La capacità di governare gli imprevisti è una delle qualità che si apprendono durante il Servizio volontario europeo. Ma ciò che ha vissuto a Kathmandu Carlo Murenu insieme al suo compagno di avventura Marcello Fadda era impossibile da governare: il 25 aprile un terremoto di magnitudo 7.8 ha sconquassato il Nepal e causato migliaia di vittime.
Carlo quel giorno era in casa con Marcello. I due volontari erano partiti da Cagliari alla fine dello scorso ottobre, tramite l’associazione di invio TDM 2000, per il progetto «Mapping solidarity». La loro abitazione ha resistito al sisma e i due si sono salvati. Dopo una decina di giorni dal terremoto sono rientrati in Italia, hanno raccolto fondi e poco tempo fa sono tornati in Nepal. Prima del volo per Kathmandu, Carlo ha accettato di condividere con la Repubblica degli Stagisti il racconto di ciò che è accaduto; e quel che hanno vissuto i due volontari sardi è anche utile per comprendere cosa accade a un progetto di Servizio volontario europeo - a livello operativo e burocratico - in caso di calamità naturale.
Carlo Murenu ha 29 anni ed è un fotografo. Pochi mesi prima di andare in Nepal aveva svolto un Sve di breve periodo in Turchia, vicino Mersin. «Sono stato lì tra febbraio e marzo del 2014, inviato dall’associazione Scambieuropei. Ho lavorato in un progetto di salvaguardia dell’ambiente: ci prendevamo cura delle spiagge dove vive una specie protetta di tartarughe»: grazie a quell’esperienza Carlo ha scoperto il valore dello Sve. Essendo un progetto di short term, aveva la possibilità di candidarsi per un altro Sve di lungo periodo, e così ha fatto. «Tornato dalla Turchia ero triste, perché a Cagliari non trovavo lavoro. Perciò, quando ho visto alcuni progetti della TDM 2000, mi sono candidato».
A fine ottobre Carlo è partito per Kathmandu, dove fa base l’associazione VCD Nepal, la hosting organization che lavora anche nei dintorni della capitale. «Prima del terremoto il nostro progetto prevedeva diverse attività, come insegnare inglese a bambini e ragazzi nelle scuole e giocare con loro, sia a Kathmandu sia nei villaggi», spiega, «e fuori città abbiamo portato avanti un progetto di educazione ambientale, con laboratori nelle scuole e la fornitura di cestini per raccogliere l’immondizia nelle strade». Carlo ha così viaggiato per il Paese, ospite a casa degli abitanti locali per pochi giorni oppure per settimane. Ma ci sono stati anche i viaggi di svago. «I soldi per vivere qui sono sufficienti, ricevo circa 75 euro per il vitto e 95 euro di pocket money. Così ho potuto visitare il Nepal» racconta Carlo «e questo a livello personale mi è stato molto utile, perché ha sbloccato il mio timore di viaggiare da solo. Ho girato parecchi paesini della valle di Kathmandu, conosciuto abitanti con cui parlare in inglese e prendere il thè a casa loro».
Carlo stava insomma vivendo il suo Sve alla grande. Finché, a sette mesi dall’arrivo in Nepal, il terremoto ha cambiato tutto. «Era sabato mattina. Io ero in salotto a controllare la mail, Marcello nella camera che dividiamo. La scossa sarà durata venti secondi al massimo. Abbiamo guardato fuori dal terrazzo», prosegue, «e visto polveroni enormi poco lontano, più alti delle case. Ci siamo così accorti che la situazione era gravissima. La nostra casa non ha subito danni e siamo usciti senza problemi, per poi rifugiarci in un campo di fronte, unico spazio aperto. Avevamo il fiato tagliato. Il cellulare non funzionava. Sarebbe poi stata una nostra vicina a dirci che era riuscita a mettersi in contatto con il responsabile locale della nostra associazione, che si trovava fuori città. Abbiamo potuto incontrarlo solo due giorni dopo». Anche TDM 2000 era riuscita a contattare l’associazione partner locale, per poi rassicurare le famiglie dei volontari.
