Stagista, perfavore, mi affetta due etti di crudo?

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 21 Apr 2009 in Notizie

Sentirsi proporre uno stage quando si ha l’obiettivo di fare l’analista finanziario, il commercialista, l’ufficio stampa, ci sta. Sentirselo proporre per avere un posto da salumiere o banconista in un supermercato ci sta molto meno: specialmente se lo stage in questione non dura poche settimane –  giusto il tempo di familiarizzare con il banco frigo e la cassa – ma molti mesi.

Purtroppo gli annunci di questo tipo non sono rari in Rete: «Si ricercano addetti da inserire in supermercato tramite periodo di stage di 6 mesi come cassieri, scaffalisti, ortofrutta», ed è solo un esempio.

La normativa di riferimento non vieta esplicitamente di fare stage per mestieri a bassa specializzazione: pertanto chiunque abbia un’attività imprenditoriale può proporre a un giovane uno stage, motivando di dovergli impartire una formazione affinché impari il mestiere.
Il punto, semmai, è la durata di questa formazione: se si è tutti d’accordo che per determinati lavori, complessi e “di intelletto”, oppure artigianali, possano servire anche molti mesi per apprendere le mansioni, certo è ben più difficile credere che servano tre mesi, o addirittura sei, per imparare ad affettare il prosciutto al banco, o a disporre la merce sugli scaffali.
A ciascuno, poi, la sua responsabilità: a partire da quegli enti promotori che di volta in volta scelgono di avallare tirocini di questo tipo, senza porsi dubbi sulla consistenza del progetto formativo.

Qualche volta, però, questi stage passano dai corridoi dei supermercati alle aule di tribunale.

C’è stato per esempio un caso in Friuli Venezia Giulia, partito nel 2001 grazie a una segnalazione alla Direzione provinciale del lavoro di Trieste. Un giovane raccontò che lavorava in un supermercato: non come dipendente, però, bensì con un semplice contratto da stagista. E non era solo: gli ispettori andarono, ispezionarono e stabilirono che in almeno 42 casi gli stage erano stati utilizzati per mascherare ordinario lavoro dipendente. Gli stagisti erano infatti utilizzati alla salumeria, alla cassa, o con il compito di disporre la merce sugli scaffali. La palla passò nel 2004 al Tribunale, che nell’agosto del 2007 ha emesso una prima sentenza - in cui si legge chiaramente, tra l’altro, che per uno stage del genere una durata di sei mesi, «a fronte della tipologia poco qualificante delle mansioni, appare incongrua». I proprietari del supermercato hanno fatto appello: per la prossima udienza, però, bisognerà attendere ancora un anno e mezzo.

Un caso simile è accaduto a Lecco, all’inizio del 2007: anche qui si è mossa la Direzione provinciale del lavoro, su segnalazione di un ragazzo, e ha riscontrato un uso improprio di sette stagisti, addetti principalmente alla disposizione dei generi alimentari sugli scaffali. Anche qui il supermercato, appartenente a una nota catena, si è opposto al verbale (che diffidava a legalizzare il rapporto con gli stagisti quale rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti), e quindi ora la vicenda si trasferirà in Tribunale.

Ma quanti casi simili passano sotto silenzio, magari perché nessuno va a denunciarli alle Direzioni provinciali del lavoro?


Eleonora Voltolina

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