Il comportamento delle aziende che reclutano stagisti per mansioni di basso profilo in fast food, profumerie, saloni di bellezza o tabaccherie, non è illegale perché la normativa vigente non pone limiti rispetto alla tipologia di imprese che possono ospitare persone in tirocinio. Ma al di là delle difese d'ufficio, della serie non-si-viola-nessuna-legge, la Repubblica degli Stagisti ha voluto approfondire il discorso con due esperti del settore, che spiegano il fenomeno con riflessioni meno banali.
Secondo Luca Riva [nella foto a sinistra], responsabile del Jobcaffè (un ufficio che una volta si sarebbe definito «di collocamento», legato alla Provincia di Milano), gli stage attivati per mansioni di basso profilo non sono sempre e comunque ingiustificati. A patto che sussistano alcuni criteri: che la durata sia commisurata ai contenuti formativi o orientativi dello stage («in questi casi di solito stiamo sui due-tre mesi»), che siano finalizzati all'inserimento e che venga definito in maniera dettagliata il ruolo operativo del tirocinante. A questo proposito Riva precisa: «Per esempio dev'essere ben esplicitato che lo stagista non può stare da solo in negozio o alla cassa, non può fare turni se non strettamente motivati da esigenze formative, deve essere costantemente seguito e affiancato». Se questi criteri vengono rispettati, anche questo tipo di stage «può essere un modo per conoscersi reciprocamente tra impresa e tirocinante in vista di un rapido inserimento – sempre che il rapporto funzioni». Nel fare questo ragionamento Riva pensa non a brillanti neodiplomati o neolaureati, ma a persone che faticano a trovare un impiego e ancor più a tenerselo: «Spesso stage di questo tipo sono utili per inserire ragazzi deboli, o a bassa scolarità, che in alcuni casi hanno anche problemi di tenuta al lavoro da verificare con periodi di stage brevi ma non brevissimi, anche su mansioni semplici. Penso anche ai ragazzi “piccolini” in carico alle comunità sociali, ai disabili e in generale a tutti i soggetti che possono necessitare di periodi più lunghi d’inserimento, sempre supportati da percorsi di tutoraggio e accompagnamento». Non deve infatti mai mancare il monitoraggio del soggetto promotore: «I feedback durante i tirocini e la valutazione finale permettono di poter valutare l'andamento del percorso ed eventualmente interrompere lo stage in corso e non autorizzarne altri in quella determinata azienda». Insomma, secondo Riva la materia «è meno schematica e lineare di quanto possa sembrare all’apparenza ed è quindi è giusto considerare, per quanto possibile, ciascun caso singolarmente, basandosi sulla situazione di partenza, sulle esigenze del ragazzo e sugli obiettivi, formativi e non, del tirocinio».
Anche da parte di Lulzim Ajazi, responsabile del Centro per l'impiego di Mestre, non vi è una condanna a priori degli stage per mansioni di basso profilo. Tra l'altro, è proprio al suo cpi che qualche tempo è giunta da parte di una tabaccheria la richiesta di reclutare uno stagista, scatenando l'indignazione che la lettrice Silvia ha espresso alla redazione della Repubblica degli Stagisti. «Abbiamo pubblicato sul nostro sito l'annuncio per quello stage. Del resto non potevamo fare altro: la tabaccheria ci ha richiesto un servizio che noi siamo tenuti a dare. La procedura prevede che solo dopo la pubblicazione dell'annuncio, e non prima, l'impresa prepari il progetto formativo e lo porti all'ufficio preposto, che verificherà se può essere ritenuto adeguato». Insomma il progetto non viene stabilito a priori, bensì stilato solo una volta che il candidato è stato scelto, per costruirlo ad hoc sulle caratteristiche e le competenze pregresse di questo candidato. «È un cane che si morde la coda» commenta Ajazi «Potremmo accorgerci dell'eventuale abuso solo leggendo il progetto formativo, ma nel momento in cui pubblicizziamo la posizione di stage questo progetto ancora non c'è».
Il Centro per l'impiego di Mestre serve ogni giorno 300 persone e attiva più o meno 500 stage all'anno, a cui vanno aggiunti i 400 tirocini estivi inscritti nei progetti di alternanza scuola-lavoro. In generale, rispetto ai progetti formativi ogni centro per l'impiego ha la facoltà di valutarne la congruità: «Ma ricordiamoci che il cpi è solo uno dei soggetti che possono fungere da ente promotore: quindi c'è anche la possibilità che uno stage che non venisse non giudicato congruo da noi, e quindi rifiutato, venga poi attivato da un'università, dal Comune o da altri enti autorizzati».
Era la prima volta che al centro per l'impiego di Mestre arrivava una richiesta di stage da parte di una tabaccheria: «Potrebbe avere un valore positivo se fosse finalizzato all'inserimento lavorativo» riflette Ajazi «o negativo, se fosse soltanto per acquisire gratuitamente un lavoratore. Noi questo lo potremo scoprire solo andando a vedere il progetto formativo e a conoscere l'impresa». In passato è successo che il cpi mestrino rifiutasse di promuovere alcuni stage, per esempio nei casi in cui un'azienda proponeva sempre la stessa posizione senza mai assumere nessuno e sostituendo continuamente lo stagista con un nuovo stagista. «Io però rappresento un ufficio pubblico, che deve ottemperare ai principi di imparzialità, trasparenza e correttezza» puntualizza Ajazi: «Quindi non può esagerare nell’utilizzo del potere di veto, bloccando offerte di stage senza avere la certezza che le imprese che hanno proposto quelle posizioni vogliano abusarne. E in tanti casi non è verificabile con certezza la volontà di abuso. Comunque in alcuni casi, in passato, abbiamo segnalato situazioni anomale all'ispettorato del lavoro che hanno portato alla conversione degli stage in rapporti di lavoro subordinato». Ma per opporsi a uno stage potenzialmente "farlocco" il percorso è irto di ostacoli: «Rischiamo un esposto per omissione di atti d'ufficio: se decidiamo di non pubblicare una determinata inserzione, perché non ci sembra congrua, potremmo addirittura essere denunciati. Ci è capitato che, avendo riscontrato qualche progetto formativo non pienamente convincente, le associazioni sindacali e datoriali ci dessero contro dicendo "Non spetta al centro per l'impiego sindacare sulla qualità del progetto formativo, non ne ha nè il diritto nè le competenze!". E così noi possiamo agire solo in quei casi in cui l'abuso è veramente palese».
L’ultima riflessione di Ajazi fa eco a quella di Riva: non fare di tutt'erbe un fascio nel giudicare gli stage per mansioni di basso profilo. «Molto differente è la situazione di un laureato rispetto a quella di un disoccupato di lungo periodo, magari con un livello di istruzione elementare, o un tossicodipendente, o un disabile psichico. Per queste persone anche lo stage è un inizio prezioso, e tutti gli altri discorsi vanno a farsi friggere: se riesco a trovare un tirocinio a una persona poniamo disoccupata da 48 mesi, quasi quasi dovrei pagare io l'azienda per accoglierlo!».
Eleonora Voltolina
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