Chiara Del Priore
Scritto il 28 Set 2020 in Approfondimenti
Diritti diritto di voto elezioni legge elettorale referendum voto fuori sede
Il referendum da poco concluso ha riportato l’attenzione sul tema del voto di studenti e lavoratori fuori sede. Sono 400mila, secondo i dati dell'Osservatorio Talents Venture, gli studenti iscritti a università non appartenenti alla propria regione di residenza, mentre non c'è ancora una stima definita per i lavoratori “fuorisede”. Gli uni e gli altri hanno dovuto nei giorni scorsi confrontarsi con il solito dilemma: tornare a casa sostenendo le relative spese oppure astenersi?
Un dilemma accentuato dall’emergenza Covid che di sicuro non ha contribuito a incoraggiare gli spostamenti, alimentando i timori e limitando così il ritorno a casa, anche a causa di provvedimenti che hanno fatto da deterrente. Basti pensare ad esempio alla discussa ordinanza del presidente della Regione Sardegna, che ha previsto l’obbligo a partire dal 14 settembre a chi fa rientro nell’isola di esibire una certificazione o autocertificazione di negatività al virus.
Attualmente la possibilità di votare fuori dalla propria residenza è prevista solo per alcune categorie di lavoratori, tra cui militari, appartenenti alle forze dell’ordine e naviganti marittimi o aviatori. Per tutti gli altri cittadini ci sono delle agevolazioni economiche sui costi di viaggio.
«Il paradosso è che con l’ultima legge elettorale è stato introdotto il diritto di voto per corrispondenza per il fuorisede che si trovano all’estero, ma non per chi sta in Italia» esordisce Stefano La Barbera, presidente del comitato civico Iovotofuorisede, nato da un gruppo di studenti nel 2008 per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema del voto in mobilità. Dal 2016 infatti, a seguito delle modifiche apportate dal cosiddetto Italicum alla legge elettorale, gli italiani che si trovano all'estero da almeno tre mesi per motivi di studio, lavoro o salute possono votare per corrispondenza, ricevendo al proprio domicilio il plico con la scheda elettorale, anche se non sono iscritti all'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero.
Per chi vive lontano dalla propria residenza, ma in Italia – «un numero complessivo che arriva circa a due milioni» secondo i calcoli di La Barbera – la battaglia non si è ancora conclusa, nonostante nel tempo siano state avanzate da più parti proposte di legge. Una di queste prevedeva il cosiddetto advanced voting, cioè voto anticipato attraverso un seggio speciale istituito dalla prefettura presso il luogo di studio o lavoro. Le schede dei fuorisede vengono poi sigillate e scrutinate successivamente insieme alle altre. La proposta però non è andata avanti e negli anni la situazione è rimasta immutata.
Il comitato non si è arreso e ha deciso di fare un passo in più. Lo scorso dicembre è stato depositato un ricorso al Tribunale di Palermo per ottenere il riconoscimento del diritto a votare nelle forme garantite dalla Costituzione anche per i cittadini in mobilità. «La prima udienza è fissata per il 7 ottobre, aspettiamo di iniziare il procedimento con l’obiettivo di fare la stessa cosa in altre cinque grandi città italiane. Il giudice dovrà decidere se ci sono gli estremi per poter sollevare la questione alla Corte Costituzionale» spiega La Barbera.
Il tema è tornato all'attenzione anche in Parlamento: il presidente della Commissione Affari Costituzionali Giuseppe Brescia ha infatti presentato un'interrogazione al ministro degli Interni Luciana Lamorgese per chiedere che il governo metta in atto al più presto misure che consentano il voto a distanza dei cittadini in mobilità, con un riferimento particolare legato al voto elettronico, per la cui sperimentazione la legge di Bilancio 2020 ha stanziato un milione di euro, come si legge dal testo dell'interrogazione.
Nel frattempo il comitato civico si è rafforzato allargando la propria rete attraverso la collaborazione con l’organizzazione non profit The Good Lobby, nata a Bruxelles nel 2015 per volontà dell'avvocato italiano Alberto Alemanno e sbarcata in Italia nel 2019. L'organizzazione ha ottenuto il riconoscimento di Ashoka, network mondiale che premia progetti innovativi di imprenditoria sociale. Step importante è stato rilanciare la petizione online, accessibile dal sito iovotofuorisede.it, che attualmente ha superato le 16mila firme. Sempre sul sito è stata aperta una raccolta fondi finalizzata a sostenere le attività della campagna.
«Il problema ha delle importanti ripercussioni anche sull’affluenza alle urne: se guardiamo ai dati delle ultime elezioni politiche del 2018, la media nazionale è stata del 73% ma la percentuale scende di ben 7 punti nelle regioni meridionali, cioè Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Si tratta di centinaia di migliaia di elettori che mancano all’appello e tra questi una larga parte sono i cittadini in mobilità» continua il presidente di Iovotofuorisede.
Si tratta ancora una volta di un tema importante di rappresentatività e di garanzia di diritto al voto, oltre che di adeguamento alla situazione europea: «Guardando all’Europa, è evidente come il nostro Paese sia in ritardo nell’adeguamento della normativa agli standard democratici internazionali. In Svizzera, Spagna e Irlanda, ad esempio, è possibile votare per corrispondenza, in Francia e in Belgio si può delegare il voto quando il cittadino non può facilmente recarsi ai seggi per votare per varie ragioni tra cui problemi di salute oppure se non vive nel circoscrizione in cui dovrebbe votare. Avvalendosi di questa possibilità può designare un procuratore, che deve essere un elettore dello stesso comune. In Danimarca si può votare in anticipo, in un seggio speciale allestito per l'occasione presso il luogo in cui si è domiciliati. In Germania invece è ammesso sia il voto per corrispondenza, sia il voto in un altro seggio, mentre nei Paesi Bassi è consentito delegare o votare in un altro seggio» snocciola La Barbera.
Insomma, i modi per garantire il diritto di voto ai fuorisede ci sarebbero. Basta sceglierne uno, e implementarlo.
Chiara Del Priore
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