Quante sorprese riserva la vita: uno a vent’anni suonava in una band, a trenta i suoi videoclip giravano su MTV lasciando presagire un futuro luminoso da rockstar, e a quaranta si ritrova in un centro per l’impiego a sentirsi proporre uno stage. Accade davvero: a raccontarlo è Andrea Bove, già leader del gruppo Dottor Livingstone che attraversò il panorama musicale italiano intorno alla metà degli anni Novanta – e però poi si sciolse. Così lui, che di mestiere sapeva fare solo il musicista, si trovò di fronte a un problema non da poco: trovarsi un lavoro normale per portare a casa uno straccio di stipendio.
Il risultato delle sue peripezie è un racconto autobiografico davvero ben scritto, Stagista a 40 anni, pubblicato l’anno scorso dalla piccola casa editrice piemontese Riccadonna. Qui Bove racconta la sua vita fin da quando, bambino, studiava per ore il pianoforte («è lo stillicidio del tempo trascorso quotidianamente con lo strumento a rendere, infine, musicisti»), passando per il rapporto con i membri della band («manipolo di pazzoidi»), il matrimonio, la nascita del pargolo, la fine dell’avventura musicale. E l’inaspettato contatto con la realtà del centro per l’impiego, che per costruirgli una professionalità non trova di meglio che mandarlo in stage, come un pivellino.
Il libro potrebbe essere un atto d'accusa, ma non lo è. Anzi, assomiglia più a un malinconico e amaro mea culpa: «Una delle caratteristiche dello stagista di quarant’anni è il senso di colpa. Perché in qualche modo dev’essere per colpa sua. Da qualche parte deve aver sbagliato, a un certo punto della propria vita, per essere costretto a elemosinare impieghi precari in un’età cui solitamente si associa la piena maturazione delle competenze e dell’efficacia lavorativa».
Vien voglia di dargli una pacca bella forte sulla spalla e dirgli che può capitare a tutti di dover ricominciare daccapo, che anche lui può ancora andare «a caccia di futuro», e che se per trovare un impiego a un uomo adulto non c'è niente di meglio che un corso formativo con annesso stage gratuito forse qualche problemino ce l’ha non solo quell’uomo, ma anche il mercato del lavoro.
Perché poi ovviamente nell'esperienza di Andrea Bove c'è un’altra fastidiosa problematica, la scarsissima disponibilità economica: «Può essere sorprendente scoprire quante cose non si possono fare, con il salvadanaio di uno stagista di quarant’anni». Specie se con quel salvadanaio non ci si devono comprare solo le sigarette e il biglietto del cinema, ma si deve mandare avanti una famiglia, pagando l'affitto e la rata dell'asilo.
Grazie ai buoni uffici del centro per l'impiego, Bove fa due stage: il primo in un’associazione che sviluppa progetti editoriali e multimediali dove lo usano come tuttofare, correttore di bozze, runner su un set, addirittura autista. Il secondo, più breve, in un museo, «con incarichi più da bidello che da esperto d’arte». Sempre rigorosamente senza farsi illusioni sulle reali possibilità che lo stage possa essere il preludio di un’assunzione: «Nessuno stagista dovrebbe» consiglia, perché «nel novanta per cento dei casi non andrà così. Qualche possibilità in più per uno stagista è che gli venga proposto un contratto a progetto» – iperbole non molto lontana dal vero, se si considera che il dato rilevato da Unioncamere Excelsior è di tredici assunzioni su cento al termine di uno stage – «Ma ancor più probabile è che dopo il periodo di stage ci si saluti per sempre e basta: è stato bello ma adesso non abbiamo la possibilità di assumerla. E sotto con un altro stagista al posto nostro».
Resta da scoprire: ora Bove un lavoro l’avrà trovato?
Eleonora Voltolina
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