Hanno una visione «pragmatica» del lavoro, inteso soprattutto nella sua accezione di strumento di guadagno, e credono ben poco alla realizzazione personale e alla possibilità di fare carriera. Non stupisce che i risultati di una recente ricerca dell’agenzia per il lavoro GiGroup arrivino in una fase in cui trovare un lavoro e, soprattutto, trovare un lavoro soddisfacente, sembra sempre più un sogno.
Lo studio ha coinvolto più di 2mila giovani di età compresa tra i 25 e i 29 anni, di cui un terzo con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, genitori e un gruppo di 30 aziende. Manca invece completamente la fascia 29-35, che sarebbe stata interessante da analizzare perché comprensiva di buona parte dei laureati in cerca di lavoro o alle prime esperienze professionali. Aree di indagine: situazione professionale dei giovani, orientamento e ricerca dell’occupazione, rappresentazione del lavoro con focus sulle professioni manuali e apprendistato.
La Repubblica degli Stagisti ha provato a fare il punto sugli aspetti salienti della pubblicazione con l’aiuto di Donato Speroni, giornalista e docente di economia e statistica, e Giacomo D'Arrigo, direttore generale dell'Agenzia nazionale giovani, partendo proprio dal ritratto giovanile che ne risulta. «Credo che l’immagine pragmatica dei giovani emersa dalla ricerca corrisponda a una visione realistica. Molti dei lavori offerti loro sono di scarsa soddisfazione e con poche prospettive di carriera. Non c’è da stupirsi che la maggioranza dei giovani avverta questa situazione, che corrisponde a mio avviso all’evoluzione del mondo del lavoro. Ormai la carriera, tranne che in una minoranza di casi, si costruisce passando da un lavoro all’altro», spiega Speroni. Non condivide invece il ritratto giovanile emerso dalla ricerca D'Arrigo: «I giovani che ho avuto modo di conoscere io cercano di impegnarsi, di trovare strumenti per realizzare idee, sono giovani creativi attivi nel terzo settore».
Nonostante ciò dallo studio spicca impietosa un’altra evidenza, ossia la predilezione della maggior parte degli intervistati per un impiego nel settore pubblico, visto addirittura come il «lavoro dei sogni», in grado di offrire la stabilità tanto desiderata. I genitori invece vedrebbero volentieri i figli all’interno di una multinazionale. Insomma il pubblico è amato perché visto tradizionalmente come sinonimo di una sicurezza sempre meno accessibile, come sostiene anche Speroni: «il posto fisso è sempre più il sogno. Chi non lo vorrebbe, in un’epoca di tanta incertezza? Ma è sempre più difficile ottenerlo. Ad esempio anche le assunzioni a tempo indeterminato nelle piccole aziende non possono più dare la certezza del posto fisso, perché esse stesse non sono eterne».
Non a caso l'indagine afferma che né i giovani né i genitori hanno una visione positiva della piccola e media impresa come ambito in grado di garantire un’occupazione stabile. Così come si guarda sempre con una certa diffidenza al lavoro manuale da parte di tutti e tre i soggetti intervistati: figli, genitori e aziende. Giudizio che non trova d’accordo Speroni: a suo avviso sono proprio le occupazioni in cui il contributo dell’uomo è fondamentale a costituire chance importanti di impiego in uno scenario di passaggio verso la crescente automazione. «Nel giro di qualche anno quasi una metà dei posti di lavoro tanto ambiti negli uffici verrà eliminata dall’automazione. Certo, resterà una minoranza che padroneggia tecnologia o finanza, i privilegiati. Ma gli altri? A quel punto è molto più gratificante il tanto disprezzato lavoro manuale, cioè l’artigianato, che può offrire prospettive interessanti laddove l’uomo è insostituibile».
