Si è concluso da poco il Festival del lavoro organizzato dall’ordine dei consulenti del lavoro a Brescia: un’edizione quest’anno più che mai ricca di argomenti, a pochi giorni dalla fiducia alla Camera del ddl Fornero. La Repubblica degli Stagisti c’era per capire da vicino quali sono le opinioni e gli argomenti che animano il mondo della politica, dei sindacati e delle aziende sull’argomento più delicato del momento: la riforma del lavoro.
L’opinione prevalente emersa dalle analisi e dagli interventi al festival è riassunta nelle parole della presidente del consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro, Marina Calderone: «La soluzione alla polemica sulla riforma del lavoro è semplicemente non chiamarla più così, perché non ne ha le caratteristiche né tecniche né di sostanza». Una “non legge” quindi approvata il 27 giugno definitivamente alla Camera.
Interessanti spunti di confronto sono emersi nel dibattito «Flessibilità è precarietà?», che doveva inizialmente prevedere la presenza di ben quattro ex ministri del lavoro (Tiziano Treu, Roberto Maroni, Cesare Damiano e Maurizio Sacconi). In realtà poi se ne sono presentati solo due, Treu e Sacconi, perché Damiano e Maroni hanno dato forfait: ma il parterre era comunque ben ricco e accanto a Marina Calderone c’erano Daniele Molgora, presidente leghista della provincia di Brescia, e il giornalista Alessandro Rimassa, autore del bestseller Generazione mille euro.
Al centro della discussione i punti di forza del disegno di legge per la riforma del lavoro ma anche le lacune che potrebbero contribuire a non fare di questa legge il fulcro di una decisiva svolta. Secondo il 62enne Sacconi, socialista "storico" prima di entrare nel PdL, non è vero che in Italia ci sono 46 tipologie contrattuali: «la logica della precarizzazione non esiste. In futuro si dovrà lasciare il posto al singolo rapporto di lavoro costituito in una contrattazione individuale e le persone dovranno solo preoccuparsi di essere occupabili attraverso una formazione aggiornata e completa». Ciò che immagina il diretto predecessore della Fornero è quindi un mercato all’insegna della deregolamentazione, quasi all’opposto degli intenti espressi dal ddl che, sempre secondo Sacconi, «punta ad una presunzione tendenziale di non corretta applicazione di ogni contratto che non sia a tempo indeterminato, stimolando un’intensa attività ispettiva; il contratto unico rischia di soffocare il mercato del lavoro».
Non la pensa così Tiziano Treu, classe 1939, alla guida del ministero del Lavoro tra il 1994 e il 1998 e padre del “pacchetto Treu”, la prima riforma del mercato del lavoro nel senso della flessibilità: «ci vuole flessibilità ma anche stabilità, il contratto unico significa avere un minimo di regole comuni su orari, sicurezza, ammortizzatori, formazione». Queste garanzie sembrano non essere state centrate dalla riforma presentata dal governo: secondo Calderone «il ddl si lascia coinvolgere in due compromessi, il primo riguarda gli ammortizzatori sociali e il pallido tentativo di estenderli ai cosiddetti precari. Il secondo grande compromesso tocca la flessibilità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro. Ragionando più sull’uscita, il dibattito si è spostato sull’annosa questione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, una questione che in Italia coinvolge una parte marginale del mondo del lavoro, costituita dalle imprese più grandi e meno numerose rispetto alla costellazione di micro aziende tipiche della nostra realtà economica». Tuttavia come ha sottolineato il Treu «il ddl è riuscito, per la prima volta dopo trent’anni, a mettere mano al grande tabù dei licenziamenti. Peccato che la norma ne sia uscita un pasticcio che va sicuramente migliorato nella sua formulazione».
Per quanto riguarda i giovani, tutti d’accordo con l’urgenza di fronteggiare le difficoltà d’accesso al mercato del lavoro. Ma non è facile trovare il procedimento migliore per rimettere in moto questo sistema. «Purtroppo i giovani vivono una situazione drammatica che è anche il frutto di un sistema formativo viziato dalle logiche scolastiche degli anni ’70 e oggi si ritrovano con lauree che non consentono di essere spendibili sul mercato del lavoro» sostiene Sacconi, che però sembra dimenticare che le riforme più incisive al mondo della scuola e dell’università portano la firma di due ministri, Moratti e Gelmini, che hanno governato con la sua stessa compagine politica. «La mia generazione ha il compito di riparare agli errori commessi, fornendo canne e non pesci ai più giovani; i ragazzi devono imparare a responsabilizzarsi», tuttavia resta da chiarire dove poter pescare.
La formazione è certamente un aspetto cruciale ma rischia di diventare la panacea alla disoccupazione giovanile se utilizzata per impegnare temporaneamente i più giovani, e se come suggerisce lo stesso Sacconi: «l’attesa tra un impiego e l’altro mortifica un adulto, mentre per un giovane costituisce un’occasione per perfezionare la sua formazione».
Per Treu una delle occasioni perse dal ddl consiste nel non aver affrontato la necessità di togliere il tappo che soprattutto blocca lo sviluppo economico e l’accesso dei giovani al mondo del lavoro: l’anzianità vista come un merito. «Mio figlio ha 33 anni e da 11 vive in California dove insegna astrofisica. I giovani sono innovatori per natura e le università devono essere le prime ad investire su di loro». Anche se, come aggiunge Sacconi, in Italia c’è anche il problema che gli uffici di placement degli atenei non riescono a funzionare al massimo delle loro potenzialità.
Per Alessandro Rimassa l’ostacolo più rilevante per i giovani sta nella mancanza di meritocrazia e trasparenza: «Se il lavoro della mia vita è sotto casa ma non c’è trasparenza io non lo saprò mai». Secondo Rimassa il lavoro deve tornare ad essere una fonte di realizzazione per i giovani, che non frustri le loro aspettative, ma sembra difficile conciliare i sogni nel cassetto con quanto la realtà offre. Come conferma Molgora, i lavori più richiesti sono quelli che nessun laureato si sogna di fare:«le aziende lombarde sono alla disperata ricerca di saldatori!» Come conciliare quindi? Il consiglio di Calderone ai giovani è di fare più lavori diversi per non restare inattivi in attesa del lavoro perfetto e correre il rischio di essere difficilmente ricollocabili.
Cosa succederà dopo la riforma? Come faranno le imprese a lavorare e a creare lavoro se gli si toglie credito? Sono questi i quesiti su cui si interrogano i consulenti del lavoro - consapevoli, nelle parole della presidente, che questa riforma non sarà che il primo step da cui ripartire per rinnovare a fondo il mercato del lavoro nel nostro paese.
Lorenza Margherita
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