Invidiati dai giovani professionisti italiani, i medici sono l'unica categoria a cui la legge garantisce una retribuzione – 1.765 euro netti mensili - per il tirocinio di specializzazione. La svolta è arrivata con una direttiva europea del '93 recepita nel '99, ma applicata in Italia solo dal 2006 dopo una lunga battaglia. Risultato: oggi i camici bianchi godono di garanzie che per altre figure, come gli psicologi, restano un sogno. La Repubblica degli Stagisti ha messo a confronto i due percorsi.
L'ingresso alle specializzazioni in medicina – 5mila posti all'anno distribuiti tra le varie discipline – si può tentare dopo tre mesi di abilitazione e l'esame di Stato. Per chi ce la fa, scatta un contratto di formazione annuale e rinnovabile al superamento di un esame, in grado di assicurare «condizioni più che soddisfacenti». Al di là dello stipendio, «tra i più alti per un giovane ad un anno dalla laurea» come spiega Daniele Indiani, vicepresidente della Federspecializzandi, «ad essere pagati sono anche i contributi alla gestione separata dell'Inps. Le ferie non sono previste, ma si possono far ricadere nei 30 giorni di assenza “per motivi personali”. E, in caso di infortunio o gravidanza, con allontanamento superiore a 40 giorni consecutivi - fino a un anno - viene garantito il trattamento fisso di 1500 euro».
Alle selezioni partecipa la maggioranza dei 7-8mila dottori licenziati ogni anno dall'università. Tanto che, secondo l'osservatorio del Miur, a tre anni dalla laurea a specializzarsi è addirittura il 98,6% del totale. Senza questo ulteriore step infatti non si può ottenere nessuna titolarità di ruolo, nemmeno come medico di famiglia.
L'impatto col lavoro, però, resta duro anche per i neospecializzati. «Finiti gli studi» racconta Indiani «fatta eccezione per radiologi e anestesisti di cui attualmente c'è carenza, si aprono le porte della precarietà, con contratti semestrali a 1200 euro». Ecco allora il paradosso: lo specializzato guadagna meno dello specializzando. «Finisce che, pur in linea con gli studi, ci si trova disoccupati a 32 anni, ed è un problema». Anche perché in agguato ci sono i tempi morti. Negli ultimi cinque anni, i concorsi per l’accesso alle scuole di specializzazione si sono svolti sempre con almeno 5 mesi di ritardo. Ecco perché la riforma Fazio-Gelmini, laddove punta ad accorciare le specialità - da 6 a 5 anni quelle chirurgiche, da 5 a 4 o 3 anni quelle mediche – e ad inglobare i tre mesi abilitazione nel corso di laurea, ha trovato un certo consenso.
I dubbi dei giovani medici si concentrano, però, sulle modalità di svolgimento della pratica. «Per legge non dovremmo sostituire gli organici, ma ci sono ospedali strutturati sulla nostra presenza. E purtroppo» sottolinea Indiani «nessuno vigila. L'Osservatorio è strutturato in modo che i controllati siano anche i controllori». Il risultato? «Piani formativi eccezionali, ma raramente rispettati: specializzandi in chirurgia che invece di operare restano a guardare, riempiendo cartelle o facendo da segretari». E ancora: «La discrezionalità lasciata ai direttori nella fase di selezione è troppa, col rischio di una sudditanza psicologica e di un ho aggiunto qualche dato guida. implicito ricatto “ ti ho fatto entrare, ora fai quello che voglio”. Così diventiamo assistenti piuttosto che persone da formare». Per questo, conclude Indiani, «ci battiamo per un concorso nazionale che ci liberi dallo zerbinaggio verso i direttori».
Ma come funziona la selezione? Avviene su un punteggio ottenuto per titoli ed esami. Il voto di laurea vale fino a 7 punti e il cv fino a 18. Poi c'è un quiz da 60 domande a risposta multipla e una prova pratica da 15 punti. Ed è proprio su quest'ultima che si eserciterebbe la discrezionalità dei direttori delle scuole a capo delle commissioni esaminatrici. «Poiché i questionari sono estratti su un plateau di 5.750 mila domande» spiega Indiani: «totalizzare i 60 punti agli scritti diventa possibile e la vera partita si gioca con la prova pratica».
Ma se i medici hanno buoni motivi per cui lamentarsi, sorte ancora peggiore tocca agli psicologi. Il percorso di laurea è più breve (5 anni, o 3+2, invece di 6) però bisogna mettere in conto un anno di tirocinio per accedere all'Ordine. «In questa fase» racconta Roberta Cacioppo, vicepresidente dei Giovani psicologi lombardi «il tirocinante si trova spesso a dover operare come se fosse già un professionista, mettendo a rischio il rapporto di trasparenza con gli utenti a cui non viene presentato come tale». Una volta laureati – 4.638 nel 2010, secondo il Miur - e superato l'esame di Stato (o impegnandosi a superarlo nella prima sessione utile) si può intraprendere, come nel caso dei camici bianchi, la specializzazione, in una scuola di psicoterapia. Ed è allora che le differenze di trattamento tra le due figure diventano macroscopiche. «Non solo il tirocinio viene svolto a titolo gratuito» sottolinea Cacioppo «ma è difficile persino trovarlo. E questo rischia di svilire la nostra professionalità. É vero, rispetto ai medici l'impegno è part-time, ma si tratta comunque di un percorso di 4/5 anni».
La penuria di tirocini però non sarebbe causata dalla mancanza del numero chiuso nelle scuole. Anche perché le oltre 340 riconosciute dal Miur offrono già posti superiori alle richieste. «In realtà dei nuovi iscritti all'Ordine della Lombardia, sono in pochi a seguire la via della specializzazione» rivela la vice della Gpl «Forse ci sono troppe scuole, ma purtroppo è il mercato ad essere inflazionato. E molti preferiscono iscriversi a master annuali o biennali che offrono qualche occasione lavorativa in più. Ci sono campi emergenti, come quelli della psicologia scolastica, dello sport e dell'organizzazione del lavoro. Poi c'è la scuola di neuropsicologia che attualmente non è riconosciuta come specializzazione».
Chi si ferma all'esame di Stato può dirigersi verso il terzo settore o aprire uno studio privato di diagnosi e sostegno (non di terapia). Poi ci sono laureati che scelgono un lavoro in azienda, ad esempio come selezionatori del personale, e non si iscrivono nemmeno all'albo. Infine gli studenti a vita che alla scuola di psicoterapia aggiungono uno o due master.
«Di certo non è possibile costringere i giovani alla dipendenza economica oltre i 30 anni. Né ad una formazione perpetua» conclude Cacioppo: «Purtroppo rispetto ai medici facciamo più fatica a farci ascoltare perché il nostro ordine è giovane e siamo di meno. Però stiamo cercando di collegarci con altre provincie e regioni. L'obiettivo è convogliare le nostre istanze verso l'Ordine nazionale».
Ivica Graziani
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