Rossella Nocca
Scritto il 13 Ott 2017 in Storie
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Sono aperte le iscrizioni per i Master of Science (MS) e i Master of Arts (MA) della Columbia Journalism School, tra i percorsi più ambiti per giovani giornalisti e aspiranti tali. Le deadline sono il 15 dicembre e il 9 gennaio. La Repubblica degli Stagisti ha raccolto la storia di Francesca Berardi, 33 anni, ex allieva del Master of Arts in Politics.
Ho 34 anni e sono nata a Torino. Ho studiato Storia dell’arte prima nella mia città e poi presso l’università La Sapienza, a Roma. Contemporaneamente ho iniziato la lavorare nel mondo dell’arte, occupandomi dell’impatto dell’arte contemporanea nelle zone post industriali. Ho collaborato con riviste d’arte, e nel frattempo mi sono dedicata a un’altra mia passione, il sociale, lavorando come volontaria in una comunità di rifugiati a Roma.
Dopo l’università ho vinto una borsa europea in Belgio, ad Anversa, per lavorare nella redazione di una testata online. In questo periodo ho visitato una cittadina ex mineraria del Limburgo belga, e ho trascorso intere giornate nella comunità di ex minatori, per ascoltare le loro storie, studiare il contesto. Ho anche lavorato a un documentario con due amici e colleghi, “Viaggio al Belgio”. È stato lì che il lavoro del giornalista mi è sembrato meraviglioso e che ho capito che era quello che avrei voluto fare nella vita. Così, quando – dopo un anno – sono tornata in Italia, ho cominciato a cercare stage nelle redazioni, ma non ho trovato niente di retribuito. Ho scartato anche l’idea di iscrivermi a una delle scuole di giornalismo italiane, perché duravano due anni, costavano e mi sembrava difficile poter lavorare in contemporanea, cosa che ho sempre fatto.
Così ho avuto una sorta di ribellione e mi sono detta “Ho qualcosa da parte, me ne vado a New York!”. Sono partita a settembre del 2011 pensando che sarei ritornata dopo tre mesi e invece sono ancora qua. Sono arrivata con un visto per giornalisti di media stranieri. Ottenerlo è stato semplice, anche perché è un visto che non ti permette di lavorare per enti americani. Tra domanda, intervista e rilascio è trascorso un mese e mezzo. Grazie a questo visto ho lavorato per la redazione America 24 di New York, nell'ufficio americano del Gruppo 24 Ore. In seguito, ho vissuto a Detroit per un periodo e realizzato un libro sulla città. Ho poi fatto domanda per ottenere una scholarship ed essere ammessa a un master in politica alla Columbia Journalism School. Ho così ottenuto il visto F1 da studente, che dopo il master ti dà diritto a un anno di bonus – l’optional practical training (Opt) – per lavorare in America.
Ho deciso di fare domanda di ammissione quando ho saputo che c’era la possibilità di ricevere una borsa di studio che avrebbe coperto sia il costo della scuola che le spese per vivere a New York, per un totale di circa 90mila dollari (di cui 60mila per l’insegnamento). Sapevo che sarebbe stato difficile ottenerla, ma ho voluto provarci lo stesso. Ho fatto domanda a novembre e ho ricevuto risposta a marzo, per poi iniziare a settembre. Quando ho ricevuto la prima mail, che mi comunicava l’ammissione, non riuscivo a gioire. Se non avessi avuto la borsa, non avrei mai potuto permettermi di accettare. Vivere un anno a New York costa in media 30mila dollari. Una camera tra i 1.200 e i 1.800 dollari al mese, una casa piccola dai 2mila in su. Per fortuna dopo poco è arrivata la bella notizia: avevo ottenuto la borsa di studio completa. In quel periodo vivevo a Brooklyn e mi sono trasferita ad Harlem per stare più vicina alla scuola. In classe eravamo in sedici, da ogni parte del mondo. Nel mio anno c’era una prevalenza di indiani (cinque) e solo tre persone con passaporto americano. Ero l’unica italiana.
È stata un’esperienza intensa, impegnativa e meravigliosa, sia dal punto di vista professionale che umano. Nove mesi intensissimi di stampo seminariale su politica, sociale, etica, con l’obiettivo di trasmettere capacità di analisi profonda e critica delle materie. Due mattine a settimana erano dedicate a seminari sulla materia scelta, nel tempo restante si seguivano altri corsi o interni alla scuola o in altre facoltà (io ne ho seguiti a Economia, Scienze Politiche e Religione) e workshop preparatori al mondo del lavoro. Nel frattempo si preparava una tesi, con la supervisione di un advisor, uno dei docenti.
La cosa più difficile è stata scrivere e partecipare a dibattiti in inglese su tematiche complesse. Non a caso per essere ammessi è richiesta la certificazione Toefl a un livello più alto rispetto alle altre università americane. Io, sebbene fossi a New York dal 2011, avevo lavorato principalmente per italiani. In ogni caso confrontarmi con un costante senso di imperfezione è stato utile e stimolante.
Quello che ho amato di più della scuola è stato la riflessione costante sul giornalismo e sul significato della professione. Ha cambiato completamente la mia prospettiva sul lavoro e sulla vita. Ho avuto validi insegnanti, come Alexander Stille, giornalista del New Yorker e corrispondente dagli Usa per Repubblica, che è tra quelli che mi hanno insegnato di più.
Oggi mi sento in costante tensione rispetto all’etica del lavoro, mi pongo continuamente domande e ho gli strumenti per trovare risposte. In America c’è un modo diverso di fare informazione: si fa tantissimo factchecking, il tuo pezzo da quando lo scrivi a quando viene pubblicato attraversa molte fasi. La scuola ti insegna come fare il freelance, come scrivere le proposte, tanto che la maggior parte degli allievi che escono approfittano dell’anno di bonus per esercitare la professione da freelance.
Tuttavia dopo il master non ci sono certezze né di stage né di assunzione. Io sono stata assunta dalla Scuola come post graduate fellow per un anno in una mini redazione in cui mi occupavo di “educazione e ineguaglianza”. Grazie alle partnership della Columbia, i lavori venivano pubblicati su varie testate, ad esempio Slate e ProPublica. C’erano anche molte risorse per viaggiare: ho visitato Detroit, Chicago, Kansas, Kentucky, Florida.
Poi ho ottenuto un assegno di ricerca Grant presso il Brown Institute for Media Innovation della Columbia, un istituto dedicato all’innovazione nello storytelling, con sede alla Columbia e alla Stanford University, per un progetto sull’economia informale delle persone che vivono raccogliendo per strada materiale riciclabile. È un lavoro di responsabilità, in cui sono io a scegliere i miei collaboratori, e che mi permette di scoprire un lato di New York sconosciuto alla maggior parte dei suoi abitanti.
Oggi ho un visto J1, che mi permette di essere stipendiata solo dalla Columbia. Il progetto durerà fino a febbraio 2018. Poi in primavera tornerò in Italia per qualche mese. Mi piacerebbe ritornare stabilmente in Italia o quantomeno in Europa, magari lavorando per le sedi europee di testate americane internazionali, per poter “riportare a casa” un po’ tutto quello che ho raccolto in questi sei anni. Ma lo farò solo se mi sarà data la possibilità di continuare a lavorare come lavoro qui, con la stessa responsabilità.
Testo raccolto da Rossella Nocca
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