Una semplice domanda, «ma tu che lavoro fai?», ha negli ultimi tempi mandato in crisi una generazione - quella alle prese con lavori precari, spesso a progetto, rinnovati, con nomi diversi. Per alcune professioni poi quella domanda è quasi una condanna: schiere di musicisti, scrittori, designer e in generale quasi tutti i professionisti dell'arte e della cultura si sono sentiti ribattere innumerevoli volte «Sì, ma di mestiere?».
A fare un po' di chiarezza rispetto al mondo dell'editoria adesso ci pensa un libro, «Ma tu che lavoro fai?» ne è appunto il titolo, scritto da Luana Lupo e Stefano Nicosia per le Edizioni di Passaggio. «Abbiamo scelto di parlare di questo lavoro arginando, per una volta, tutte le discussioni relative alla crisi dell’editoria per far emergere proprio le storie e il lavoro vero di chi fa i libri» spiega ad Articolo 36 Luana Lupo. «La volontà era quella di raccontare questo mestiere non solo ai colleghi ma anche a un pubblico di non addetti ai lavori». Obiettivo centrato, visto che a comprare il libro sono stati finora per la maggior parte persone esterne al mondo editoriale, che durante le manifestazioni e le fiere si sono incuriosite vedendo il libro e hanno deciso di approfondire l’argomento.
Il lavoro dell’editore nel testo viene raccontato come una “storia collettiva”, riportando le dichiarazioni di tutti i mestieri che ne entrano in relazione, e restituendo la giusta coralità. «Abbiamo scelto istintivamente gli editori che ci piacciono perché amiamo i loro libri e a partire da questi abbiamo incontrato i vari protagonisti, quindi anche librai e scrittori, per dare voce a tutti» spiega l’autrice «Poi abbiamo effettuato una sorta di montaggio. Attraverso le loro parole, le mie e quelle di Stefano abbiamo costruito un racconto. Non volevamo fare un manuale, ma un racconto. Quindi il nostro testo doveva riuscire a montare bene le varie storie per offrire a nostra volta un punto di vista». L’obiettivo del libro è «testare a che punto è questo settore professionale» affrontando alcuni dei problemi “interni” come quello della distribuzione.
Il quadro che affiora è quello di un’editoria che si trova a un punto cruciale: «È difficile fare previsioni. Quello che è certo è che è giunto il momento di reinventarsi. Magari imparando da quello che molte piccole librerie stanno facendo, ad esempio non vendendo solo libri» spiega l’autrice ad Articolo 36 «Ma cercando di capire che cosa può accompagnarli per riuscire a sopravvivere in un periodo di contingenza così difficile». Nel libro sono tante le parole usate per cercare di descrivere quello che l’editore fa, non fa o dovrebbe fare e per sintetizzarlo Lupo usa una parola: «filtro». Perché l’editore è colui che fa filtro, anche culturale. «L’editore indipendente ha un progetto dietro, non pubblica libri, ma è i libri che pubblica. Perciò deve svolgere questo ruolo di selezione e responsabilità». La stessa parola usata in «Ma tu che lavoro fai?» anche da Claudia Tarolo e Marco Cassini, rispettivamente della Marcos y Marcos e della Minimum Fax, entrambi convinti che il compito dell’editore contemporaneo sia quello di assumersi delle responsabilità e decidere cosa far conoscere. «Già nel momento in cui l’editore sceglie la propria linea editoriale sceglie una strada che deve seguire con coerenza nel corso degli anni con i libri che pubblica. Sceglie una via e un certo tipo di lettori. La strada scelta sarà un faro che i lettori seguiranno: così si creerà un rapporto di fiducia».
Uno dei tratti che più di tutti fuoriesce dal testo è l’entusiasmo e la passione di chi vive di questo mestiere. Stessi elementi che permettono di superare i momenti bui e reinventarsi per continuare a fare questo lavoro. «Le difficoltà però restano» racconta Lupo ad Articolo 36, «come quella di spiegare ai propri genitori, come scrive Giorgio Vasta nell’introduzione, “che lavoro fai”. È una domanda spiazzante. E la passione da sola non basta per continuare a fare gli editori. Mentre c’è questa sorta di romanticismo legata al mondo dei libri, per cui se già una cosa ti piace si ripaga da sé. Ma non è così: un riconoscimento per quello che fai è giusto, come per gli altri lavori».
L'aspetto che forse più di tutti colpisce leggendo il libro è quello della vita media di un titolo - che oggi si è talmente ristretta da non arrivare a più di 42 giorni. Poco più di un mese in cui si gioca tutto il successo o l’insuccesso di un testo. «Trovare una soluzione è difficile. Servirebbero cambiamenti strutturali del sistema editoriale. Ma questa vita brevissima delle novità è veramente disarmante, perché dopo 40 giorni un libro viene reso». A quel punto l’unica soluzione per acquisire visibilità resta quella di intrattenere rapporti diretti con le librerie indipendenti, rafforzando questo connubio. Il rischio apparente è che anche in questo modo, accorciando la filiera del libro, si producano le stesse storture create dalle grandi catene di librerie. Ma Luana Lupo su questo punto è sicura: «Lo si fa in modo diverso. Ad esempio inventandosi degli eventi dove si fa realmente la promozione della lettura. Come abbiamo raccontato con il connubio tra la libreria Piazza Repubblica di Cagliari e l’editore Marcos y Marcos che hanno inventato Letti di notte, la notte bianca delle librerie in tutta Italia. Solo stringendo rapporti di fiducia con le librerie si riescono a intrattenere rapporti anche con i lettori. Ma non vedo lo stesso meccanismo che ha determinato i grandi gruppi a detenere anche le librerie di catena».
Gli autori, poi, richiamano anche la politica, chiedendo iniziative economiche di sostegno all’editoria che siano chiare, coerenti ed efficaci. Diversamente da quanto successo fino ad ora. E Luana Lupo lancia un monito: «Per aiutare la piccola editoria il governo non dovrebbe soffermarsi sugli sconti, perché vanno a vantaggio solo dei grandi gruppi. Ma ragionare in un’ottica di promozione della cultura e della lettura. Puntando molto sulle biblioteche e le scuole perché è lì che si dovrebbero formare nuovi lettori».
Lupo e Nicosia non dimenticano di affrontare altre due tematiche di dibattito quotidiano ormai tra editori e librai indipendenti: la sovrapproduzione di libri e l'esigenza di una decrescita. «Pubblicare meno per pubblicare meglio», dice l'autrice, perché solo producendo meno libri l'anno si ha la possibilità di seguirne tutto il percorso di vita, dalla pubblicazione alla diffusione e vendita nelle librerie. Perché la crisi negli ultimi anni ha minacciato sempre di più la vita dei libri ed è proprio per questo che molte case editrici hanno adottato la politica della decrescita. Richiamando le idee di Serge Latouche, anche se in questo caso si preferisce parlare di bibliodiversità. Proporre quindi un'editoria slow, con un ritmo di lavoro «meno veloce, meno ipertrofico, meno isterico».
Ai giovani che si vogliano avvicinare a questo mestiere bisogna ricordare che la strada di questi tempi non è semplice, che «si può vivere di questo lavoro ma è complicato sopratutto per le piccole case editrici» dice Lupo. Anche se potrebbe sembrare che non servano nuovi editori, c'è sicuramente bisogno di nuove idee di progetto e di qualità. Per queste ci sarà sempre spazio, e quindi possibilità di farcela, nel mondo dell'editoria.
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