Una scuola senza bidelli: 10 mila posti liberi, ma la riforma non parla di loro

Valerio Mammone

Valerio Mammone

Scritto il 06 Ott 2014 in Articolo 36

Nella “buona scuola” il governo Renzi si è scordato il personale Ata. Il documento che anticipa i punti della riforma del sistema scolastico prevede infatti l’assunzione di 150mila docenti precari, ma non del personale ausiliario, tecnico e amministrativo senza il quale – secondo diverse sigle sindacali tra cui l’Anief e la Federazione Lavoratori della Conoscenza della Cgil – è difficile garantire l’ampliamento dell’offerta formativa e, più in generale, il corretto funzionamento della scuola. 
Gli Ata si dividono in quattro categorie: c’è il personale di segreteria (o assistente amministrativo), che tiene la contabilità della scuola e dà supporto al dirigente scolastico nelle varie pratiche burocratiche richieste dal Ministero; il personale tecnico che ha funzioni di supporto alla didattica di laboratorio; i collaboratori scolastici (i bidelli) che hanno varie funzioni tra cui sorveglianza e pulizia e il direttore dei servizi, il “braccio operativo” dei dirigenti scolastici.
Pochi giorni dopo aver pubblicato il documento sulla “buona scuola”, il Governo ha ufficializzato l’assunzione di 34 mila persone, tra cui 4.599 Ata. Ma secondo Anna Maria Santoro, segretaria nazionale per la FLC Ggil, non ci sono comunque motivi per festeggiare. «Il personale appena assunto è quello previsto ogni anno dal ministero per coprire il turn over e cioè la quota di personale che va in pensione, ma si tratta di una misura tampone: il ministero dovrebbe coprire anche i 5500 posti rimasti liberi», dice ad Articolo 36.Negli anni il personale Ata è diminuito in modo piuttosto evidente: nell’anno scolastico 2007-2008, secondo i dati della relazione generale sulla situazione economica del Paese del 2012 (p. 11), erano 246mila, di cui 165mila a tempo indeterminato e 81mila a tempo determinato; nel 2011/2012 erano 204mila, di cui 188mila a tempo indeterminato e 16mila a tempo determinato (la diminuzione del personale a tempo determinato è dovuta principalmente a due fattori: la stabilizzazione dei precari e i tagli al personale a termine). Nel frattempo il numero di iscritti nelle scuole dell’obbligo è aumentato di 90 mila unità solo negli ultimi tre anni (dato Anief). E non è tutto: «I governi degli ultimi anni, compreso quello attuale, puntano sulla didattica laboratoriale, sulle innovazioni tecnologiche, ma nella scuola del primo ciclo non è prevista la figura dell’assistente tecnico», dice ancora Anna Santoro. «Cosi accade che le scuole del primo ciclo debbano “pescare” dalle scuole superiori pagando con finanziamenti propri, spesso forniti dalle famiglie».  
Col Decreto Sviluppo del 2011 è stato avviato un piano triennale di assunzioni, grazie al quale il personale ATA a tempo indeterminato è aumentato di 37mila unità. Ma secondo la Flc Cgil, ci sono ancora 10 mila posti liberi. E cioè i 5.522 di cui si diceva prima e i quasi 5 mila posti aggiuntivi autorizzati ogni anno dal Ministero dell’Istruzione, senza dimenticare  l'elevato numero dei precari che aspettano da anni di essere stabilizzati. E che a breve potrebbero passare a tempo indeterminato grazie alla Corte di Giustizia Europea. L’uso prolungato di contratti a termine viola infatti la direttiva europea 70/1999, che stabilisce che  i contratti a tempo determinato non possano essere rinnovati per più di tre anni complessivi. «Il motivo per cui è stata creata questa regola è semplice», spiega Anna Santoro. «I contratti a tempo determinato servono a coprire esigenze limitate nel tempo: lo Stato invece li ha usati per sopperire a esigenze stabili dell’Amministrazione, ovvero garantire il regolare funzionamento della scuola». Su questa possibile infrazione, il tribunale di Napoli e la Corte Costituzionale hanno chiamato in causa la Corte di Giustizia Europea che potrebbe condannare l’Italia ad assumere a tempo indeterminato tutti i precari della scuola (docenti e ata, anche se sui docenti pare che il governo si sia mosso in anticipo) che hanno lavorato per più di tre anni con contratti a termine.

La trafila degli Ata, infatti, non ha nulla da “invidiare” a quello dei docenti: 5-6 anni di attesa al nord, spesso di più al Sud, dove subiscono (più che altrove) la concorrenza dei Lavoratori Socialmente Utili, che dipendono da cooperative private. Secondo la Cgil, «dal 1999 la scuola ha impiegato 11mila 800 addetti alle pulizie e 600 assistenti amministrativi e tecnici provenienti dai Lavori socialmente Utili» togliendo quindi risorse per la stabilizzazione del personale Ata. E una dimostrazione di questo conflitto di competenze l’ha data recentemente il governo che ha destinato ai lavoratori socialmente utili oltre 400 milioni di euro, che serviranno per portare avanti le opere di piccola manutenzione previste dal filone “scuole belle” del piano di edilizia scolastica. Prima di entrare in ruolo, gli Ata devono presentare la domanda per essere immessi nelle graduatorie di istituto; di supplenza in supplenza, raggiungono i 24 mesi complessivi di lavoro, necessari per essere inseriti nella graduatorie permanenti. Dopo di che aspettano di essere chiamati dall’ufficio provinciale che gli affida un incarico annuale, che viene in genere rinnovato per anni di anno in anno. Fanno eccezione solo i Direttori dei servizi, che vengono selezionati con un concorso (l'ultimo risale a 14 anni fa). Tutta questa trafila porta almeno a uno stipendio dignitoso? Non proprio: un collaboratore scolastico appena entrato in ruolo guadagna 1242 euro lordi al mese (poco più di 900 netti al mese), che diventano 1618 a fine carriera; per gli assistenti tecnici e amministrativi le cifre sono leggermente più alte: il primo stipendio è di 1391 euro, l’ultimo di 1880. «Il personale Ata è il grande assente del Piano Renzi», conclude Anna Maria Santoro. «Purtroppo non si riconosce all’organizzazione della scuola la sufficiente importanza. Per quanto ci riguarda invece il lavoro è uno snodo importante per rendere sicure, accoglienti e funzionanti le scuole».

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