Vuoi fare l'avvocato? Pensaci bene: la strada è lunga e le prospettive retributive sempre più magre

Silvia Colangeli

Silvia Colangeli

Scritto il 30 Gen 2015 in Articolo 36

Non solo in tribunale, ma anche nella pubblica amministrazione, in molte aziende, fra le forze dell’ordine. In Italia ci sono quasi 235mila avvocati: lo confermano gli ultimi dati presentati dal Consiglio nazionale forense, aggiornati al luglio 2014. «Il numero è già altissimo: ai giovani indecisi non consiglierei di iscriversi a giurisprudenza, a meno che a guidarli non sia una vera passione. E comunque bisogna avere ben presente che l’università è solo una delle tappe da percorrere per avviarsi alla carriera forense, sempre più costosa, selettiva e lunga». A dirlo è il nuovo presidente dell’Ugai, Massimo Autieri, 38 anni, che esercita fra Pompei e Napoli. È avvocato dal 2004 e si occupa principalmente di diritto penale. Oltre al sito, l’Unione Giovani Avvocati Italiani aggiorna costantemente un forum, nonché una pagina su Facebook e una su Twitter, che insieme si avvicinano ai 10 mila seguaci. L’Ugai è diventato in pochi anni uno spazio per tutte le problematiche legate alla professione forense, che assomiglia sempre di più a una lunga maratona, da percorrere in molti anni, fra migliaia di concorrenti.

Dopo la laurea in Giurisprudenza, lo studio continua: per chi vuole fare il magistrato è obbligatorio iscriversi alle scuole di specializzazione per le professioni legali, organizzate dalle università stesse. Durano due anni e costano almeno 2 mila euro. Una strada più breve della specializzazione, scelta dalla maggior parte dei futuri avvocati, è la scuola forense: dura un solo anno, è a numero chiuso, costa circa 300 euro ed è organizzata dall’Ordine degli Avvocati. Oppure esistono centinaia di corsi intensivi che preparano all’esame da avvocato: hanno un costo da 500 a 1000 euro e una durata variabile, da tre a sette mesi. Ad organizzarli sono associazioni ed enti di formazione del settore (Giuffrè, Altalex, la Cattolica). Molti sono online.

Ma non basta aver studiato all’università? «Opinione condivisa da altri colleghi docenti è che la preparazione accademica dei discenti sia più blanda rispetto al passato» lamenta alla Repubblica degli Stagisti l’avvocato e pubblicista Laura Biarella, docente universitario e di scuola forense, nonché membro aggiunto della Corte d’Appello di Perugia dal 2010 al 2013. «Anche quest’anno abbiamo ravvisato delle profonde lacune in temi cruciali del diritto civile. Inoltre noto che le sentenze ed i testi di legge sono scarsamente utilizzati dai praticanti che a causa dell’uso smodato di internet e delle banche dati sono soliti servirsi di materiale giuridico già filtrato ed elaborato, che non li stimola al ragionamento e al progresso del senso critico. Durante i corsi di scuola forense e in quelli di preparazione all’esame di abilitazione cerchiamo di stimolare i discenti verso un approccio pragmatico».

Scuole di formazione a parte, il post laurea per i futuri avvocati si caratterizza soprattutto
per i 18 mesi di pratica da svolgere presso uno studio di avvocato. A Milano gli iscritti nel registro dei praticanti sono 15mila, a Napoli più di 10mila, a Roma oltre 22mila. Il momento è cruciale: in questo periodo il laureato in giurisprudenza sceglie quale ambito del diritto lo interessa maggiormente e inizia a seguire le udienze e a scrivere gli atti. Il mondo della pratica è una vera giungla: molto spesso negli studi di avvocati, più che insegnare, si sfruttano i praticanti come segretari, a costo zero. Come già riportato molte volte dalla Repubblica degli Stagisti, il diritto al compenso per i praticanti avvocati non è previsto solo dal codice deontologico ma anche dalla riforma forense, anche se con formule non chiarissime. Dal 2013 si attende peraltro il pronunciamento del Cnf che potrebbe fare chiarezza sulla possibilità di retribuire il praticante anche nei primi sei mesi.

In ogni caso le condizioni economiche dei praticanti sono ancora un punto più che dolente. Su questo argomento la Repubblica degli Stagisti ha chiesto un commento ad alcuni stimati avvocati, membri delle commissioni “Praticanti” dei Consigli d’ordine degli avvocati, in fase di rinnovo in tutto il territorio nazionale. L'unico che ha accettato di rispondere è stato Stefano Galeani, ex vicario della Commissione Osservatorio sulla giustizia dell'Ordine degli avvocati di Roma e attuale presidente dell'Agifor, l'associazione Giovanile forense: «Come associazione siamo naturalmente a favore del rimborso spese per i praticanti, ma  mi ritengo contrario a elargire uno stipendio a un ragazzo appena uscito da Giurisprudenza. I praticanti devono capire da subito l'essenza della libera professione, svolgendo all'inizio anche i compiti di segretario, se necessario». L'avvocato Galeani fa riferimento al termine "stipendio", anche se quest'ultima parola è ritenuta impropria, almeno a livello fiscale, per quanto riguarda i praticanti. Come negli articoli della Repubblica degli Stagisti viene spesso ricordato, le somme percepite da chi fa un tirocinio per l'accesso a una professione regolamentata sono sì assimilabili a reddito da lavoro dipendente, ma non sono una retribuzione e non danno luogo a contributi.


