Medicina, quale specializzazione scegliere dopo la laurea?

Giada Scotto

Giada Scotto

Scritto il 18 Gen 2018 in Approfondimenti

Se nella vasta gamma di corsi di laurea a disposizione dei giovani si trovano fin da sempre facoltà più direttamente spendibili nel mondo del lavoro, medicina rientra senza dubbio tra queste, essendosi piazzata anche nel 2016, secondo i dati dell’ultimo rapporto Almalaurea, al primo posto per il tasso di occupazione a cinque anni dal titolo, che viaggia oltre il 94%. Anche lo stipendio a cinque anni dalla laurea non delude: la retribuzione netta si aggira in media intorno ai 1.850 euro al mese.

A ben guardare, però, oltre l’80% dei neo-medici non può ancora considerarsi fuori dal percorso formativo, perché c'è da frequentare la specializzazione, tappa pressoché obbligata per poter poi lavorare all’interno del sistema sanitario nazionale. Senza di essa, infatti, sembra che gli aspiranti medici possano fare ben poco: sostituzioni di medicina generale e guardie mediche, essenzialmente.

Data però la lunghezza della specializzazione – che va in media dai 4 ai 6 anni – e la mole di studio richiesta al superamento del concorso, per titoli ed esami, attraverso cui le borse di specializzazione vengono annualmente assegnate, può essere utile, prima di scegliere la strada da prendere, mettere a confronto le varie opportunità dando un’occhiata anche alle chances occupazionali offerte da ciascuna specialità.

«Le specializzazioni più favorevoli sono sicuramente pediatria, anestesiologia, medicina interna e medicina di base che, stando agli ultimi dati, avrà in futuro una grande carenza» spiega a Repubblica degli Stagisti Pierino Di Silverio [nella foto qui sotto], consigliere dell’Ordine dei medici di Napoli e membro del direttivo nazionale Anaao giovani. Stando ai numeri [nella figura a sinistra], infatti, sono queste le specialità che si preparano a registrare, nel periodo 2014-2023, il maggior numero di pensionamenti: 6mila per pediatria, quasi 5.500 per anestesiologia, oltre 4mila per medicina interna. Poche invece sono le notizie dal mondo del privato, per il quale è difficile stabilire quali siano le specializzazioni più fruttuose in termini di retribuzione:
i contributi versati dai medici che esercitano privatamente, spiega la la cassa previdenziale dei medici Enpam, non sono distinti sulla base della specializzazione che hanno conseguito ma confluiscono in un fondo unico, quello dedicato appunto alla libera professione.

Attenzione però ai dati apparentemente incoraggianti che arrivano dal sistema sanitario nazionale: il gran numero di pensionamenti non significa che per ogni medico anziano che andrà in pensione si aprirà automaticamente un posto di lavoro per un giovane medico. Il numero dei contratti di formazione Miur, ossia delle borse di studio per specializzandi per ciascuna area, risulta infatti nello stesso lasso di tempo nettamente inferiore; si parla infatti di 2.900 borse per pediatria, 5.140 per anestesiologia e 2.280 per medicina interna. Ciò significa che, salvo cambiamenti nella programmazione, mancheranno presto circa oltre 3mila pediatri, quasi 2mila medici interni e più di 300 anestesisti, ma anche, stando ai dati, quasi 1000 chirurghi, oltre 800 psichiatri, e l'elenco potrebbe continuare.

Il problema evidente in tali discrepanze sembra però stare a monte, ossia nella forte differenza che si registra ormai da anni tra il grande numero di laureati in medicina e il ristretto numero di borse di specializzazione messe a bando ogni anno dallo Stato e, in minima parte, dalle Regioni: «Gli immatricolati alla facoltà di medicina sono circa 10mila all’anno, con un tasso di laurea in sei anni del 93%. Se si considera che i contratti formativi erano quest’anno 6.700, a cui si aggiungono i circa mille posti per la specializzazione in medicina generale, il gap che ne deriva è enorme. In questo modo circa tra i 1500 e i duemila colleghi restano fuori ogni anno da canali formativi, poiché con la legge Bindi l’ingresso in ospedale è subordinato al titolo di specialista» chiarisce Di Silverio.

