Se il ministro dice che é più probabile trovare lavoro giocando a calcetto che mandando cv

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 29 Mar 2017 in Editoriali

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In effetti, Giuliano Poletti non ha detto proprio questo. La sua frase originale aveva una sfumatura un po' diversa; sottolineava il fatto che le opportunità di lavoro spesso nascono da rapporti di fiducia, e che è più facile costruire questo rapporti in occasioni informali (la metafora del calcetto) piuttosto che formali (inviando un cv).

Dunque il ministro ha detto una cosa sostanzialmente vera, sopratutto in un mercato del lavoro imperfetto e opaco come quello italiano: che il networking conta moltissimo, a volte addirittura più delle competenze. Un dato di fatto, suffragato da dati e ricerche che dimostrano che nella maggior parte dei casi le posizioni di lavoro vacanti vengono occupate grazie al passaparola, alle conoscenze, alle segnalazioni, e non mettendo un bell'annuncio e valutando in cv in maniera imparziale (ed efficiente).

Dunque tutto ok? Ha fatto bene Poletti a dire quello che ha detto? No. Non ha fatto bene per niente – per almeno tre ragioni. Per il suo ruolo. Per la platea che aveva di fronte. E per la responsabilità politica.

stage lavoro ministro polettiIl suo ruolo è quello di ministro del Lavoro. Lui al momento rappresenta, in Italia, la persona che più di tutte ha competenze e poteri in tema di occupazione. Non é un semplice cittadino: è il ministro della Repubblica incaricato dal presidente del Consiglio di occuparsi di questo tema. Se queste stesse parole fossero state pronunciate da un manager, magari in forma di consiglio ai ragazzi, per suggerire loro di non sottovalutare i contesti informali nella loro azione di ricerca di lavoro, non ci sarebbe stato nessun problema. Ma un ministro è un ministro. Deve essere continente. Deve misurare le parole col bilancino, stando attento al fatto che quel che dice assume inevitabilmente una valenza politica. Con quelle parole - effettivamente poste come un dato di fatto, senza una nota di biasimo o rammarico - è come se lui avesse posizionato il suo ministero, avesse avallato questo stato di cose. Non è opportuno che l'abbia fatto, perché appunto è il ministro del Lavoro.

Secondo, perché si rivolgeva per giunta a giovanissimi. La frase é stata pronunciata a Bologna, durante un incontro con gli studenti di un istituto tecnico a cui il ministro era andato a parlare di alternanza scuola - lavoro. Un contesto delicato, una platea delicatissima: adolescenti alle prime armi, ancora digiuni di esperienze di lavoro, ma già bombardati da una narrazione a tinte fosche, in cui trovare un lavoro decente e guadagnare uno stipendio degno sono descritti come obiettivi difficili da raggiungere. Giovani sfiduciati, a cui non di rado cattivi maestri insegnano che studiare non porta a niente e che con la cultura non si mangia.

Un ministro del Lavoro, di fronte a una platea come questa, deve scegliere con cura e con senso di responsabilità i messaggi da lanciare. Anche se magari é vero che attraverso gli amici del calcetto qualche volta si viene a sapere di qualche opportunità di lavoro, non sta al ministro occuparsi di questo aspetto. Altri lo faranno. A lui sta il compito di sottolineare quanto le competenze siano importanti nel mondo del lavoro, quanto la fatica sui banchi di scuola, magari intervallata da work esperience, abbia senso e non vada sottovalutata. Lui è la figura che più di tutte le altre dovrebbe rappresentare una guida per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro: il suo ruolo non è quello di indicare strade secondarie, nell'implicita ammissione che quelle maestre (quelle su chi lui ha potestà) non funzionano a dovere.

Perfino io, nel mio piccolo, ho cura di modulare il registro a seconda delle diverse platee che mi trovo di fronte; e tengo sempre bene a mente che, quanto più giovani sono coloro che ho davanti, tanto più devo sforzarmi di modulare i messaggi dosando realismo e ottimismo, e sopratutto trasmettendo i valori più importanti. Qui il valore più importante è che bisogna studiare tanto, perché le competenze sono la chiave di tutto.

Il terzo punto è che una frase così equivale ad abdicare. Cosa aggiunge alla situazione dei giovani italiani che attraversano il guado tra formazione e lavoro? Niente. Nella frase non c'è una analisi critica, ma sopratutto non c'è non dico una proposta politica, ma nemmeno una rivendicazione del proprio operato. Non c'è un rendiconto di ciò che sta facendo questo ministero, e più in generale questo governo, per sanare la situazione, per rendere più vivo e fluido e meritocratico il mercato del lavoro. È come se si dicesse: la situazione é questa, prendetene atto e agite di conseguenza. Personalmente non ho nulla contro il pragmatismo: essere concreti e non millantare sono qualità che apprezzo. Ma di fronte a una situazione critica, a un malcostume, un esponente del governo non può cavarsela con una battuta. E' il miglior regalo all'antipolica.

Eleonora Voltolina

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