Chi riesce ad attraversare indenne giungla del praticantanto, continuando per lo più a sopravvivere grazie al sostegno delle famiglie d'origine, si iscrive alla prima sessione utile per sostenere l’esame, che in sostanza dura un anno. Esso è articolato in tre prove scritte, della durata di 7 ore ognuna, che di solito si svolgono in dicembre. Dopo sei mesi escono le convocazioni per l’orale, che iniziano a settembre e durano 3 mesi. Passano l'esame meno della metà degli iscritti alla sessione. Per esempio lo scorso anno a Messina il 45%, a Perugia il 12%, a Milano solo il 12%. Il costo dell'esame è di per sé contenuto: 50 euro di spese fisse più 12,60 euro. Il grosso del peso economico è costituto dai codici, da acquistare in blocco (civile, penale, amministrativo e le procedure) poco prima delle prove scritte, per non perdere nemmeno l’ultimo aggiornamento legislativo. Un’affidabile casa editrice del settore offre al costo di 410 euro (anziché 570) quattro dei pregiati volumi necessari per lo scritto. «Proprio i codici sono oggetto di un'importante modifica che riguarderà la prossima sessione d'esame» conferma Autieri: «Non sarà più possibile avere i codici commentati e secondo l’Ugai è una riforma insensata. Il lavoro di un avvocato non si può esaurire, quando dà un parere o dispone un atto giudiziario, nella sola analisi dei testi legislativi, ma si deve allargare almeno con un'indagine sull'interpretazione giurisprudenziale. Si vuole chiudere l’accesso alla professione, ma invece di farlo dall’università, ci si pensa dopo aver fatto sprecare ai ragazzi almeno 7 anni, tra laurea e pratica».

Per chi supera lo scoglio dell’esame, viene il momento dell’iscrizione all’albo: circa 400 euro il primo anno e una tassa annuale che si aggira intorno ai 200 euro finché si esercita
. E dall’inizio del 2014 è entrata in vigore la riforma Monti degli ordini professionali (dpr 137/2012) che obbliga gli avvocati a iscriversi anche alla Cassa Forense, l’ente previdenziale dell’albo. La riforma riguarda 46mila avvocati. Significa dover versare almeno 750 euro l’anno anche per chi, avendo terminato da poco la pratica, non ha ancora maturato alcun reddito. Dopo otto anni, terminate le agevolazioni fiscali, i contributi obbligatori arrivano a 4mila euro annuali.

Ma i giovani avvocati non sono rimasti a guardare: sui social è partita la campagna #iononmicancello, alcuni stanno facendo ricorso individuale in Cassa Forense e una decina si sta appellando al Tar. Tra di loro Marco Pellegrino, tra i fondatori della pagina del blog e della pagina Facebook No Alla Cassa Forense Obbligatoria, che conta oltre 2mila iscritti. L’avvocato leccese denuncia: «Nel 2014 si sono cancellati almeno 6mila avvocati. Il provvedimento vuole mettere con le spalle al muro chi si sta ancora avviando alla professione. E se non hai lo studio di famiglia ci vogliono 7-8 anni. Di questi tempi non è facile nemmeno farsi pagare. A un giovane appena iscritto all’università, che non sia figlio d’arte, dico a malincuore di mettere da parte il sogno dell’avvocatura: a 35 anni, di cui dieci dedicati allo studio e 8 all’avvio dell’attività, si rischia di non potersi ancora mantenere».

I dati confermano le affermazioni di Pellegrino: nell’ultimo rapporto dell’Adepp, l'associazione degli Enti previdenziali privati, presentato a dicembre 2014 si legge che i  guadagni degli avvocati scendono di anno in anno. Nel 2005 il reddito medio di un avvocato iscritto alla Cassa forense con meno di quarant'anni sfiorava i 29mila euro, quando - giusto per un raffronto - quello di un ultraquarantenne invece raggiungeva i 75mila. Nel 2013 gli under 40 non hanno superato i 25mila euro. In sette anni il reddito medio degli avvocati giovani è dunque diminuito del 15%. Da sottolineare, inoltre, il gender pay gap: una giovane avvocatessa guadagna il 58% in meno di un giovane collega uomo.

Quindi la lunga maratona dell’avvocatura non porta da nessuna parte? Non è di questo parere l’avvocato Biarella, che ai giovani consiglia di «differenziarsi rispetto alla massa attraverso le specializzazioni: l’area adr, Alternative dispute resolution, continuerà per esempio ad essere oggetto di interventi legislativi che incentiveranno la risoluzione delle controversie al di fuori delle aule. Altri settori in evoluzione sono il diritto della moda e il diritto commerciale internazionale. Un’altra figura molto richiesta è quella del giurista d’impresa. Non essendo figlia d’arte, io provai a fondere le mie due passioni, il diritto col giornalismo, ed oggi più che “avvocato” mi definisco “giornalista giuridico” o "avvocato specializzato in informazione giuridica”. Una professione che siamo in pochi a svolgere in Italia ma che, personalmente, mi soddisfa maggiormente rispetto a quella classica».

Community