Scritto il 31 Mag 2023 in Notizie
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Oggi in Italia ci sono cinque milioni e 800mila giovani tra i 15 e i 24 anni, più un milione e 200mila giovani adulti tra i 25 e la soglia dei trent'anni. Il numero assoluto nel nostro Paese è in costante contrazione: secondo gli ultimi dati Istat i nuovi nati nel 2022 sono stati meno di 393mila, mentre 15 anni fa, nel 2008, erano stati 576mila.
I giovani nell'Italia di oggi dunque sono sempre meno, e sopratutto contano sempre meno: la loro voce è sempre meno ascoltata. Come si può invertire la rotta?
A parlarne con Eleonora Voltolina, in questo episodio del podcast della Repubblica degli Stagisti registrato live all'università Cattolica di Milano, c'è Alessandro Rosina, docente di Demografia e coordinatore scientifico dell'Osservatorio Giovani dell'Istituto Toniolo, che ormai da oltre un decennio redige il Rapporto Giovani – a oggi la più estesa ricerca italiana sulla condizione giovanile. Rosina è anche autore, con Elisabetta Ambrosi, del libro Non è un paese per giovani con sottotitolo: “L’anomalia italiana: una generazione senza voce”.
«C'è una discrasia tra i giovani e il mercato del lavoro» dice Rosina: e, più nel complesso, «tra nuove generazioni e sistema Paese». Per questo l'Italia «ha visto incepparsi quei meccanismi che consentono di produrre benessere attraverso le novità che le nuove generazioni portano». Ma se non viene fatto spazio ai giovani, se non si abbraccia l'innovazione che essi portano, si va inevitabilmente verso un «progressivo declino». La brutta notizia è che le generazioni dei giovani di oggi si trovano ad affrontare gli stessi identici problemi di quelle di 15 anni fa: e le grandi recessioni degli ultimi anni hanno «ulteriormente accentuato» le iniquità.
Ma come si fa a farsi sentire come generazione, a lasciare la propria impronta?
«La generazione Z è più pragmatica: vive in un contesto in cui ci sono condizioni di incertezza che riguardano il proprio presente e la propria condizione anche collettiva, e quindi c'è una voglia di protagonismo e di farsi sentire assieme agli altri» riflette Rosina. I giovani di oggi hanno finalmente acquisito quella consapevolezza «che non si può cambiare da soli» che ai loro fratelli maggiori – i Millennials – mancava.
«Hanno voglia di sperimentarsi come soggetti attivi che producono cambiamento, e di inserire la propria visione della realtà, del mondo e del futuro in questo cambiamento. E stanno cercando modalità per poterlo realizzare»: ecco perché scendono in piazza anche in maniera tradizionale, oltre a portare avanti forme di protesta sui social.
Ambiente e diritti per i giovani di oggi sono temi importanti, che «questa generazione sente in maniera molto forte e che pone nel dibattito pubblico». Anche se per «trasformare il Paese» in modo che «fornisca reali opportunità», secondo Rosina bisognerebbe che i giovani si occupassero anche di altri temi, più complessi e forse meno attraenti, come la dispersione scolastica ancora troppo elevata, la cinghia di trasmissione tra scuola e lavoro, l'inefficienza dei centri per l'impiego, i Neet, il degiovanimento e gli squilibri demografici: «Tutti questi temi non sono ben conosciuti né affrontati dai giovani: questo rischia di essere una fragilità» e può portare «a una scarsa capacità poi di incidere veramente».
«Anche se si riuscisse a incidere su temi importantissimi come quelli dell'ambiente e dei diritti», ribadisce il professore, è anche fondamentale «la questione dei diritti sociali, delle opportunità, e della possibilità di consentire alle nuove generazioni di diventare soggetti che producono benessere nel territorio in cui vivono» anziché restare «relegate ai margini».
I giovani che vivono nell'Italia di oggi sono comunque resilienti: «Nonostante le difficoltà, c'è sempre forte – e non è minore rispetto ai coetanei degli altri Paesi – un'energia positiva: cioè la voglia di esercitare un proprio protagonismo positivo».
Rosina è anche uno dei massimi esperti italiani del fenomeno dei Neet, di cui l'Italia ha il triste primato: complessivamente più di tre milioni, con un tasso pari al 25,1%. In Italia cioè un giovane su quattro non lavora, non studia e non è inserita/o in percorsi di formazione. Peggio dell'Italia, in Europa, fanno solo Turchia (33,6%), Montenegro (28,6%) e Macedonia (27,6%).
Va sottolineato peraltro che mentre nel contesto europeo la categoria Neet comprende le persone tra i 15 e i 24 anni non inserite in percorsi di formazione o di lavoro, in Italia invece, a causa della fragilità del mercato del lavoro nazionale, la fascia d’età si estende fino ai 29 e talvolta addirittura i 34 anni. I Neet sono secondo Rosina una cartina di tornasole di quanto un Paese non sia in grado di valorizzare i propri giovani, e in Italia «è un vero e proprio paradosso: abbiamo meno giovani, e li sprechiamo di più».
In chiusura di puntata, Alessandro Rosina risponde alle domande e sollecitazioni del pubblico: in particolare di Mel, giovane studentessa e militante dell'associazione non profit Culturit indecisa se restare in Italia o andare all'estero, e di Sara, allieva della scuola di giornalismo dell'università Cattolica che lo interroga sulla dicotomia tra le metropoli – che ancora molto spesso attirano i giovani – e le realtà locali.
E per sapere qual è il libro del cuore scelto da Alessandro Rosina come consiglio di lettura, e tutto il resto della conversazione, non resta che ascoltare l'episodio!
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