Marianna Lepore
Scritto il 10 Lug 2020 in Notizie
Fair internship initiative nazioni unite stage a distanza
«Consideriamo urgente evidenziare la nostra profonda preoccupazione per le nuove linee guida elaborate dal Segretariato per introdurre su base permanente tirocini a distanza senza rimborso spese»: poche parole, semplici, che introducono la lettera inviata il 2 giugno da Fair Internship Initiative al Segretariato generale delle Nazioni Unite.
Un’idea, quella del “remote internship”, che già nel 2017, in tempi non sospetti, venne avanzata dal Segretariato come risposta a costo zero a chi evidenziava la mancanza di diversity tra gli stagisti all’Onu, dovuta principalmente dall’assenza di un rimborso spese che finiva per escludere in automatico la partecipazione di giovani dai Paesi più poveri.
Già allora la Fair Internship Initiative, coalizione di stagisti e giovani professionisti delle Nazioni Unite nata nel 2015 con l’obiettivo di richiedere tirocini pagati e di qualità, si era schierata contro la decisione, «il cui effetto non sarebbe quello di aumentare l’accessibilità dei tirocini delle Nazioni Unite, comunque privi di rimborso spese, ma piuttosto di trasformarli in consulenze non retribuite prive di sufficienti opportunità di formazione», spiega alla Repubblica degli Stagisti Pablo Lopez di FII. Il piano si arenò anche grazie alle proteste e solo l’Unodc di Vienna introdusse questa modalità per casi eccezionali, come problemi di salute dello stagista o difficoltà nell’ottenere il visto.
Qualcosa è cambiato, ora: la pandemia Covid 19 ha obbligato tutto il personale a passare al telelavoro, inclusi i tirocinanti. «L’occasione giusta per l’amministrazione del Segretariato di rispolverare il vecchio piano» aggiunge Lopez: «L’intenzione è quella di approfittare della necessità attuale di svolgere gli stage a distanza per introdurre nuovi regolamenti che normalizzino questa modalità in maniera permanente anche quando le misure restrittive saranno ritirate». La situazione attuale, infatti, è quella di tirocinanti che continuano a proseguire a distanza i loro stage, «con varie agenzie che continuano a reclutarne di nuovi che molto probabilmente non metteranno mai piede in ufficio».
La Repubblica degli Stagisti si è battuta nei mesi della pandemia per la prosecuzione dello stage da remoto, in smart internshipping, per consentire ai tanti che avevano cominciato i tirocini di non rimanere a casa lunghi mesi senza far nulla e senza ricevere una minima entrata economica. E sottolineando come alcuni tipi di stage possano tranquillamente proseguire anche a distanza. Ma il rapporto personale con i colleghi, l’apprendimento visivo, il vivere i luoghi di lavoro, sono tutti aspetti altrettanto importanti in uno stage che non possono essere definitivamente cancellati.
«I tirocini a distanza limitano drasticamente il valore educativo e formativo di uno stage, riducendoli a consulenze non retribuite e favorendo ulteriormente lo sfruttamento del lavoro non pagato» sostiene Lopez: «Non potendo interagire direttamente con l’ambiente di lavoro e diplomatico, ricevere supervisione quotidiana, partecipare a incontri informali, riunioni ed eventi, il ruolo del tirocinante a distanza si limita a consegnare documenti e lavoro, riducendo enormemente la possibilità di sviluppare le necessarie soft skills per interagire nell’ambiente internazionale». Essere un tirocinante “virtuale” significa soprattutto ridurre le possibilità di networking, il vero valore aggiunto di uno stage, oltre a rendere difficile quasi inesistente il rapporto con supervisore e colleghi.
A supporto di come tirocini di questo tipo possano in alcune situazioni portare a sviluppare ansia se non addirittura depressione vi sono i risultati di un sondaggio realizzato dalla Fair Internship Initiative a fine aprile: «Tutte le opportunità di relazione, tutoraggio, apprendimento, formazione incrociata e partecipazione a eventi che completano l’esperienza di tirocinio sono sparite e ora sono praticamente solo un consulente non retribuito» e «Penso che gli stagisti siano i più colpiti dall’emergenza Coronavirus. Abbiamo trascorso quasi la metà del tempo facendo lo stage da casa. Andare in ufficio, conoscere nuove persone, acquisire esperienza sul campo, sono caratteristiche chiave di uno stage che ora, vista la situazione straordinaria, stanno fallendo» sono alcune delle dichiarazioni di due stagisti, uno alle Nazioni Unite, l’altro al Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo.
«Contrariamente a quel che si pensa, i tirocini a distanza non risolvono il problema della mancanza di pari opportunità di accesso e fruizione del programma» sottolinea Lopez: «Anzi, riproducono le disparità già esistenti». In una situazione simile, infatti, alle differenze di base tra chi può fare uno stage senza rimborso spese in città molto costose – come Ginevra o New York – si aggiungono le difficoltà di avere ulteriori spese per trovare sistemazioni migliori con un buon accesso a internet e stanze singole dove vivere e lavorare. Oltre a dispositivi di base, come computer e programmi altrimenti non necessari in ufficio.
