Scritto il 18 Mar 2022 in Notizie
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C’è una ricerca in atto a livello europeo per indagare il tema dei giovani che fanno esperienze di tirocinio nei paesi membri; l’obiettivo è quello di trovare soluzioni che assicurino che i giovani in tutti i paesi dell’Ue possano avere accesso a esperienze di tirocinio positive, e capire se e quanto siano necessarie nuove iniziative politiche per aumentare la qualità di questi tirocini.
A esattamente dieci anni dalla “Overview on Traineeship” promossa proprio nel 2012 dalla Direzione generale Employment, Social Affairs and Inclusion della Commissione UE (il titolo completo del lavoro era “Study on a comprehensive overview on traineeship arrangements in member states”), la Commissione ha dato mandato a un’agenzia indipendente con sede a Bruxelles, Ecorys, di realizzare una ricerca sullo stesso tema. L'indagine si svolge attraverso un questionario online, che è possibile compilare fino al 25 marzo in maniera rigorosamente anonima, anche in italiano (e in altre 22 lingue).
Il titolo stavolta è “Study Supporting The Evaluation Of The Quality Framework For Traineeships”, in italiano “Studio a sostegno della valutazione del quadro di qualità per i tirocini”. «Le opinioni espresse in questo sondaggio saranno analizzate nell'ambito di una valutazione che la Commissione europea sta effettuando» spiegano i ricercatori nel testo iniziale, rivolgendosi direttamente ai potenziali partecipanti: «Questa è l'occasione per condividere la tua esperienza e le tue opinioni sui tirocini nel tuo paese e per avere voce in capitolo sulle future misure politiche in questo settore».
Le “screening questions” iniziali permettono di specificare se la persona che compila il questionario ha mai fatto o no un tirocinio, o se proprio in questo momento ne sta facendo uno. In caso abbia una esperienza personale (singola o plurima!) di tirocini, viene chiesto di specificare per esempio se essi fossero una parte obbligatoria degli studi (il cosiddetto tirocinio “curricolare”, anche se la ricerca non usa questo termine), o addirittura come passaggio obbligato per esercitare una professione (es. medicina, architettura, giurisprudenza): qui si fa riferimento – sempre implicitamente – a quelli che in Italia si chiamano tecnicamente i “tirocini per l’accesso alle professioni regolamentate”, altrimenti detti “praticantati”. Il questionario chiede anche di indicare il Paese dove è stato svolto il tirocinio più recente, perché naturalmente è possibile anche fare tirocini all’estero.
Le domande di carattere demografico sono standard (da notare che, rispetto al genere, il questionario molto rispettosamente prevede anche l’opzione “altro” accanto a maschio e femmina, e dà anche la possibilità di non rispondere). Per l’età si può indicare quella precisa se si è nella fascia 15-39 anni; altrimenti si dovrà selezionare l’opzione “inferiore a 15” oppure “oltre 40”.
Rispetto all’indagine vera e propria, viene chiesto ai partecipanti di focalizzare esclusivamente i tirocini extracurricolari: di nuovo, la parola non viene usata esplicitamente, ma nella sezione “Domande per i tirocinanti” viene specificato subito che si fa riferimento “a uno o più tirocini che NON erano una parte obbligatoria degli studi/programmi di studio né un requisito necessario per accedere a una professione specifica (ad esempio medicina, architettura, ecc.)”. Quindi tirocini curricolari e praticantati vengono esclusi dalla ricerca; anche se poi, con poca coerenza forse, la primissima domanda relativa al numero di tirocini svolti prevede due campi: per compilare il primo bisogna indicare il numero di stage svolti “durante l'attività scolastica, la formazione professionale o gli studi” (cioè proprio quelli che due righe sopra erano stati esclusi dall’indagine…).
L’indagine poi prosegue chiedendo dettagli sull’ultimo tirocinio effettuato. Questa è una debolezza dell’intera ricerca, forse inevitabile, ma che permette di rendere conto solamente dell’ultima esperienza di stage: per chi ne ha fatte diverse, vuol dire automaticamente escludere tutte le altre dalla rilevazione. La formulazione impedisce peraltro anche di capire se vi sia un “tracciato” standard, per esempio un progressivo miglioramento delle condizioni di tirocinio in caso se ne sia fatto più d’uno, che potrebbe voler dire una progressiva presa di coscienza della persona, una ricerca di condizioni via via migliori.
Tornando al questionario: viene chiesto di specificare lo status che il partecipante aveva quando lo ha fatto (se studente, disoccupato…), e poi il “livello di istruzione” al quale la persona era “iscritta” (in caso fosse studente al momento del tirocinio) oppure il più alto grado di istruzione fino a quel momento conseguito. Si prosegue indicando il settore in cui questo tirocinio è stato svolto (Commercio, ristorazione, informazione e comunicazione, attività finanziarie…) e se il tirocinio è stato “erogato” da un ente pubblico o da un’azienda privata (qui si sarebbe potuto fare uno sforzo in più con la lingua: va inteso come “tipologia del soggetto ospitante”).
