Marianna Lepore
Scritto il 23 Mar 2021 in Notizie
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I giovani laureati in Giurisprudenza che fanno il praticantato per diventare avvocati devono ricevere una indennità mensile? Da qualche anno sì: è un loro diritto. Tranne in un caso: se svolgono il praticantato presso enti che per qualche motivo sono esonerati dal rispettare questa regola. Eh sì, perché mentre gli studi legali privati sono obbligati a rispettare questo principio (anche se ci sono, in effetti, modi per evitarlo... ma non divaghiamo) c'è chi è dispensato dal farlo. Nello specifico, l'Avvocatura dello Stato. Che quindi può ospitare praticanti senza doverli pagare.
Già è triste che non ci sia un obbligo nel pagare i praticanti. Ancor più triste è la vicenda delle indennità mancate. Perché a un certo punto, sei anni fa, qualcuno si era accorto che non pagare i praticanti dell'Avvocatura era ingiusto, e aveva trovato un modo per destinare loro dei soldi. Atti, controatti, regolamenti: ma in sei anni nessuno è stato in grado di passare dalle parole ai fatti. Tanta attesa, e nemmeno un euro nelle tasche dei circa mille giovani che avrebbero avuto diritto a ricevere questa indennità.
Proprio ieri un drappello di ex praticanti sarebbe dovuto scendere in piazza a Roma, sotto il ministero della Giustizia, a manifestare contro questa vergogna. Poi, causa contagi Covid tra i gruppi di partecipanti, l'evento è stato annullato. Ma l'iniziativa è stata assorbita in un'assemblea pubblica online, già prevista, che è ancora possibile visionare sulla pagina facebook del Coordinamento giovani giuristi italiani.
E a inizio mese un parlamentare, il senatore Nencini, ha depositato un’interrogazione al governo Draghi in cui chiede conto dei 4 milioni di euro di soldi pubblici stanziati a suo tempo per pagare questi giovani, oggi ancora fermi, ed evidenzia come sia «assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale vi sia una tale mancanza».
Ricapitoliamo la vicenda: da molti anni i giovani possono svolgere il praticantato – gratuitamente – presso l’Avvocatura dello Stato, per un minimo di 20 ore settimanali, rispondendo a un bando di selezione che solitamente richiede una laurea con voto non inferiore a 105-106, votazioni alte a determinati esami, e un’età tra i 24 e i 27 anni. A partire dal 2013 con il decreto 69 il percorso viene legittimato ai fini dell’accesso al concorso in magistratura. «Questa possibilità ha attirato un maggiore interesse per il tirocinio presso l’avvocatura dello Stato, perché oltre alla pratica forense qualificata avrebbe dato questa possibilità in più», spiega alla Repubblica degli Stagisti Giovanni Antonino Cannetti, presidente del Coordinamento giovani giuristi italiani, associazione nata dall’incontro tra paraticanti ed ex praticanti delle Avvocature dello Stato.
L’anno seguente la legge di conversione 114/2014 istituisce anche apposite borse di studio per i praticanti presso l’Avvocatura. E lo fa in un modo particolare. Stabilisce, infatti, che in ipotesi di sentenze favorevoli per le amministrazioni difese dall’Avvocatura, il venticinque per cento del recupero delle spese legali a carico delle controparti venga destinato alle borse di studio per la pratica forense. In poche parole «si accantonava un quarto della somma che fa parte della retribuzione accessoria del personale togato e la si faceva defluire in una sorta di fondo che serviva a finanziare le borse di studio», spiega Cannetti.
C’è un problema, però: la legge 114 prevedeva anche che spettasse all’Avvocatura stabilire attraverso un suo regolamento interno le modalità, i tempi e l’erogazione delle borse. Eppure in sette anni non c’è traccia dei criteri per l’attribuzione di queste indennità mensili. Tutto questo nonostante le ripetute istanze presentate dai praticanti delle Avvocature in tutta Italia. Il motivo è facilmente intuibile: il personale togato non vuole affatto rinunciare a quella, seppur piccola, parte della sua retribuzione a favore dei praticanti. E dunque ha bloccato tutto con la tecnica dell' “ostruzionismo”, rallentando fino a paralizzare ogni passaggio e contemporaneamente agendo le vie legali per contestare il provvedimento.
