È opportuno permettere di realizzare di tirocini all'interno di aziende in crisi? Gli aspetti critici di una situazione di questo tipo sono abbastanza evidenti. Quello macroscopico è che quasi sicuramente un'impresa che sta riducendo il personale non potrà offrire alcuna prospettiva occupazionale al termine dell'esperienza formativa. Gli stagisti possono quindi in questi casi trarre benefici solo dallo svolgimento dello stage, nell'ordine delle competenze acquisite; ma non certo sperare in un'assunzione.
Il secondo aspetto critico è la possibilità che qualche imprenditore si faccia furbo e metta gli stagisti a fare il lavoro dei dipendenti appena lasciati a casa: sostituendo quindi lavoratori portatori di diritti (primi tra tutti, quello alla retribuzione e ai contributi) con giovani senza alcun diritto; e riuscendo quindi a portare avanti la propria attività economica a un costo estremamente ribassato.
Il terzo aspetto critico é quello più umano e triste. Con quale motivazione e quale entusiasmo i lavoratori potrebbero accogliere uno stagista e svolgere il compito di formarlo, se sentono che il loro posto è in pericolo? Specialmente i precari finiscono in questi casi per vedere nel nuovo arrivato un competitor, qualcuno che se troppo ben addestrato potrebbe sostituirli. Risultato: una guerra tra poveri, con gli stagisti - ultima ruota del carro - accusati di "rubare il lavoro".
Purtroppo la normativa a livello nazionale non pone limiti all'attivazione di stage in aziende in crisi: pertanto perfino un'azienda che sta fallendo, o che sta mettendo in cassa integrazione il suo personale, può teoricamente ospitare stagisti. Dei pericoli di questa situazione si sono accorti fortunatamente alcuni soggetti a livello locale. Il primo è stato il Piemonte, che nella legge regionale n° 34 del 2008 (era ancora in carica la giunta di Mercedes Bresso) ha vietato di prendere stagisti alle imprese in crisi: «Non è ammesso l’utilizzo di tirocini in aziende che abbiano in corso sospensioni di lavoratori in cassa integrazione o che nei sei mesi precedenti abbiano ridotto il personale con licenziamenti, mobilità»; anche se poi questo divieto è stato fortemente mitigato da una delibera della giunta regionale del dicembre 2009, che lo ha circoscritto «alle aree organizzative (uffici, reparti) ed alle figure professionali interessate alla cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga» e alla riduzione di personale.
Nella primavera del 2011 poi la Regione Toscana ha stilato (e fatto firmare alle parti sociali) un «Protocollo d'intesa per l'attivazione di tirocini e stage di qualità» in cui ha messo nero su bianco che sono esclusi dalla possibilità di accogliere stagisti le realtà aziendali che abbiano effettuato licenziamenti negli ultimi 24 mesi o che abbiano attiva la cassa integrazione. Per ora questo Protocollo vincola solo le aziende che vogliono partecipare al progetto Giovani sì ma l'assessore al Lavoro Simoncini ha promesso che i contenuti del Protocollo coinfluiranno in una legge regionale che, una volta approvata, sarà vincolante per tutti gli stage attivati sul territorio toscano.
L'ultima in ordine di tempo a pronunciarsi in questo senso è stata la Provincia di Padova che attraverso una delibera di giunta approvata a fine novembre in maniera bipartisan (con un promotore di centrodestra e uno di centrosinistra) ha sancito che i centri per l'impiego «non promuoveranno tirocini durante i periodi di sospensione dal lavoro Cigo, Cigs, cassa in deroga, salvo che gli stessi non vengano proposti per qualifiche e mansioni diverse da quelle dei sospesi». Il divieto però non è esteso agli altri enti promotori, pertanto sia le università sia le agenzie per il lavoro possono ancora, se lo ritengono opportuno, attivare stage in aziende che navigano in cattive acque.
Vi sono poi singole imprese che per senso di responsabilità - o per specifici accordi con le rappresentanze sindacali - sospendono volontariamente l'inserimento di tirocinanti nei periodi in cui attraversano difficoltà. C'è anche da specificare che non è inusuale che si verifichino situazioni complesse, in cui all'interno della stessa realtà un settore è in crisi e deve chiudere, ma magari contemporaneamente un altro è in crescita e può offrire nuovi posti di lavoro. In casi come questo, basterebbe aggiungere una postilla per specificare la possibilità di deroga.
Perché questo semplice atto di buonsenso, limitare fortemente la possibilità per le imprese in crisi di avvalersi di tirocinanti, non viene codificato in forma di legge?
Eleonora Voltolina
Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
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