Per questo Anaao Giovani chiede che venga incrementato il numero dei contratti di formazione specialistica di almeno 2mila unità, per arrivare ad un minimo di 8mila contratti l’anno, così da cercare di «allargare l’imbuto formativo creato da una fallimentare programmazione» si legge sul sito dell’associazione. «La soluzione alla carenza di specialisti che si registrerà nei prossimi anni non sta infatti nel permettere un libero accesso al corso di laurea in Medicina e chirurgia», che «condannerebbe un’intera generazione di medici alla disoccupazione», ma nel «permettere a tutti i laureati in medicina di completare il percorso formativo post-lauream per poter accedere al mondo del lavoro pubblico e privato».

Ma, se la soluzione è rappresentata da una corretta programmazione in termini di numeri e di tipologia dispecializzazione, occorre però migliorare la formazione specialistica anche in termini di qualità, poiché «la rete formativa medica ha bisogno di essere integrata, così come deve essere integrata la formazione medica con gli ospedali», spiega Di Silverio. «Auspichiamo e chiediamo da tempo a Roma la creazione di teaching hospital affinché il giovane medico possa girare tra gli ospedali e “imparare facendo”»: dati alla mano, infatti, il 71% di chi ha frequentato un reparto ospedaliero ritiene che la formazione professionalizzante sia migliore rispetto all’analogo universitario. «Questo dimostra che le strutture ospedaliere sono in grado di fornire una formazione di massimo livello, spesso ben al di sopra dei reparti universitari, dando un’ulteriore conferma del fatto che la via maestra per risolvere i problemi del percorso di formazione post-lauream è quella del doppio binario formativo».

Ad essere necessario è poi «un cambiamento nella tipologia contrattuale del medico specializzando, che ad oggi percepisce una normale borsa di studio con funzioni contrattuali non ben definite» aggiunge Di Silverio. L’adozione di un contratto a termine «consentirebbe invece di raggiungere i requisiti per entrare nel sistema sanitario dopo la specializzazione, così come di versare quote contributive decorose per il raggiungimento della pensione. In più permetterebbe l’acquisizione dei diritti del lavoratore, che oggi appaiono sfumati e discrezionali».

Anche per Walter Mazzucco [nella foto a sinistra], presidente dell’Associazione italiana medici, il problema sta in «una programmazione fatta male», poiché incentrata su un «modello ospedalocentrico» che non tiene conto della necessità di investire invece anche sulle strutture sanitarie territoriali: «se in passato il prevalere di malattie acute rendeva gli ospedali centrali nel sistema sanitario, adesso la programmazione dovrebbe tener conto di un prevalere di malattie croniche che, salvo il riacutizzarsi, possono essere trattate più agilmente sul territorio» spiega Mazzucco. «Il medico che si laurea spesso non conosce bene le possibilità di lavoro sul territorio e ha come sola aspettativa quella di fare il medico ospedaliero»: eppure queste strutture potrebbero dare buone opportunità anche ai giovani neo-medici, a patto però di essere valorizzate.

«Avendo 21 servizi sanitari regionali con richieste differenti, il quadro è variegato» sia in termini di problematiche che in termini di opportunità post-specializzazione: «Al Sud si lamenta la mancanza di concorsi a tempo indeterminato, causati dai blocchi imposti dai piani di rientro: in pratica, non ci saranno concorsi a tempo indeterminato finché non ci sarà una rimodulazione delle reti ospedaliere che crei un’adeguata rete di salute» dice Mazzucco. Molti giovani medici del meridione guardano allora al Nord Italia, dove ci sono più possibilità e, spesso, non totalmente sfruttate dato che molti medici «preferiscono, piuttosto che andare a lavorare in un’area periferica, spostarsi in qualche città all’estero». Per questo «abbiamo tanti medici che vanno fuori, soprattutto in Svizzera e Regno Unito».

Se dunque la laurea in Medicina continua ad essere considerata un titolo “inossidabile”, anche per gli aspiranti medici, il percorso non sembra essere tutto rose e fiori. Lo conferma la bocciatura dell’emendamento proposto in Commissione bilancio alla Camera volto a garantire la copertura economica, nella legge di bilancio 2018, per circa mille contratti di formazione specialistica in più a partire dal prossimo anno accademico. Mille contratti che secondo l'Anaao «sarebbero stati del tutto insufficienti rispetto alle reali esigenze del fabbisogno del sistema sanitario nazionale e all’angosciante problema dell’imbuto formativo che sta stringendo in una morsa i giovani medici», ma che avrebbero fatto almeno sperare, se non altro, in un impegno e in un interesse delle istituzioni nei confronti della formazione medica specialistica.

Giada Scotto

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