Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior... e dai fondi di caffé crescono i funghi. Lo hanno scoperto Vincenzo Sangiovanni (31 anni) e Antonio Di Giovanni (28), che insieme all'imprenditore giapponese Tomohiro Sato (45) hanno dato vita a Funghi Espresso, una start-up che commercializza dei kit per coltivare questi prodotti utilizzando gli scarti della moka.
La storia di questa azienda nasce nel 2013: «Stavo scrivendo la mia tesi di laurea in Architettura, la seconda dopo quella in Lingua e letteratura giapponese, e facendo delle ricerche mi sono imbattuto in un progetto africano che prevede l'utilizzo del caffé per la coltivazione dei funghi», racconta Sangiovanni: «ci ho provato e mi è riuscito».
Questo procedimento non è una scoperta dei due startupper italiani. «Si tratta di una tecnica che ha almeno 25 anni, è nato in Asia da un micologo cinese che ha scoperto che i fondi della moka sono ricchi di fosforo e azoto, ma anche di cellulosa e hanno il Ph adatto».
Dopo aver verificato che il processo funzionasse, «ho cercato maggiori informazioni su Google e ho conosciuto Rossano Ercolini, che già stava lavorando ad un progetto simile». Ercolini, maestro elementare, proprio nel 2013 aveva vinto il Goldman Environmental Prize, una sorta di Nobel per l'agricoltura: contattato da Sangiovanni, lo mette subito in contatto con il futuro socio, agronomo fiorentino anche lui alle prese con funghi e fondi di caffè. A sua volta Di Giovanni aveva conosciuto Sato attraverso la rete Rifiuti Zero, realtà impegnata sul fronte della riduzione della produzione di immondizia. È iniziato così un percorso che, a marzo di quest'anno, ha portato alla costituzione dell'azienda.
Si tratta di una società agricola a responsabilità limitata con sede legale a Firenze ed un capitale sociale di 20mila euro. «L'investimento è tutto di Tomohiro, io e Antonio ci mettiamo il lavoro». In questa fase i due startupper sono impegnati a far conoscere la loro attività. Ad esempio nelle scorse settimane erano a Bologna allo Smau a presentare il loro prodotto, che sarà commercializzato a partire da settembre.
«Noi vendiamo sia il fungo fresco, ad esempio ai ristoranti o a quei clienti che hanno bisogno di grandi quantità, che il kit per la coltivazione domestica. Diciamo subito, visto che ce lo chiedono tutti, che no, non sanno di caffé. E no, non si possono far crescere i porcini». Ad oggi è possibile preparare in casa i geloni, diversi tipi di pleurotus, il cardoncello e lo scitake, essenza tipica giapponese.
Il kit è una busta che contiene il «substrato inoculato», ovvero i fondi di caffé con i “semi” dei funghi. «Basta seguire le istruzioni: si apre, si innaffia, si aspetta che crescano e poi si mangiano. Noi garantiamo tre raccolti significativi». A fronte di una spesa di circa 11 euro, sarà possibile avere per almeno tre volte una produzione pari a 120 grammi, il necessario per una cena per due persone. Dietro a tutto questo c'è una forte attenzione all'ambiente. Non solo perché il prodotto è contenuto in una busta di plastica biodegradabile: il punto centrale è che la materia prima è un rifiuto: si tratta dei fondi di caffé dei bar, che Funghi Espresso ritira per realizzare i suoi prodotti. Un messaggio che Sangiovanni vuole condividere: «Se io vendessi solo funghi, sarei morto domani».
Non è infatti possibile brevettare il processo di coltivazione. «Noi vogliamo andare nelle scuole e nelle case a parlare della filosofia rifiuti zero, far capire alla gente che tutto si trasforma». Le conseguenze della produzione eccessiva di immondizia Sangiovanni le ha vissute sulla sua pelle: «Io abito a Napoli, i rifiuti sono ovunque. Quello che voglio è far capire alle persone che stiamo sbagliando tutto». Non si tratta solo di responsabilità sociale d'impresa: i due startupper vogliono “educare” la clientela. Così che a settembre, quando il kit Funghi Espresso andrà in commercio, si faccia trovare pronta ad acquistarlo.
Riccardo Saporiti
startupper@repubblicadeglistagisti.it
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