Confrontare il mercato del lavoro, e in particolare l'uso dello strumento dello stage, in Italia rispetto al resto dell'Europa è spesso deprimente. All'estero i giovani sono molto più valorizzati: stipendi più alti, prospettive di carriera più luminose e sopratutto più veloci, maggiore meritocrazia e minore gerontocrazia. Ciò diventa il detonatore di quella che ormai tutti i media chiamano la «fuga dei cervelli».
In questa prospettiva, l'Inghilterra e in primis la sua città-simbolo, Londra, sono state e continuano a essere la meta dei sogni per grappoli di studenti e laureati che non ne possono più di sentirsi offrire stage gratuiti o malpagati. L'altroieri però il prestigioso quotidiano economico inglese Financial Times ha lanciato l'allarme: guardate che il problema c'è anche qui da noi. «Demolire l'edificio marcio degli stage» è l'eloquente titolo dell'articolo, a firma Michael Skapinker, vicedirettore della testata.
I più colpiti, parte Skapinker, sono i giovani che vogliono lavorare nell'avvocatura, nei media o in pubblicità: tutto quello che riusciranno a ottenere, anziché «un vero lavoro», sarà con tutta probabilità «una posizione temporanea, e non pagata, come stagisti». E dopo aver ricordato che gli stage ai suoi tempi (lui ha 54 anni) nemmeno esistevano, continua: «Oggi invece tanti giovani pensano di non avere chance di entrare da qualche parte senza un paio di lavori non pagati alle spalle. Il risultato è un esercito di ragazzi negli uffici, nelle redazioni giornalistiche, negli studi di registrazione». Si pone il problema di cosa far fare a questi giovani, come inserirli nelle routine lavorative, chi mettere al loro fianco per guidarli e formarli - questo, chiaramente, a patto che gli stagisti vengano usati come stagisti. Perchè poi, denuncia Skapinker, ci sono anche aziende che li usano come dipendenti a basso costo: «Ci sono stagisti che lavorano. Questo accade perchè alcune compagnie, che hanno avuto tagli di personale, li usano come rimpiazzo. Sono accettabili questi accomodamenti? "Certo che non lo sono. Quando mai lavorare gratis è stato giusto?" ha commentato un lettore in una discussione sul sito del Columbia Journalism Review» (il periodico della scuola di giornalismo più famosa del mondo, quella della Columbia University di New York).
Skapinker si chiede anche come mai tutti questi giovani accettino di fare stage non pagati, e quindi in definitiva di venire sfruttati. La risposta è semplice: perchè coltivano la «speranza che si trasformi in un lavoro vero». Nell'attesa, chiaramente, devono continuare a pesare sulla loro famiglia: «Questo è il problema degli stage: più si va avanti, più c'è bisogno di genitori che sostengano con il loro denaro il sistema». Un sistema che quindi, di fatto, discrimina i giovani meno abbienti, le cui famiglie non possano permettersi di sostenere i lavori gratuiti dei figli. E siccome tutto il mondo è paese, il giornalista sottolinea anche quanto ormai perfino per ottenere un posto di stage ci sia bisogno di conoscenze e raccomandazioni.
«Se le aziende intendono utilizzare lo stage in maniera seria» conclude il giornalista «devono pagare i loro stagisti». E a chi sostiene che in questo periodo di crisi economica per alcune aziende anche pagare uno stagista potrebbe essere troppo, Skapinker risponde chiaramente: «In questo caso, che lascino gli stage a quelle che sono disposte a prendersi questo impegno» E non cerchino di risolvere i loro problemi di budget, insomma, sfruttando i giovani e pesando sulle famiglie.
Come la Repubblica degli Stagisti suggerisce, e non da oggi, attraverso la Carta dei diritti dello stagista.
Eleonora Voltolina
Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:
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