Italia addio non tornerò, il docufilm sugli expat che lasciano l'Italia senza rimpianti

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 19 Mar 2019 in Notizie

Expat italiani all'estero

Meritocrazia: a rischio di scivolare nella retorica è questa la parola che ricorre nelle trenta interviste a expat di tutto il mondo contenute nel docufilm 'Italia Addio, non tornerò', curato dalla giornalista Barbara Pavarotti [nella foto a destra], classe 1956, ex vicecaporedattrice del Tg5. A finanziare il lavoro, presentato alla Camera dei deputati a febbraio, è stata la Fondazione Paolo Cresci di Lucca, che si occupa di promuovere la conoscenza dell'emigrazione dall'800 a oggi. «All'inizio, da 'perfetta' giornalista tuttologa, non ne sapevo nulla» racconta Pavarotti alla Repubblica degli Stagisti. «Poi, quando ho cominciato a 'scalettare' le interviste, mi sono appassionata, mi sono resa conto che la questione expat era fondamentale».

Chi appare nelle interviste è stato scelto attraverso un appello lanciato sulla settantina di gruppi di Facebook di Italiani nel mondo. «La Fondazione non voleva le eccellenze italiane di cui parlano tutti» evidenzia la giornalista «ma un ventaglio il più ampio possibile, di mestieri, titolo di studio, competenze».

Il coro nei cinquanta minuti di documentario è unanime: all'estero il merito conta, in Italia molto meno. Ed è così che questi figli di nessuno, senza santi in paradiso, hanno costruito il loro futuro fuggendo da un'Italia che li ha respinti, non ha dato loro speranze di futuro, possibilità di trovare un posto e costruirsi una vita. E in questi altri Paesi che li hanno accolti vogliono restare, per tornare in patria al massimo per le vacanze, da turisti.

«Mi sono state date delle opportunità: lavori bene? Allora mi fido di te»: la fa breve Stefano Nicoli di Lucca, classe 1980, dal 2005 a Barcellona raggiunta subito dopo la laurea in Scienze della comunicazione. Oggi è un affermato professionista dell'audiovisivo. «Negli ultimi dieci anni mi sono creato uno spazio, e non penso di tornare indietro» dice, riferendosi a un possibile rientro in Italia. Sara Lucchetti [nella foto a sinistra] invece di anni ne ha trenta, è di Roma, ed era il 2011 quando ha deciso di trasferirsi in Australia, a Melbourne, dopo la triennale in Mediazione culturale. Figlia di una cuoca e con un padre con problemi di salute, racconta del desiderio di «crearmi delle opportunità, che non avevo in Italia». Con la famiglia in difficoltà economiche, l'unico sbocco erano le pulizie o la ristorazione. «Sono partita come bartender, e oggi sono manager di un ristorante italiano».

La storia si ripete anche per gli altri. Marco Tommaselli, perito informatico di Firenze, a Los Angeles è oggi un direttore della fotografia. «Non conoscevo nessuno e volevo lavorare nel cinema» ammette. «Ci ho messo tre anni a arrivare dove volevo, e ho la sensazione che in Italia ne avrei impiegati quindici, perché qui è diversa la mentalità: le persone ti insegnano e hanno piacere che tu vada avanti nel tuo percorso». In Italia è «l'opposto, non si pensa che sia necessario un ricambio generazionale». Per questo «non credo che riuscirei a riadattarmi al sistema italiano delle raccomandazioni» sottolinea Valeria Milani, medico 45enne, a Monaco dove inizialmente si è trasferita per motivi personali, e oggi si sente «un ibrido perfettamente integrato».

Alessandra Altamura, del 1978, di Milano e figlia di un medico di base e di una maestra di asilo, laureata in Ingegneria: oggi è anche lei a Monaco, dove «il mio curriculum e la mia forza di volontà sono stati abbondantemente premiati». In Italia era tutto più difficile perché «avevo anche una bambina piccola». Qui «ho trovato meno pregiudizi sulla maternità». Quarantuno anni anche per Fillippo Baglini [nella foto sotto], giornalista di Pietrasanta, in provincia di Lucca, che nel 2006 è approdato a Londra  «per realizzare un sogno: quello di creare una web radio». Filippo aveva già un lavoro a differenza di altri 'cervelli in fuga', ma nella capitale inglese è riuscito a a dare vita alla sua idea, fondando la London One Radio.

Certo, non tutto è rose e fiori: «Non è semplice, ci sono difficoltà come la lingua o anche riuscire a tenere in piedi un'azienda, che qui si apre con un solo pound» precisa Baglini, e non sempre si arriva dove si vuole. A dispetto del titolo del documentario, in realtà qualcuno che vuole tornare c'è. Milena Guerra, 29enne di Napoli, figlia di una sarta e di un autista, in Italia non riusciva a trovare lavoro ed è arrivata due anni fa a Los Angeles con in tasca una laurea in Lingue. Ma non è riuscita purtroppo ad andare oltre la fase di ragazza alla pari: non proprio «il lavoro dei sogni». E adesso – confessa – «sento il bisogno di rientrare».

Il danno economico prodotto dai giovani italiani che vanno all'estero senza mai fare rientro ammonterebbe a 14 miliardi di euro all'anno secondo stime di Confindustria – un punto di Pil – sottolinea il documentario, calcolando le spese di formazione di questi stessi ragazzi di cui si fa carico lo Stato. Una formazione che non ha portato occupazione e che ha fatto sì che oggi si sia tornati a una emigrazione ai livelli del Dopoguerra. «In Italia il lavoro è concepito come un diritto dinastico» è il commento della regista al termine della proiezione: «Puoi aver anche scritto un capolavoro, ma nessuna casa editrice ti si filerà mai» esemplifica, per restare nell'ambito editoriale. Qui da noi «un Zuckerberg non sarebbe mai nato, perché quando vai a chiedere lavoro rappresenti un fastidio» prosegue. E i curriculum spediti «non vengono quasi mai visti e per lo più cestinati».

Emigrare all'estero non deve essere «una scelta obbligata» dichiara a margine dell'evento il deputato Pd Massimo Ungaro, 30 anni e un passato da expat a Londra, «perché partire può essere un fatto positivo, ma moltissimi sentono che non hanno un'alternativa». E al momento un modo per spingerli a rientrare esisterebbe pure: «La legge sugli sgravi fiscali Controesodo», fa sapere. Una norma che consente a chi rientra di usufruire per i primi anni di un sostanzioso sconto sulle tasse da lavoro.


Per chi volesse vederlo, il docufilm sarà presentato il 22 marzo a Milano, a Palazzo Reale. Poi a Salerno, a Pisa, al Luccafilm Festival, a Genova, al convegno Diaspore. All'estero è già stato anche a Madrid, all'Ambasciata, mentre in autunno di quest'anno sarà proiettato a Melbourne. Ma «il sogno
è che qualche televisione lo trasmetta integralmente», confessa la curatrice, «perché lì c'è una sintesi dei temi più importanti finora emersi nel dibattito sugli expat, e più se ne parla più c'è speranza, forse, che le cose cambino».

Ilaria Mariotti

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