L'Italia è il primo Paese europeo ad aver adottato una normativa per l'equity crowdfunding. Ma questa possibilità è riservata esclusivamente alle start-up innovative e pone dei limiti agli investimenti. Fa discutere il regolamento pubblicato nei giorni scorsi dalla Consob, con tre mesi di ritardo rispetto alle prescrizioni del decreto Passera, e lascia aperte molte incognite: «Stiamo parlando di un mondo che per sua stessa natura si autoregola che ora si sta "insinuando" in uno tra i settori più pesantemente regolarizzati, ovvero quello finanziario. Questo incontro/scontro è nuovo, non è stato ancora del tutto sperimentato e non possiamo ancora dire se la regolarizzazione bloccherà o incentiverà lo sviluppo del settore», spiega Daniela Castrataro, fondatrice di Twintangibles ed autrice insieme ad Ivana Pais di una ricerca su “Il crowdfunding in Italia”.
Il documento pubblicato dall'autorità di vigilanza sulla Borsa istituisce innanzitutto un registro delle piattaforme autorizzate alla raccolta di capitali on line. E fissa i requisiti di onorabilità e di professionalità richiesti ai gestori di questi portali. I quali non solo non devono aver riportato condanne penali, ma devono avere una «comprovata esperienza» nella gestione di impresa o nelle attività finanziarie. «Questo tanto atteso regolamento non è altro che un insieme di requisiti di onorabilità e di regole di condotta di cui gli addetti ai lavori non sentivano il bisogno. In pratica sono 25 articoli e due allegati di pura e semplice burocrazia» è il commento che Alessandro Biasoli, avvocato e presidente di Capecanaveral, associazione impegnata nella diffusione della cultura d'impresa, affida alla Repubblica degli Stagisti.
«Gestire piattaforme di equity è un compito difficile e richiede delle competenze che non possono essere acquisite in un giorno», ribatte a distanza Castrataro: «sono stati gli stessi operatori a richiedere che i gestori dei portali avessero determinate caratteristiche professionali. Penso che non si tratti di un limite quanto piuttosto di una garanzia per il corretto funzionamento di un settore nuovo». Il punto, secondo il fondatore della piattaforma di crowdfunding SiamoSoci Cristiano Esclapon, è che il decreto Passera «ha ben regolato il fallimento delle start-up, prevede che si possano chiudere i bilanci in perdita senza intaccare il capitale, stabilisce che chi fallisce non è delinquente. E questa è una bella innovazione, davvero necessaria. Ma sul fatto del finanziamento di queste imprese si sono cercate delle salvaguardie rivolte alla figura di un investitore molto tradizionale».
Grande l'attenzione posta alla trasparenza, con l'obbligo di rendere pubblici i curricula degli startupper che richiedono un finanziamento, il business plan e tutti i rischi connessi all'investimento in una realtà imprenditoriale tutt'altro che consolidata, così come alle misure che evitino conflitti di interesse. E sempre a garanzia dei piccoli risparmiatori la normativa prevede che almeno il 5% dell'offerta sia coperta da un investitore professionale. «L'elemento più critico sta nella definizione di queste figure», afferma il fondatore di Roma Startup Gianmarco Carnovale [nella foto sotto]. Da una parte ci sono i soggetti che rientrano di diritto nel novero, come le banche, le imprese di investimento e le assicurazioni. «Poi ci sono quelli che devono presentare richiesta di iscrizione al registro e devono presentare due requisiti: aver svolto almeno dieci operazioni a trimestre nei dodici mesi precedenti alla domanda, cioè devono giocare in Borsa, ed avere un portafoglio che supera i 500mila euro». Tutti criteri che «si adattano alle società di gestione dei risparmi e ai venture capitalist, ma tagliano fuori la figura del business angel». Ovvero quel singolo che finanzia una start-up magari con importi più contenuti, mettendosi però anche a disposizione come mentore. E che, secondo Carnovale, rischia di essere escluso dalle operazioni di crowdfunding.
Ma anche chi potrà realizzarle dovrà fare i conti con limiti ben precisi. Il regolamento infatti prevede l'esenzione dai controlli legati alla direttiva europea sul mercato degli strumenti finanziari solo per le operazioni inferiori a 500 euro condotte da persone fisiche, per un massimo di mille euro annuali. Mentre per le persone giuridiche l'asticella sale ai 5mila euro sul singolo ordine e ai 10mila su base annua. «Mi aspettavo una deregolamentazione per le società», commenta Esclapon, «se un amministratore delegato ha il mandato per acquisizioni fino a 100mila euro non dovrebbe essere soggetto a nulla». Se non, appunto, alle valutazioni del cda dell'azienda per cui lavora.
Il regolamento sul crowdfunding finisce insomma per dividere: da una parte chi lo considera un inutile orpello burocratico, dall'altra chi lo vede come un passo importante che pone l'Italia all'avanguardia. Ma una opinione è condivisa dagli uni e dagli altri: che come tutte le opere umane sia un documento perfettibile.
«Il vincolo più grande dipende dalla limitazione alla sola nicchia delle start-up innovative: si tratta di 980 realtà ad oggi», sottolinea l'ideatore di WeAreStarting Carlo Allevi. Era stato il decreto Passera a stabilirlo. Ma dalle piattaforme di crowdfunding arriva la richiesta di superare questa prescrizione: «È auspicabile un allargamento, a breve, di questa pratica a tutte le piccole e medie imprese, che oggi hanno tanto bisogno di nuovi canali per accedere al credito», conferma alla Repubblica degli Stagisti il fondatore di Italian Crowdfunding Network Claudio Bedino. E del resto la stessa Consob ha confermato che il regolamento potrà essere modificato nei prossimi mesi anche in virtù delle sollecitazioni da parte degli operatori e dell'intero ecosistema che certamente, viste le reazioni con cui è stato accolto il documento, non mancheranno.
Riccardo Saporiti
startupper@repubblicadeglistagisti.it
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