Quanto alle modalità di ricerca del lavoro, emerge una nuova e per certi versi quasi incredibile discrepanza tra genitori e figli: se i primi ripongono fiducia in canali come siti web specializzati, i giovani danno ancora grande peso alla rete di conoscenze individuali. «Le difficoltà nel trovare lavoro ci sono e la rete di conosce indubbiamente è preziosa. Sulle raccomandazioni bisogna però distinguere tra quelle indebite, per esempio per vincere un concorso pubblico, e quelle che sono in realtà referenze: preferisco assumere una persona perché probabilmente potrò fidarmi di più. Inoltre, come si dice anche nella ricerca, l’Italia ha una struttura produttiva basata su aziende piccole e piccolissime che è difficile raggiungere con strumenti formali. Mi sembra che i genitori rispondano con una sorta di wishful thinking: il lavoro si dovrebbe cercare mandando in giro cv e consultando siti specializzati. I giovani più realisticamente sanno che i curriculum lasciano il tempo che trovano e i siti specializzati non sempre corrispondono alle promesse: si pensi ad esempio ai ritardi nel programma europeo Garanzia Giovani, nato proprio per mettere in contatto i giovani con il mondo del lavoro attraverso un sito ad hoc», commenta il docente.
D'Arrigo aggiunge: «Certamente l'attuale crisi pone oggettive difficoltà nella ricerca del lavoro, che portano i giovani a pensare che la strada più facile sia quella delle conoscenze e relazioni personali. Ma è sbagliato lanciare un messaggio del genere. Ma per lavorare, e magari per fare il lavoro dei loro sogni, devono rimboccarsi le maniche e questi giovani, figli della generazione Erasmus, sanno benissimo come farlo e cosa significhi fare sacrifici per riuscire nella vita. Quindi la ricerca, lo studio, il lavoro a progetti come Erasmus +, sono strumenti che li aiutano nella ricerca del lavoro e questo i giovani lo sanno».
Ma in una cornice di forte scetticismo esistono segnali positivi? Speroni vede di buon occhio il tentativo di riordino delle attuali tipologie contrattuali messo in campo dal Jobs Act, considerata un’operazione di «svecchiamento del sistema», che anche secondo D'Arrigo «sta delineando migliori condizioni di lavoro che potranno creare più occasioni per i giovani senza costringerli a dover sognare il posto fisso come unica possibilità».
Sia Speroni sia D'Arrigo guardano con favore al contratto di apprendistato, giudicato anche da genitori e figli una buona opportunità di ingresso nel mercato del lavoro: «l’apprendistato è stato ulteriormente modificato con il Decreto lavoro dello scorso anno, che è stato il primo atto del Jobs Act di Renzi e ha creato una certa attesa. Certo, è meglio un apprendistato con stipendio ridotto e obblighi formativi rispetto a uno stage senza stipendio…». È importante però, come sottolinea il direttore dell'Agenzia nazionale giovani, che «l'apprendistato sia legato poi a un percorso che porti all'assunzione del giovane o comunque a una facilità per il giovane apprendista di inserirsi in qualsiasi contesto di lavoro. Una delle questioni che l'apprendistato potrebbe aiutare a risolvere è l'inserimento nel mercato del lavoro prima rispetto a quanto avviene ora, per portarci in linea con il resto dell'Europa».
La formazione deve essere infine un importante punto di attenzione in un’ottica di miglioramento del nostro mercato occupazionale: «sono convinto che il più grande obiettivo politico che abbiamo davanti è togliere ai giovani l’angoscia del futuro, con una società inclusiva che ti protegge anche quando perdi il lavoro» chiude Speroni: «Il vero nodo è la garanzia di una remunerazione adeguata nel passaggio da un lavoro all’altro. Ovviamente bisogna evitare che questo possa diventare un incentivo a vivere alle spalle dei contribuenti o a lavorare in nero, come accadeva con certe forme di cassa integrazione. Da qui il problema della formazione per cogliere opportunità di lavoro rese sempre più variabili dalla tecnologia, e del controllo su chi percepisce indennità di disoccupazione; insomma di un “sistema lavoro” che in Italia è ancora da costruire».
Chiara Del Priore
Community