«In tv si può parlare di lavoro con equilibrio e senza banalità»: intervista a Sabrina Nobile, conduttrice del programma «Il contratto»

Eleonora Voltolina

Eleonora Voltolina

Scritto il 08 Mar 2011 in Interviste

Otto anni fa Sabrina Nobile è approdata in tv come Iena e oggi, dopo alcune esperienze a Rai2 e Mtv, conduce su La7 Il Contratto. La trasmissione mostra la fase finale di una selezione per un posto di lavoro, in cui tre candidati si mettono alla prova per essere assunti a tempo indeterminato dal direttore risorse umane dell'azienda. Nella prima puntata la posta in gioco era una posizione di telesales presso Monster a Milano, nella seconda puntata un posto di designer in Elica a Fabriano. Stasera su La7 in prima serata va in onda la terza puntata: stavolta l'azienda protagonista è GetFit, catena di palestre, che cerca un business manager.

Qual è il suo bilancio delle prime due puntate?

Sono molto soddisfatta: si tratta di un format completamente nuovo e sperimentale. Non ci sono concorrenti bensì persone qualsiasi, vere, che provengono da una reale selezione di lavoro; le nostre telecamere le seguono con uno stile quasi documentaristico. Dal punto di vista televisivo hanno forse qualche problema di appeal, specialmente quando li trasportiamo in studio e li coinvolgiamo in una discussione che riguarda la loro vita professionale. La trasmissione del resto ha proprio questo obiettivo: parlare di lavoro con equilibrio e approfondimento, partendo dalla vita reale delle persone. E ci stiamo riuscendo: nelle prime due puntate sono emersi molti aspetti sui problemi legati al lavoro e sulle opportunità che il mercato offre.
La prima critica che è stata fatta alla trasmissione è che la formula del reality non sarebbe adatta a un argomento serio come la ricerca di lavoro
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Non parlerei di "formula reality", non è il termine giusto. Questa trasmissione non crea prove fittizie, occasioni fittizie, come di solito fanno i reality: si limita a seguire il percorso di selezione di un'azienda, mettendolo sotto le telecamere. C'è ovviamente lo sguardo e il commento "televisivo", ma cerchiamo di farlo nella maniera più discreta possibile. Semmai il problema del programma è quello di essere molto lento. E poi i mestieri che portiamo in tivù spesso non hanno profili affascinanti, non sono glamour: se nella seconda puntata abbiamo avuto i designer, nella prima si trattava di semplici televenditori. E nelle prossime avremo altre posizioni professionali legate alla vendita, una in un ottico, un'altra in un negozio: vogliamo stare sui mestieri di tutti i giorni, e questi sono effettivamente quelli più offerti.
La seconda critica è che il programma sarebbe uno spot all'azienda che di volta in volta è protagonista della puntata.
Ma questo non è proprio lo spirito. Le aziende sono le protagoniste insieme ai candidati, per cui è naturale che appaiano il capo del personale, il tutor, così come si vede la sede dell'azienda perché è lì che i ragazzi fanno lo stage. Ma noi facciamo di tutto per non far vedere marchi, per non "indugiare". L'azienda è presente nella puntata, ma non mi sembra proprio il caso di parlare di spot: non vendiamo certo i loro prodotti.
Come avete selezionato le aziende che partecipano? Sulla base di quali criteri?
Non mi sono occupata personalmente di questo aspetto, so che c'è stato un lungo lavoro della produzione in collaborazione con Giordano Fatali, il presidente di HR Community, che ha messo a disposizione i suoi contatti con queste aziende. Poi è stata fatta una selezione in base a vari criteri: molte sono state scartate perché ritenute non idonee per qualche motivo particolare, altre non hanno dato la loro disponibilità, non avevano interesse a partecipare a questo progetto. Quelle che hanno accettato hanno anche fatto una scommessa, in un certo senso: si tratta sempre di un format originale, quindi non c'erano dati basati sui risultati dello stesso programma in altri Paesi.