La sezione successiva chiede come la persona abbia trovato il suo tirocinio (passaparola, annunci, social media, fiere del lavoro, centri per l’impiego…); attenzione perché stranamente non c’è l’opzione classica della “università-istituzione formativa”, quindi in questo caso bisognerà trovare la risposta più vicina e coerente.
C’è poi una domanda che vuole indagare la “trasparenza” degli annunci di stage, e chiede di elencare gli elementi che erano “chiaramente menzionati nell'avviso di posto vacante che pubblicizza il tirocinio”: qui è possibile selezionare più di una risposta, tra cui compaiono anche l’importo dell'indennità e la percentuale di tirocinanti assunti dall'organizzazione negli ultimi anni (ah! Good luck with that, almeno coi tirocinanti italiani… a meno che non abbiano trovato il loro tirocinio qui sulla pagina Annunci della Repubblica degli Stagisti, naturalmente, che fa della trasparenza su questi punti la sua bandiera!). Viene chiesto poi qualche dettaglio sul contratto di tirocinio, che in italiano si compone della “convenzione” e del “progetto formativo individuale”.
La sezione che indaga gli obiettivi di apprendimento e di formazione chiede di dichiararsi in accordo o disaccordo con una serie di affermazioni tipo “Le mie mansioni mi hanno aiutato a raggiungere i miei obiettivi di apprendimento e formazione” oppure “Avevo un supervisore, che ha monitorato e valutato i miei progressi”: si può considerare l’utilizzo della parola “supervisore” come sinonimo di quello che in italiano, nel linguaggio tecnico dei tirocini, si chiama “tutor”.
C’è poi il capitolo “Condizioni di lavoro”, che inquadra il tema dell’indennità e, se chi sta rispondendo indica di averla ricevuta, chiede di indicarne anche il valore (medio) mensile in euro, escludendo però eventuali “altre prestazioni”. Tali “prestazioni”, che possono essere indicate più avanti nella pagina, sono gli eventuali sostegni “in natura” ricevuti (bizzarro modo per indicare i “buoni pasto o cibo meno costoso presso la mensa aziendale”), le spese di viaggio o di alloggio rimborsate, opportunità di formazione e così via. Tra le opzioni ci sono anche le “ferie retribuite”: probabilmente qui, dato che lo stage non prevede mai una “retribuzione”, bisogna semplicemente intendere la domanda come: se il periodo di stage ha attraversato un periodo di “ferie”, es. periodo di Natale o estate, in cui tutti i dipendenti sono rimasti a casa, in quanto stagista la persona ha avuto diritto all’indennità piena, oppure decurtata per i giorni in cui non è stata presente?
Discorso a parte per la domanda sull’avere “accumulato diritti pensionistici”. Non solo in Italia, ma in tutto il mondo i periodi di tirocinio non prevedono versamenti previdenziali: probabilmente qui il sondaggio vuole solo conferma di ciò.
Per quanto riguarda la certificazione delle competenze, il questionario chiede se al termine del tirocinio la persona ha ricevuto (o riceverà, nel caso il percorso sia attualmente in corso) “un certificato o una lettera di referenze comprovante le conoscenze, le abilità e le competenze acquisite durante il tirocinio”.
Nella sezione “Tirocini Transfrontalieri” viene indagato il motivo per il quale si è deciso di fare (o non fare) un’esperienza all’estero: in particolare, in caso la persona che compila il questionario non abbia mai fatto un tirocinio al di fuori dell’Italia, viene chiesto di specificare se non era interessata, o informata sulle opportunità all'estero; oppure se l’elemento di blocco è stata una scarsa padronanza delle lingue straniere, oppure la mancanza di risorse finanziarie per pagarsi il viaggio e la permanenza in un altro Paese.
Per le domande conclusive, infine, con la modalità del dichiararsi in accordo o disaccordo con una serie di affermazioni si può dire se a proprio avviso il tirocinio abbia “reso più facile il passaggio dalla scuola al lavoro”, o se sia o non sia stato “utile per trovare un lavoro regolare”.
Inoltre il questionario indaga l’efficacia del tirocinio dal punto di vista occupazionale, chiedendo se sia o non sia arrivata un’offerta di lavoro, e se sì, a quale distanza temporale dalla fine dell’esperienza formativa. In caso si risponda di sì, il questionario approfondisce chiedendo se questa offerta sia arrivata dallo stesso datore di lavoro presso cui è avvenuto il tirocinio, presso un datore di lavoro con cui si sono avuti “contatti durante il tirocinio (ad esempio, un partner commerciale, un fornitore, un cliente dell'organizzazione erogatrice del tirocinio)”, oppure un datore di lavoro “non collegato al tirocinio”.
Tra le domande di questa sezione ce n’è anche una a risposta libera: “Cosa si potrebbe fare per migliorare i tirocini nel tuo paese o nel paese in cui hai svolto il tirocinio?”.
Al termine del questionario, un breve testo informa che “la Commissione europea avvierà presto un'altra consultazione pubblica nell'ambito della stessa valutazione”. Segno che la qualità dei tirocini è un argomento che le istituzioni europee hanno deciso, a ragione, di inserire tra i loro obiettivi prioritari.
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