OrangeFiber, la start-up che spreme le arance e ne fa tessuti

Riccardo Saporiti

Riccardo Saporiti

Scritto il 18 Feb 2014 in Approfondimenti

StagistiDa cinque anni sono coinquiline, da diciotto mesi anche socie in affari. Enrica Arena (28) e Adriana Santanocito (36) sono due startupper di Catania, ma milanesi d'adozione, che hanno brevettato un tessuto ricavato dagli scarti della lavorazione degli agrumi.

«Adriana stava studiando all'Accademia della Moda di Milano, un paio di anni fa ha colto il filone della moda sostenibile, che ha ricadute sociali perché coinvolge lavoratori in difficoltà o categorie sociali protette, riconoscendo loro un compenso equo», il racconto nelle parole di Arena di come è nata quella che oggi è diventata Orange Fiber, «e soprattutto ha un effetto positivo sul piano ambientale». Pioniera di questo settore è stata Stella McCartney, con una linea di borse in ecopelle. Mentre altre aziende ricavavano i tessuti dalle bottiglie di plastica riciclate, piuttosto che dalle fibre di latte.

Il mercato offre degli spazi per questi prodotti “alternativi”. «Oggi il 60% dei tessuti è derivato dal petrolio» e risente quindi delle oscillazioni dei prezzi del barile, «il resto sono fibre naturali, per la maggior parte si tratta di cotone. Una pianta che richiede un uso estensivo della terra, tanta acqua, fertilizzanti e sostanze chimiche». Costi elevati, insomma. Che Orange Fiber invece “polverizza”. Il motivo? La materia prima utilizzata «è uno scarto del quale nessuno fa nulla».

L'idea infatti è quella di utilizzare quelle parti del frutto che «l'industria della trasformazione, quella che produce spremute e oli essenziali, non usa». Ovvero, sostanzialmente, le bucce. «Noi estraiamo la cellulosa, la trasformiamo in acetato e quindi in un tessuto, che poi viene colorato ed arricchito con vitamine». Le quali vengono poi rilasciate sulla pelle quando si indossa un abito realizzato con questi filati, garantendo «benefici cosmetici in termini di idratazione».

Quello che è considerato uno scarto si trasforma insomma in una risorsa. Della quale la Sicilia, terra natale di queste due startupper, è molto ricca. «Abbiamo tanti amici che coltivano agrumi, alcuni non raccolgono nemmeno più perché i prezzi di mercato non ripagano i costi. Per noi è più facile lavorare sullo scarto industriale che non sostenere questo tipo di spese, ma un domani speriamo di riuscire ad assorbirle». Contribuendo così al rilancio economico dell'isola.

Sono molti, però, i punti di domanda rispetto al futuro di questa start-up. Intanto c'è da estendere il brevetto italiano per i tessuti ricavati dalle arance. «Ci è costato 3mila euro. Per ottenerlo ci siamo affidati ad un ingegnere progettuale che si è appoggiato al dipartimento di Chimica dei materiali del Politecnico di Milano», spiega Arena, «abbiamo messo in piedi un gruppo di gente qualificata perché venisse “blindato”, perché fosse più sicuro possibile». Per i prossimi diciotto mesi l'idea delle due startupper sarà tutelata anche a livello internazionale. «Per estendere la protezione, lo scoglio è economico. Solo quello europeo costa 10mila euro».

Altrettanti ne serviranno per versare il capitale sociale. Ancora Orange Fiber non ha una personalità giuridica, ma l'obiettivo è quello di farla diventare una srl “classica”. «Dovendo lavorare con dei fornitori di di grandi dimensioni, ci siamo rese conto che quella semplificata scoraggia». Una volta fondata l'azienda, «chiederemo l'iscrizione nel registro imprese come start-up innovativa».

Nel frattempo le due imprenditrici hanno seguito diversi percorsi di accelerazione: «Changemakers for ExpoMake a Cube, il progetto Expo di Telecom Italia. Attualmente siamo seguite dal Parco tecnologico padano di Lodi, con cui abbiamo steso un business plan come si deve». Ed hanno iniziato ad accumulare premi: la quinta edizione del premio "Global social venture competition", promosso dal Tecnoparco lodigiano e dal comune di Milano, e Working capital di Telecom Italia. Fino ad arrivare a qualificarsi per la finale della Creative business cup di Copenaghen nel novembre dello scorso anno.

Ora però serve un finanziamento seed per il salto di qualità. «Stiamo cercando 150mila euro per sbloccare la prototipazione e per mettere in piedi una prima produzione in outsourcing. E poi ci servono tra i 500 e i 600mila euro per lanciare il primo stabilimento». Servono quattro mesi perché il prototipo sia pronto, un anno per aprire una linea di produzione che dia lavoro a 5 persone in Sicilia o, se Orange Fiber vincerà il bando TrentinoSviluppo, sulle Dolomiti. «Abbiamo già dei potenziali finanziatori seriamente interessati, vedremo quest'anno».

Riccardo Saporiti
startupper@repubblicadeglistagisti.it 

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