Il programma comincia nel momento in cui l'azienda comunica la rosa dei tre candidati. Perché non mostrare anche la fase di selezione dei cv?
Ne abbiamo discusso, perché effettivamente sarebbe stato interessante seguire anche quella parte. Ma abbiamo dovuto fare una scelta: se avessimo incluso anche quella fase preliminare, la trasmissione sarebbe diventata davvero lunghissima. E sarebbe stata molto diversa anche dal punto di vista produttivo: per documentare quella fase avremmo dovuto cominciare a entrare con le telecamere nelle aziende mesi prima, sin dall'inizio della fase della selezione, seguire tutti i colloqui, sarebbe stato un altro tipo di narrazione. Abbiamo scelto di arrivare alla fine, seguire la fase della settimana di stage. E già così è lungo!
Nelle prime due puntate i concorrenti erano due uomini e una donna, e in entrambi i casi è stata la donna a spuntarla [nell'immagine a fianco, il momento della firma della vincitrice Mariachiara Russo al termine della seconda puntata]. C'è un perché?
Come hanno detto il professor Martone e la nostra filosofa in studio, in generale le donne sono più preparate, escono dagli studi con i voti migliori. Però poi vengono penalizzate: stipendi più bassi, problemi legati alla tutela della maternità. Il nostro mercato del lavoro certamente non le aiuta a lavorare. Ma nel momento in cui competono alla pari con altri colleghi uomini, spesso sono più valide: non mi stupisce insomma che le aziende protagoniste delle prime due puntate abbiano valutato che tra dei sei candidati, le due donne fossero le più idonee. Mi fa piacere.
All'inizio della prima puntata lei ha fatto una battuta: «Un contratto a tempo indeterminato è la prima volta che lo vedo». L'ambito televisivo infatti è precario per eccellenza. Dedichete per caso una delle prossime puntate a una posizione in un'azienda dell'ambiente televisivo - giornalistico - artistico?
La prima tranche del programma prevede otto puntate, quindi altre cinque oltre alle due già andate in onda e a quella di stasera. In queste prime otto non ci sono aziende appartenenti a quel settore: abbiamo privilegiato come dicevo aziende più "standard". Se il programma andasse avanti con una seconda stagione, potremmo anche ampliare il raggio.
In trasmissione non viene esplicitato l'ammontare dello stipendio connesso al contratto. Come mai?
Penso che questo sia legato a una questione di privacy delle persone che partecipano al programma, per non rendere pubblico il loro futuro stipendio. Voi pensate che sia un aspetto importante?
Sì, la Repubblica degli Stagisti pensa che sia fondamentale. Il telespettatore da casa vede il concorrente che sta firmando il contratto, eppure non sa quale retribuzione prevede quel contratto.
È vero, in un'ottica di trasparenza potrebbe essere utile. Farò presente questo aspetto in redazione.
Qual è l'aspetto più difficile per il conduttore nel gestire una trasmissione come questa?
Il fatto che sia "ibrida". C'è una parte di talk show atipico, in cui le discussioni scaturiscono dalla visione dei filmati e si parla di "materia viva", delle storie di vita dei tre candidati. Gli ospiti sono fissi e commentano sempre lo stesso argomento, il lavoro: ma declinandolo di volta in volta, puntata dopo puntata, sulle esperienze specifiche delle persone che hanno di fronte. È molto complicato gestire l'interazione tra i giovani, gli ospiti, i filmati. Ma la cosa bella e stimolante sta proprio lì, nel fatto che i protagonisti non sono personaggi televisivi: sono persone vere.
I risultati di ascolto sono stati per le prime due puntate un po' deludenti. La formula verrà ritoccata?
La missione di questo programma non è far volare gli ascolti: è tentare di parlare di lavoro, con un linguaggio comune ma senza banalità. La7 ha voluto scommettere su una formula sperimentale; se avesse voluto far schizzare lo share avrebbe puntato su un "reality al massacro", in cui i concorrenti si scotennano pur di vincere il posto di lavoro. Abbiamo cercato un taglio molto diverso, meno facile, meno premiante dal punto di vista degli ascolti. Ma essendo le prime puntate della prima serie di un format assolutamente originale, tutto è perfettibile: le cose si migliorano strada facendo.

Intervista di Eleonora Voltolina

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