I tempi sono sempre più magri, e allora si ricomincia a parlare di reddito minimo garantito. Sono diverse le associazioni, da San Precario a Libera a Sbilanciamoci, che da tempo si battono per l'introduzione di questa misura, certe che la politica possa trovare le risorse per finanziarlo riordinando l'indice delle priorità del Paese. Sull'argomento occorre «riportare l’attenzione ed esporre la preoccupazione sulla sua scomparsa dall’agenda politica italiana, dopo essere stato quasi egemone nel corso della campagna elettorale scorsa» sostengono gli esponenti di Bin (Basic Income Network).
L'Italia in effetti è un dei pochissimi Paesi in Europa, insieme a Grecia e Bulgaria, privo di una misura di reddito minimo. Nonostante le proposte di legge esistano: ricordano da Bin che «in Parlamento ne giacciono tre oltre a quella di iniziativa popolare 'per l'istituzione di un reddito minimo garantito' che ha avuto l'adesione di 50mila cittadini e 170 associazioni». Eppure, a oggi, i testi «non sono stati né calendarizzati né discussi in una qualche commissione». La Regione Lazio è stata pioniera in questo senso con l'approvazione della legge 4/2009 per un sussidio in beneficio delle fasce in difficoltà. «Che però, salutata come momento di avanzamento e di innovazione nelle politiche sociali di questo Paese, è stata poi definanziata dalla giunta Polverini, malgrado le migliaia di richieste di sostegno avanzate nel primo e unico anno di sperimentazione» denunciano da Bin.
La proposta del Movimento Cinque Stelle in materia - cavallo di battaglia del programma elettorale dei grillini - è confluita in un disegno di legge che prevede l'istituzione di un reddito di cittadinanza allargato praticamente a tutti i cittadini maggiorenni, titolari di almeno un diploma di scuola superiore e al di sotto della soglia di povertà. Che viene quantificata in 7200 euro annuali per chi percepisce meno di 600 euro annuali, per salire via via con gli importi (considerando ad esempio in una condizione di insufficienza di risorse una coppia che dispone di 1000 euro al mese, o una famiglia di tre membri con 1300 euro). Piccolo problema però: secondi i calcoli degli economisti Tito Boeri e Paola Monti, garantire un sussidio così strutturato costerebbe alle casse dello Stato almeno 17 miliardi di euro, con dodici milioni di famiglie beneficiarie, più del doppio rispetto allo stanziamento richiesto dai promotori del Reis (7 miliardi), altro possibile provvedimento di contrasto alla povertà.
«Le risorse ci sono, noi le abbiamo individuate, l'importante è discutere la legge» ha però ribadito Nunzia Catalfo, senatrice M5S, l'altroieri a Roma in occasione dibattito 'Che fine ha fatto il reddito minimo garantito?'. Il nodo si ridurebbe alla registrazione in un qualsiasi ordine del giorno: dopodiché «tutti i gruppi parlamentari devono impegnarsi a votare gli emendamenti altrimenti stiamo perdendo tempo».
Anche Pippo Civati, della minoranza del Pd, che ha fatto del reddito minimo garantito il punto di forza nella sua corsa alle primarie, relativizza il problema delle risorse. «Gli 80 euro di Renzi valgono 9,6 miliardi» sottolinea; è evidente dunque che si tratta di «una scelta politica» perché basterebbe rimodulare i criteri di attribuzione del sussidio. Civati sostiene invece che «questo governo prova fastidio verso questo tema» e che nella legge di stabilità sono altre le categorie che si cerca di tutelare: «chi già lavora e i lavoratori autonomi storici come i commercianti», senza nessun occhio di riguardo per le moderne fasce di bisognosi, i «nuovi poveri e nuovi professionisti» tra cui le partite iva. La riprova è che Matteo Renzi «è il più grande nemico delle misure anti povertà, lo è da sempre, gli 80 euro sono un manifesto contro», spiega, perché vanno a favore dei ceti medi e non dei più poveri. «L'unica che potrebbe occuparsene è il ministro Madia» facendo parte dell'esecutivo ed essendone sostenitrice.
Che il grosso ostacolo sia invece rappresentato dai fondi lo ribadisce Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio. Allo stato «stiamo discutendo del taglio dei 4 miliardi alle regioni, che non si coprono eliminando le auto blu e altri sprechi: il totale vale solo 200 milioni, lo abbiamo già calcolato». Altro che spending review dunque: la scure si abbatterà su «asili nido, ospedali, comuni». Surreale in queste condizioni mettere sul tavolo la questione reddito minimo. Con tutto che da Act arriva un'idea per il finanziamento: «Colpire con un'aliquota minima, dello 0,5 per cento, il centile più alto della ricchezza del Paese, ripensando un welfare ancora tutto incentrato sulla previdenza».
Certo, rilancia Maria Pia Pizzolante di Tilt, passi avanti ne sono stati fatti: «Si è tolto un velo sul dibattito, non lo si considera più utopia come anni fa». Nel frattempo la situazione del Paese è degenerata, la spirale della povertà si è allargata inglobando - secondo gli ultimi dati Istat - sei milioni di individui, circa il 10 per cento della popolazione. La disoccupazione è cresciuta, specie giovanile, «la precarietà è divenuta ormai normalità e si è generalizzata oltre il mondo del lavoro, senza considerare gli working poor o i milioni di 'scoraggiati', tutte e tutti senza alcuno strumento di sostegno del reddito» rincarano la dose da Bin. Il reddito minimo garantito potrebbe funzionare allora come strumento di democrazia, che «ricompatti la società», ipotizza Arturo Salerno di Progetto Diritti, «facendo crescere le opportunità per tutti, stimolando a non accettare lavori sottopagati, superando le dinamiche perverse dell'economia». Non è forse questo, si chiede, «l'obiettivo della politica?».
Ilaria Mariotti
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