Massimo Ottolenghi è un ex partigiano di 95 anni con lo spirito di un ventenne. Lo si percepisce dall’appello alle nuove generazioni lanciato nel suo libro Ribellarsi è giusto (Chiarelettere 2011, 12 euro), che ricorda molto il recente caso editoriale francese Indignatevi! del 93enne partigiano Stéphane Hessel, un opuscolo di una trentina di pagine che Oltralpe ha venduto ben 650mila copie. Ottolenghi, come Hessel, sfoga tutta la sua disapprovazione nei confronti della attuale situazione socio-politica del proprio Paese, chiamando i giovani a una rivolta per cambiare le cose. Un po’ come nella prima metà del secolo scorso fecero lui e i ragazzi della sua epoca con la Resistenza, quando Ottolenghi [nella foto in basso], ebreo di origini torinesi, fu prima militante nel Partito d’Azione e poi magistrato e avvocato civilista. «Noi non ce l’abbiamo fatta» è l’ammissione dell’autore «adesso tocca a voi». Tocca insomma ai giovani di oggi, quelli che possono organizzarsi tramite Internet come dimostrano le rivolte nei Paesi arabi, prendere in mano le redini della situazione e agire per epurare le colpe dei padri. Ottolenghi infatti non solo vuole incoraggiare alla ribellione, ma fa anche un inconsueto mea culpa riconoscendo gli errori delle generazioni precedenti che «non hanno saputo scindere fino in fondo il bene dal male» e «preparare la generazione» successiva. Suggerisce quindi ai lettori di inventare il futuro a propria immagine, «non secondo quella dei padri che sono incapaci di andare oltre questo fango». E di farlo senza andare dietro un simbolo o una bandiera: basta ispirarsi alla troppo spesso dimenticata Costituzione del 1948, frutto proprio delle lotte iniziate con la generazione di Ottolenghi.
Come ebreo ed ex resistente, lui ne sa qualcosa di cosa significhi vivere sotto una dittatura: nel libro si succedono i ricordi delle umiliazioni subite a seguito dell’emanazione delle leggi razziali sotto il regime fascista. Per questo, per evitare una nuova Shoah - stavolta dei diritti - reputa sia necessario creare una «frattura», una discontinuità con il passato attraverso l'epurazione del presente. Secondo l’autore si tratta di un passo «irrinunciabile per una rilegittimazione storico-politica e morale». Il rischio è altrimenti quello di andare incontro a una deriva antidemocratica.
Ottolenghi si scaglia anche contro i tagli alla scuola pubblica, causa di un lento logorio che sta distruggendo il nostro sistema culturale, e che per l'ex magistrato sono l'odiosa conseguenza dell'esercizio del potere, favorito invece dall’ignoranza. Mentre l'istruzione e la capacità di giudicare rappresentano un pericolo per chi è al comando.
E un altro ostacolo da combattere è la cultura dell’illegalità, estesa ovunque nel nostro Paese, e che ormai «non fa più notizia», dice Ottolenghi. Per questo va sostenuta la bistrattata magistratura e il capo dello Stato, unici baluardi contro l’inosservanza delle leggi.
Insomma, l’appello di questo quasi centenario è netto e vigoroso: mai rassegnarsi e mai essere indifferenti. L’indignazione deve farci essere «partigiani» e procedere verso un nuovo risorgimento e una nuova liberazione. I giovani di una volta l’hanno già fatto. Se lo dice un uomo che ha vissuto da protagonista i principali eventi storici che ci hanno portato ai nostri giorni, c’è da credergli.
Ilaria Mariotti
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