Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito al Bollino. Di seguito quella di Lidia Pomponi, con un contratto a progetto in Bip.
Mi chiamo Lidia Pomponi e sono nata 24 anni fa in un paesino sperduto della provincia di Teramo (sì lo so, Teramo non la conosce nessuno). A 14 anni mi sono iscritta al liceo classico, scelta fortemente voluta e in antitesi con quella del resto della famiglia che ha la maturità scientifica, visto che la scuola mi ha decisamente appassionata e nel 2006 mi sono diplomata. Sono sempre stata molto portata per lo studio e sin da piccola ho adorato stare sui libri, per cui i miei genitori non mi hanno mai spinta a lavorare, nè io ne ho mai sentito il bisogno; oggi me ne rammarico perchè, con qualche lavoretto durante gli studi, avrei imparato molto!
Dopo la maturità ero un po’ stanca delle materie umanistiche e senza esitazioni ho scelto di iscrivermi alla facoltà di economia. I miei, consci dei disservizi delle università pubbliche, che loro stessi hanno frequentato, mi hanno spinto all’università privata e io mi sono trovata d’accordo: ho superato i test alla Bocconi di Milano e alla Luiss di Roma, ma Milano mi spaventava - era troppo lontana da casa. Così ho scelto Roma: lì ho vissuto i tre anni più belli della mia vita.
Dopo la triennale però ho sentito il bisogno di nuove sfide e nuovi stimoli: ho ripetuto il test di ammissione in Bocconi, l’ho passato di nuovo e questa volta mi sono trasferita sotto la Madunina. Dopo il primo anno ho deciso di partire per un’esperienza all’estero, cinque mesi in California alla university of San Diego a frequentare corsi Mba ed ultimare i tre esami mancanti per la laurea. È stata un’esperienza che mi ha cambiata, mi ha aperto la mente. La mia famiglia con grandi sacrifici mi ha sostenuto economicamente per tutto il soggiorno, e di questo e altro sarò loro grata per sempre: dall’università infatti ho avuto solo una piccola borsa di studio di 700 euro, neanche un decimo delle spese complessive.
Appena rientrata dall’America mi sono anche messa alla ricerca di uno stage curriculare per accumulare i crediti formativi necessari per completare il percorso di studi. Ho conosciuto Bip tramite una persona che aveva avuto modo di lavorarci e che me l’ha consigliata fortemente. Ho inviato il cv e fatto tre step di selezione, e alla fine mi è stato offerto esattamente ciò che cercavo: uno stage curriculare della durata di tre mesi, al termine dei quali avrei avuto bisogno di una pausa per ultimare la tesi. Mi veniva fornito un rimborso spese di 700 euro. Nei primi mesi di stage ero stata inserita a supporto di un team di lavoro attivo su un progetto di razionalizzazione in una grande banca italiana. Io non neanche un foglio bianco, ma ancora cellulosa da trasformare per cui hanno dovuto insegnarmi tutto partendo dalle basi: come scrivere una mail formale, come utilizzare Powerpoint per fare presentazioni ai clienti, come lavorare su tabelle excel e utilizzare le principali funzioni del pacchetto Office.
Ho consegnato la tesi a settembre 2011 e mi sono laureata ad ottobre dello stesso anno. A quel punto Bip mi ha dato la possibilità di terminare l’iter di stage classico che dura sei mesi, facendo altri tre mesi di stage. Sono tornata a seguire lo stesso cliente, ma su un progetto e con un team diversi. Si trattava di un progetto abbastanza amplio e complesso e io avevo il compito di coordinare le varie attività garantendo allineamento informativo ed organizzativo. In questo modo ho appreso le basi di un’altra attività fondamentale nella consulenza, il cosiddetto Pmo, project management office.
Al termine di questo secondo periodo sono stata assunta. Come da policy aziendale, mi hanno fatto un contratto a progetto di un anno con retribuzione mensile netta di 1.300 euro circa più buoni pasto. Mi occupo della gestione delle attività progettuali in maniera quasi autonoma: in consulenza infatti non si lavora mai da soli, ma sempre in un team all’interno del quale ciascuno è responsabile di una serie di attività. Il mio lavoro ruota tutto attorno a un obiettivo: portare a termine il progetto conseguendo i risultati attesi dal cliente entro le tempistiche stabilite.
Oggi mi sento ovviamente ancora all’inizio della mia vita professionale e sento il peso del dover dare un indirizzo decisivo alla mia carriera lavorativa in questi primi anni che sono i più importanti e i più carichi di indecisione. Nella consulenza finora ho trovato un’oasi di stabilità: mi ha offerto la possibilità di «sperimentare» e «sperimentarmi» in campi estrememente diversi e sicuramente mi ha aiutato a crescere professionalmente. All’orizzonte non vedo un cambiamento di rotta perchè sento che questo settore può darmi ancora molto e non ho intenzione di cambiare a breve.
Ho vissuto all’estero per un breve periodo ed è stato sufficiente per riconoscerne le potenzialità, l’estrema apertura al «giovane» e la forte dinamicità economica. Molti Paesi oltreoceano sono sicuramente «l’eldorado», il sogno di molti neolaureati italiani. Anche molti miei amici vorrebbero partire. Io però mi sento italiana, una di quelle dal nazionalismo romantico che vuole vivere e veder crescere i propri figli nel suo paese. Pur criticando duramente l’eccessiva burocrazia, il clientelismo e la rigidità economica, sociale e di pensiero, non sono ancora stanca nè rassegnata e non credo ancora che l'Italia non abbia più speranze e non offra futuro. Il mio sogno è realizzarmi nella terra dove sono nata, senza scendere a compromessi e senza dovermi accontentare. Comunque sia farei molto volentieri un’altra esperienza lavorativa all’estero ma la considerei solo una breve parentesi professionale ed un’ulteriore occasione di crescita culturale, non certo come una decisione di lungo periodo.
Per crescere ed avere successo in Italia - ma anche nel resto del mondo - bisogna dare il massimo, per imparare il massimo e ricevere indietro il massimo. Risparmiarsi nel lavoro, come nella vita, nella speranza di fare il meno possibile ed ottenere il massimo con il minimo sforzo non è una strategia vincente: bisogna sacrificarsi e dare il meglio di se per essere apprezzati e non farlo solo ed esclusivamente per interesse ma sempre e sopratutto per passione. Per il resto, come diceva la mia fantastica professoressa di latino del liceo: «ad majora semper».
Testo raccolto da Giulia Cimpanelli
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