Ultima ruota del carro delle riforme in materia di occupazione e grande escluso dal Jobs Act: è il lavoro autonomo, uno dei comparti più dimenticati dalle politiche dei recenti governi. Proliferano così le iniziative delle associazioni di categoria a sua tutela e Colap (coordinamento libere associazioni professionali, che riunisce circa 200 sigle e più di 300mila iscritti, dai consulenti ai designer di interni) è una di queste. Con una serie di eventi che culmineranno in una presentazione a novembre (l'appuntamento è per il 23 a Roma), sta portando all'attenzione dell'esecutivo temi centrali per il settore: uno dei tavoli è per esempio al ministero della Sanità, per la regolamentazione delle professioni sanitarie.
Si parte da un punto: i liberi professionisti hanno introiti sempre più risicati. «I redditi medi delle partite Iva afferenti alla Gestione separata dell'Inps si sono ridotti nel 2013 del 13,3% rispetto al 2012, passando da un lordo annuo di 18.257 a 15.837» si legge nel manifesto dell'associazione, una road map «per far ripartire l'Italia». E nonostante questi numeri, «la legge Fornero prevede l’innalzamento al 33% entro il 2018» ricorda alla Repubblica degli Stagisti Emiliana Alessandrucci, presidente del Colap. «Dalla legge di Stabilità del 2015 ci si attendeva il blocco, invece nulla». E il fatto che per quest'anno l'aliquota sia stata fermata al 27% non deve trarre in inganno perché «siamo ancora davanti a un provvedimento provvisorio. A fine anno saremo di nuovo davanti al rischio di vederla alzata».
Fa riflettere questo scarto: con un'aliquota al 30%, «la partita Iva afferente alla Gestione separata avrebbe un reddito netto tra il 40% e il 50% inferiore a quello del lavoratore dipendente» è spiegato nel documento Colap. Secondo i calcoli dell'associazione, partendo da 12mila euro annui, «al freelance resterebbero 515 euro al mese, al dipendente 903». E oggi, «con un reddito lordo medio di 18.640 euro, il netto mensile è di euro 723, mentre con lo stesso reddito il lavoratore dipendente ottiene 1283 euro netti mensili».
C'è però l'altra faccia della medaglia. Spiega Luca Caratti, esperto della Fondazione consulenti del lavoro, che le trattenute destinate all'Inps di un dipendente sono in realtà anche più elevate, solo che «Il 9,1% della retribuzione è a carico del lavoratore, mentre il datore paga ogni mese circa il 28%». Insomma, circa il 37% di quanto guadagnato dal dipendente finisce nel suo fondo pensione (ma una parte va anche a fondo disoccupazione, assegni nuclei familiari e altro). Il rischio concreto di un abbassamento dell'aliquota per i freelance è quindi di ricevere un domani un trattamento pensionistico ancora più scarso perché «l'autonomo è l'unico artefice del suo futuro pensionistico». E viste le «note resistenze agli aumenti dei compensi» sarebbe impensabile intervenire sulla rivalsa del 4% nei confronti del cliente a cui ha diritto l'autonomo.
La soluzione, propongono dal Colap, è la «divisione della Gestione separata tra professionisti a partita Iva e lavoratori parasubordinati, e il blocco dell’aliquota al 27% in via definitiva, con una riduzione per i giovani fino a 29 anni del 50% della contribuzione per fascia di reddito fino a 30mila euro». E per Caratti un'idea per poter contare su una pensione dignitosa sarebbe «consentire al lavoratore di scegliere un'altra gestione previdenziale, oltre l'Inps». Per smussare il maggiore onere contributivo, «dare poi la possibilità di dedurre le quote integrative dal reddito».
Oltre allo snodo previdenziale, al centro di tante proteste anche da parte di altre associazioni, c'è il capitolo regime dei minimi, di recente riformato. «Oggi ci troviamo davanti a due sistemi, tanto per semplificare!» osserva la Alessandrucci: «Il regime prorogato, quindi 30mila euro di fatturato e 5% di imposta mista per cinque anni, e quello dei 15mila euro di con tasso di redditività al 78% e imposta mista del 15%, senza limiti temporali». Quello che il Colap propone è invece «un regime sotto la soglia dei 30mila euro con imposta mista al 10%, senza limiti anagrafici o temporali e una decontribuzione per i primi tre anni al 50%».
La battaglia dell'associazione include anche le start up, per cui si chiede «una defiscalizzazione indiscriminata per i primi tre anni», e incentivi per la creazione di nuove imprese nelle categorie rappresentate dal Colap. «In Italia manca la cultura della professione come opportunità di occupazione, fattore di contribuzione al Pil, strumento per lo sviluppo del Paese» rilancia la Alessandrucci. Materie su cui il Colap ha aperto un tavolo al ministero dello Sviluppo economico: «Stiamo verificando insieme gli spazi per il microcredito, il finanziamento alle start up professionali e i tutoraggi».
C'è poi la richiesta di «semplificazione dei centri per l’impiego, per garantire un più efficace orientamento al lavoro, in particolare per i giovani». Servono «maggiori sinergie tra associazioni, cpi e università per promuovere le professioni come opportunità occupazionali, creando punti di consulenza organizzativa e finanziaria presso cpi o privati accreditati. Oggi c’è una totale assenza di raccordo» chiosa la Alessandrucci.
Le speranze di arrivare a queste misure di sostegno ci sono: «Voci di corridoio ci dicono che il governo vuole intervenire sul lavoro autonomo in maniera più strutturata». Come testimoniato dalla Repubblica degli Stagisti, l'orientamento sarebbe quello di intervenire ad esempio sulle partite Iva, stilando una lista di mestieri compatibili con tale inquadramento. Ipotesi che non piace alla Alessandrucci: «Non è questa la nostra esigenza: troppo facile archiviare il problema con un elenco, c'è già per questo la legge 4/2013 che aiuta a definire chi sono i professionisti e la legge Fornero con i suoi strumenti di verifica e controllo per stanare le false partite Iva».
Senza contare che la scadenza per ogni tipo di intervento non sembrerebbe la legge di Stabilità. «Questa intenzione ci crea qualche sospetto» dichiara la numero uno del Colap, «si rischia di rimandare ancora, lasciando i professionisti in un limbo di incertezze, costi, instabilità e futuro sempre più a rischio».
Ilaria Mariotti
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