Uno dei motivi per cui i giovani italiani vanno all'estero è, innegabilmente, che ci sono opportunità di lavoro migliori rispetto all'Italia. Poi restano lì, e non tornano, sopratutto per una ragione altrettanto innegabile: mediamente all'estero si guadagna di più.
Eppure negli ultimi quattro anni sono rientrati in Italia 7mila expat: lo hanno fatto grazie a una legge chiamata "Controesodo", una sorta di incentivo fiscale che permetteva ai laureati rimpatriati dopo una significativa esperienza di lavoro o studio fuori dall'Italia di pagare le tasse per i primi tre anni non sul totale del proprio stipendio, bensì solamente sul 30% (per gli uomini) o 20% (per le donne). La legge era stata una delle poche conquiste "bipartisan" dell'ultimo governo Berlusconi: a inizio 2015, dopo molte tribolazioni, c'era stata una proroga che estendeva la possibilità di beneficiare delle agevolazioni fino a tutto il 2017.
Ma a settembre è arrivata la tegola: un decreto ha cambiato le regole del gioco, stabilendo che i "talenti di ritorno" dovranno pagare le tasse sul 70% dei propri guadagni. Cosa succede adesso a quei 7mila che erano sicuri di poter usufruire del regime di vantaggio fino alla fine del 2017? Potranno fidarsi della parola data dal governo appena qualche mese fa? In effetti, i cambiamenti introdotti hanno ritoccato in maniera migliorativa altre condizioni, ma...
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