreto Orlando), una causa del valore di quella di Rinaldi – più di 8mila euro – costa 5.131 euro dal primo grado alla Cassazione, fermo restando che ogni avvocato può chiedere l’onorario che crede. Infatti, mentre il decreto Orlando stabilisce delle tabelle che danno un orientamento generale agli avvocati, è vero che queste sono applicabili sole quando avvocato e cliente non si mettono d’accordo, prima di cominciare l’azione legale.
A questi costi vanno aggiunti quelli che la normativa definisce “spese di giustizia”. Regolate dal Testo Unico sulle spese di giustizia (Dpr 215/2002) e modificato dalla legge 208/2015, le spese di giustizia tra le altre cose consistono in un “contributo unificato” che chi intenta una causa dovrebbe pagare. La tabella di riferimento è quella delle cause civili, anche se le cause di lavoro vedono un’agevolazione del 50% rispetto alla cifra prevista per le altre controversie.
Ne consegue che una causa come quella di Rinaldi è costata 118 euro in primo grado, 178 euro per il ricorso in Appello e 237 euro per la Cassazione. A questo vanno aggiunte le spese di notifica dell’atto, che sono abbastanza ridotte e dipendono dal numero dei destinatari degli atti notificati e dalla distanza chilometrica. Le spese di giustizia sono comunque “prenotate a debito”: significa che le spese sono anticipate dall'erario e che le parti in causa non pagano nulla fino alla fine del giudizio, quando i giudici decideranno a chi spetta il pagamento delle spese legali.
La conseguenza di questo serie di spese, reali o probabili che siano, è che «oltre l’aspetto psicologico di un processo, bisogna tenerne in considerazione anche l’aspetto economico: se un ragazzo non ha una famiglia solida alle spalle non può permettersi una causa che si trascina per anni. Per questo, quando ci sono le condizioni» consiglia Noferi «è sempre meglio cercare un accordo extragiudiziale».
«In effetti molte delle vertenze individuali» conferma Brunetti «finiscono con una transazione economica». Però, prima della vertenza c’è un percorso di informazione e di sensibilizzazione che va fatto, soprattutto nelle aziende. «È positivo che ci siano delle aziende che ospitano tirocinanti» conviene Brunetti «però è anche necessario che le condizioni vengano contrattate dal sindacato ed è necessario che delegati e dirigenti sindacali siano adeguatamente formati e sensibilizzati».
Si tratta di un percorso in salita, anche per un’organizzazione strutturata come la Cgil – che ha lanciato numerose campagne di sensibilizzazione sul tema. L'ultima è “Tirocini, vediamoci chiaro”, un questionario sull’auto percezione dei tirocinanti che dovrebbe aiutare il sindacato a capire un fenomeno sfuggente e complesso come quello degli stage.
«Arrivare alle piccole aziende è complicato: stiamo cercando di raggiungere quantomeno le società più grandi» conclude Brunetti: «Dobbiamo investire sempre di più in formazione e prevenzione. Consiglio ai tirocinanti di venire in Camera del lavoro quando percepiscono che qualcosa, nel loro tirocinio, non va come dovrebbe. Se non altro potranno informarsi sui loro diritti e, con i nostri sportelli, valutare il da farsi».
Francesco Piccinelli Casagrande
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