Ad oggi nessuno dei praticanti che si sono susseguiti dal 2015 in poi ha mai visto un emolumento. «Abbiamo fatto varie istanze di sollecito: la prima nel 2016 come Coordinamento giovani giuristi italiani al segretario generale dell’Avvocatura dello Stato» spiega Cannetti «facendo presente che la norma prevedeva dal primo gennaio 2015 l’accantonamento e l’erogazione e chiedendo spiegazioni». Il 22 dicembre 2016 l’Avvocatura generale dello Stato risponde formalmente spiegando che «era necessario aprire un capitolo di spesa presso il Ministero dell’economia e delle finanze», spiega Cannetti, per la richiesta di riassegnazione delle somme ai nuovi capitoli di spesa. L’Avvocatura spiega anche che precedentemente sarà necessario fare una verifica contabile delle somme riscosse. Solo a quel punto si potrà determinare a quanto ammonta quel venticinque per cento «dedicato al finanziamento delle borse di studio» e si potranno assegnare grazie alla «definizione di una disciplina specifica» all’epoca ancora in corso.
Sono passati altri due anni per avere una risposta a una nuova istanza dei praticanti dell’Avvocatura che chiedevano i tempi di attivazione della procedura di valutazione comparativa per l’erogazione delle borse di studio. Poi il capitolo di spesa è stato approvato: nero su bianco ci sono le quote da destinare a borse di studio per la pratica forense presso l’avvocatura dello Stato, pari per l’anno 2018 a più di 2 milioni 180mila euro – da distribuire per la pratica a partire dal 2015 – e per le seguenti due annualità, 2019 e 2020, un milione di euro ciascuno. Per un totale di stanziamento già disposto con la legge del 2014 di oltre 4 milioni 180mila euro.
Il 3 novembre 2018 l’Avvocatura scrive di aver iniziato «l’esame della questione dell’applicazione temporale della norma, nonché dei criteri di accesso alle borse di studio per lo svolgimento della pratica forense che dovessero istituirsi», e fa capire che non c’è alcun termine se non ipotetico entro cui debba provvedere a farlo. «I soldi sono stati accantonati, lo stanziamento è stato previsto fino al 2020 ma l’Avvocatura non ha mai emesso questo regolamento» precisa Cannetti. Per cui non si sa nemmeno alla fine a quanto dovrebbe ammontare questa borsa: se si fosse applicato un criterio simile a quello dei tirocinanti negli uffici giudiziari non sarebbe stato, come prevede la norma, più di 400 euro al mese per 18 mesi per un totale massimo di 7.200 euro a praticante. Ma questo con un criterio ripartito in base all’Isee, altrimenti se la distribuzione fosse stata più ampia, la somma sarebbe stata più bassa. Solo ipotesi, però, non essendo mai stato pubblicato un regolamento sul tema.
Non solo, a un certo punto si aggiunge la beffa al danno: a fine 2017, con l’approvazione della nuova legge di bilancio, qualcuno decide di tagliare la disposizione che prevedeva l’accantonamento del venticinque per cento della retribuzione accessoria per le borse di studio che, quindi, «dal primo gennaio 2018 cadono, visto che la norma che le regola non c’è più». Quel venticinque per cento torna a far parte della remunerazione accessoria dell’avvocatura, con il personale togato «che era arrivato a portare il contenzioso in sede Tar, arrivando alla Corte costituzionale, per riavere quella cifra».
Ora se da una parte può essere comprensibile che una categoria di lavoratori si mobiliti contro un taglio improvviso del proprio stipendio, è bene precisare che il personale togato non aveva visto tagli sulle mensilità fisse. Aveva subito – in teoria – una riduzione del venticinque per cento della retribuzione accessoria, quindi di quel guadagno aggiuntivo variabile che dipende dalle cause vinte.