A casa, Carlo e Marcello avevano abbastanza scorte di cibo e acqua potabile per affrontare i primi giorni. Alla popolazione bisognosa sono stati di aiuto i ristoranti e i negozi, che hanno messo a disposizione la propria merce. «Ho visto molte persone in giro soprattutto per cercare acqua. C’erano i camion a distribuirla. E ho visto molte persone scavare e tirare fuori dalle macerie i feriti, ho visto tendopoli senza bagni. A livello emotivo la situazione era molto stressante», racconta Carlo, «la notte non si dormiva perché c’erano continuamente le scosse di assestamento. Alcune nottate le abbiamo passate fuori nel campo, in sacco a pelo».
Con l’associazione locale, Carlo ha prestato i soccorsi nei primi giorni post-terremoto. «Abbiamo portato medicine e cibo in un villaggio, donato il sangue in ospedale, trasportato feriti», spiega. I due volontari sardi dopo una settimana sono rientrati in Italia. «All’inizio volevamo rimanere, ma poi la situazione era insostenibile e abbiamo pensato di aiutare il Nepal da casa, con una raccolta fondi». Carlo ha così organizzato con TDM 2000 una mostra fotografica a Cagliari, con 20 suoi scatti in vendita più diverse stampe e cartoline. L’iniziativa ha raccolto circa mille euro: questi soldi, in base alle indicazioni del volontario cagliaritano, saranno utilizzati in Nepal.
Oggi Carlo è a Kathmandu e nei villaggi della valle per le ultime settimane di Sve. A fine luglio, come previsto dal progetto, rientrerà a casa, e il suo Sve non è più quello di prima. «Quel che facevamo ormai non ha più senso. Adesso bisogna aiutare nella ricostruzione, la popolazione deve prepararsi all’arrivo dei monsoni», spiega.
Cosa farà una volta tornato in Italia? «Siccome vorrei continuare a lavorare nella fotografia, dopo alcune collaborazioni che ho avuto in passato, mi piacerebbe approfittare dell’Erasmus per giovani imprenditori e trovare un progetto in ambito fotografico», risponde. «D’altronde durante questo Sve ho scattato moltissimo, dal punto di vista professionale è un’esperienza che mi ha insegnato ad adattarmi, ad avere pazienza e a controllare le emozioni. Sono qualità indispensabili per un buon fotografo».
Ad approfondire con la Repubblica degli Stagisti cosa succede a un progetto Sve dopo tragedie come quella nepalese è Luisa Zedda, responsabile del Servizio volontario europeo di TDM 2000. «Non ci sono regole standard per il rimpatrio. In questo caso noi abbiamo seguito le indicazioni delle autorità locali e della Farnesina, e chiesto ai ragazzi e all’associazione di accoglienza che cosa volessero fare. I voli del rientro erano impossibili nei primi giorni, comunque i volontari all’inizio hanno deciso di restare», spiega Zedda. Poi però c’erano i rischi di epidemia e della conseguente chiusura delle frontiere. «I ragazzi sono rientrati in Italia con un volo della Farnesina per Milano. Abbiamo poi pagato noi l’aereo per Cagliari e anche quello di ritorno in Nepal», prosegue la responsabile, «perché la convenzione assicurativa con MSH International [la società che tramite il gruppo Axa copre eventuali spese sanitarie dei volontari Sve, ndr] non prevede il rimborso di un viaggio di rientro, a meno che i volontari non siano feriti o in condizioni di salute precaria».
Per regolamento, inoltre, non è previsto posticipare il termine di un progetto Sve, anche se interrotto per una calamità come in Nepal. «In ogni caso i biglietti erano già prenotati da tempo, e sarebbe costato troppo prenderne altri per un solo mese in più. A mio parere andrebbe piuttosto rivista la convenzione assicurativa, perché in casi come questi, in cui voli e comunicazioni sono interrotti, e le ambasciate non ci sono [quella italiana più vicina al Nepal è in India, ndr], il supporto di una società come l’Axa, che è radicata in tutto il mondo, sarebbe di notevole aiuto», sostiene Zedda. «Noi per fortuna, avendo esperienza, ce la siamo cavata da soli, ma abbiamo avuto richieste di aiuto da altre organizzazioni non italiane che avevano volontari in Nepal. Bisogna comunque aggiungere che con il nuovo Erasmus+, i progetti Sve fuori dall’Ue sono ormai pochissimi».
Daniele Ferro
@danieleferro
Tutte le foto che corredano questo articolo sono state scattate da Carlo Murenu
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