Difficile dire con certezza questa situazione quanti stagisti abbia coinvolto, perché è già complicato stabilire quanti siano quelli alle Nazioni Unite, vista la distribuzione in diverse agenzie. FII ha provato a capirne qualcosa in più tramite un sondaggio lanciato a fine marzo che ha raccolto le testimonianze di 223 stagisti distribuiti in 37 location – non necessariamente altrettante agenzie – in tutto il mondo, inclusa l’Italia.
Oltre il novanta per cento aveva già a inizio pandemia ricevuto direttive sulle nuove disposizioni del telelavoro, l’undici per cento ha dovuto terminare lo stage prima del previsto a causa di pressioni ricevute dall’amministrazione e otto stagisti su dieci hanno criticato la comunicazione sulle disposizioni per lo smart internshipping. Alle spese di viaggio e alloggio si sono per alcuni sommate quelle di rimpatrio anticipato: su questo fronte una piccola goccia nel mare è stata data dalle poche agenzie che hanno deciso di aiutare i propri stagisti, come l’Unep che ha dato 500 dollari a tutti i suoi tirocinanti per far fronte a queste spese, l’Ifad che ha rimborsato il costo del viaggio di rimpatrio, e l’Ilo che ha aumentato l’attuale rimborso per aiutare i tirocinanti a coprire le spese di assicurazione sanitaria.
La Repubblica degli Stagisti ha provato a più riprese a chiedere un’intervista al Segretariato dell’Onu per sentire anche il loro punto di vista, ma a tutt’oggi nonostante le richieste di sollecito non è stato possibile avere un confronto su questo tema. Né risposta, a un mese di distanza, è stata data alla lettera della Fair Internship Initiative, che ha ricevuto da fonti confidenziali informazioni «di una considerevole determinazione a portare avanti questa riforma», ma ha anche ricevuto da un funzionario del dipartimento risorse umane la notizia che finita l’emergenza «le condizioni di tirocinio torneranno a essere quelle previste nel regolamento interno sui tirocini». Una risposta ufficiale da parte del Segretariato aiuterebbe a mettere chiarezza sulla questione.
La lettera della Fair Internship Initiative ha ricevuto l’appoggio di Unog, Unov, Unfsu, delle associazioni del personale di Escap e Eclac, del sindacato del personale Eca, del consiglio del personale Escwa e di associazioni di stagisti a Ginevra, Nairobi e New York. «Diversi direttori di agenzie Onu hanno espresso il loro supporto, sia agenzie che già includono un rimborso spese, come i Direttori generali dell’Ilo e dell’Oms, il vice commissario dell’Unhcr, il direttore delle risorse umande dell’Undp. Sia direttori di agenzie, come Unep, Ohchr e Unfccc, che sono vincolati alle regole del Segretariato e pur supportando una riforma non hanno sufficiente potere decisionale per modificare la politica sui tirocini».
La battaglia della FII, va avanti, cercando di raccogliere il supporto di attuali o ex dipendenti, consulenti o stagisti all’interno del sistema Onu. In questi anni alcuni risultati sono stati raggiunti. Sei agenzie dell’Onu – su un totale di una trentina – hanno introdotto rimborsi spese: Unhcr, Oms, Unicef, Undp, Un Women, Unfpa, con una cifra pari al dieci per cento dell’indennità giornaliera di soggiorno (ovvero soldi che vengono dati al personale in missione calcolato sulla base del costo della vita in un determinato luogo) per un massimo di mille dollari, mentre l'Oms anche più alto visto che sale al venti per cento dell'indennità giornaliera di soggiorno. Altre organizzazioni – come Ilo, Wipo e Unitar – hanno indennità mensili rispettivamente di 2.280, 2mila e 700 franchi svizzeri.
Ma perché allora nell’organo principale – quello che ospita la maggioranza degli stagisti – e in tante altre agenzie gli stage sono ancora gratis? «Perché non vi è alcun “appetito” a cercare nel budget le risorse per pagare qualcosa che l’Onu può facilmente ricevere gratuitamente», risponde Pablo Lopez. Il prestigio di un tirocinio in organizzazioni internazionali è tale che molti giovani non si lasciano scoraggiare dall’assenza di rimborsi spese e di questo alcune organizzazioni, come il Segretariato dell’Onu, ne approfittano. «Andando contro il loro stesso mandato: la promozione delle diversità, la lotta alle disuguaglianze e le pari opportunità». Ancora oggi moltissimi di quanti hanno poi intrapreso una carriera alle Nazioni Unite hanno inziato da stagisti e «il fatto che l’accesso ai tirocini sia spesso non equo contribuisce alla preponderanza di paesi più rappresentati e ceti sociali più alti tanto fra gli stagisti che fra lo staff».
L'orizzonte del possibile cambiamento è comunque molto lontano. Nei prossimi mesi la Fair Internship Initiative ha l’obiettivo di prepararsi per la sessione di marzo 2021 del Quinto Comitato dell’Assemblea Generale dell’Onu, durante la quale la questione dei tirocini e della loro possibile riforma potrebbe finalmente venire affrontata dai delegati degli Stati Membri.
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