Ma, ecco, bisogna anche dire che il personale togato dell'Avvocatura è tutto tranne che mal pagato: anzi, l'importo annuo lordo è – o almeno, era una decina di anni fa – di 160mila euro all'anno di media. E dunque quei soldi destinati ai praticanti non avrebbero fatto una differenza così grande nella retribuzione complessiva dei 300 avvocati e 70 procuratori dello Stato.
C’è poi un’altra precisazione da fare: la norma di fine 2017 non è retroattiva, per cui se anche dal 2018 l’Avvocatura fosse stata legittimata a non pagare i suoi praticanti, restano i tre anni precedenti per cui c’era una norma in vigore che prevedeva un pagamento e che non è stata rispettata.
Per tre anni una legge dello Stato ha stabilito che questi praticanti andassero pagati, lasciando a un organo del nostro ordinamento giuridico il compito di decidere le modalità per distribuire questi rimborsi. In tre anni l’Avvocatura non è stata in grado di produrre questo regolamento e nel frattempo è arrivata una nuova legge che ha soppresso il pagamento (ma non retroattivamente). Eppure passati altri tre anni – in totale sei dall’inizio della storia – non si è ancora stati in grado di produrre un testo per distribuire queste somme – dovute – che sono già a bilancio. «Hanno un preciso vincolo di spesa», eppure sono ancora ferme lì, inutilizzate. Del regolamento non c’è traccia e una delle ultime richieste di accesso agli atti è stata respinta perché «materia potenzialmente oggetto di contenzioso». Il Coordinamento ha fatto anche un esposto alla procura della Corte dei Conti competente per il Lazio, ma non ha avuto risposta.
Nel frattempo, oggi, chi sceglie la strada del praticantato presso l’Avvocatura dello Stato non percepisce alcun rimborso spese visto che non c’è una norma che obblighi a farlo. Anche perché, spiega Cannetti, «questo praticantato si muove anche in deroga rispetto alle previsioni e agli obblighi della legge forense. Quindi se negli studi privati dopo sei mesi è possibile pattuire un emolumento dell’attività del praticante, per l’avvocatura dello Stato non è così».
Oggi i praticanti tra il 2015 e il 2017 sono abilitati, «alcuni addirittura lavorano come procuratori presso l’Avvocatura». Quelle risorse a loro destinate non sono state ancora distribuite. «Fino al 31 dicembre 2017 c’è anche una violazione della norma applicabile pro tempore. E poi ci sono dei soldi stanziati fino al 2020 per questo scopo, e visto che sono stanziati al di là della previsione e della norma, nulla vieta di destinarli per ciò per cui erano fin dall’inizio destinati. Basterebbe un passaggio formale coordinandosi con gli uffici del Mef e con la presidenza del Consiglio» spiega Cannetti, «se lo volessero non avrebbero difficoltà a erogare le borse fino alla fine dello scorso anno». Eppure, continua, «Qui ancora parliamo del regolamento che disciplina come distribuirle».
Sui ritardi nella formalizzazione del regolamento e nella distribuzione delle borse punta, come detto, anche l’interrogazione del senatore Nencini, che sottolinea il contributo decisivo per il funzionamento della difesa erariale svolto da questi praticanti che hanno dovuto anche sostenere notevoli spese e «chiede di sapere se non si ritenga doveroso intervenire per sollecitare l’assegnazione delle borse di studio», visto che è «assolutamente inconcepibile che proprio da parte dell’Avvocatura statale e distrettuale vi sia una tale mancanza».
Questi giovani non hanno intrapreso vie legali per veder tutelati i propri diritti, nonostante gli estremi per agire in giudizio fossero presenti. «Abbiamo un bel ricordo del nostro praticantato, un’attività che abbiamo svolto con rispetto e non c’è volontà da parte nostra di porre in essere un contenzioso che abbiamo cercato in tutti i modi di risolvere». Per questo hanno cercato di ottenere risposte, senza risultato. La misura, però, ormai è colma. «Il 2021 per noi sarà l’ultimo anno di attesa delle risposte, prima di decidere di intraprendere anche un contenzioso».
Marianna Lepore
Foto di apertura: di Sergio D'Afflitto da Wikipedia in modalità Creative Commons
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