La Repubblica deli Stagisti incontra Claudia Cucchiarato, 31enne giornalista e autrice del libro Vivo altrove (Bruno Mondadori).
La fuga dei giovani dall'Italia è fisiologica o deve preoccupare?
In un momento di globalizzazione economica, proliferazione dei voli low-cost, sviluppo del tele-lavoro, la partenza dei giovani da tutti i Paesi del mondo è fisiologica. La fuga dei giovani dall'Italia è preoccupante perché riguarda una fetta grandissima della popolazione, di tutte le regioni e di tutte le estrazioni sociali ed economiche; tuttavia, allo stesso tempo, queste partenze in massa non vengono controbilanciate da un flusso in ingresso di persone delle stesse caratteristiche, come succede in tutti gli altri Paesi industrializzati.
All'estero i giovani italiani trovano migliori opportunità di lavoro e stipendi più alti: verità o leggenda?
Nella maggior parte dei casi è una verità, ma ci sono anche le leggende. Barcellona, per esempio, non è il miglior posto in cui migrare soprattutto in questo momento per trovare lavoro, manca anche per gli autoctoni, eppure tutti i giorni ricevo almeno una mail di qualcuno che ha deciso di venirci comunque. Le fughe spesso non sono solo per questioni economiche o professionali, ma anche in virtù di una qualità della vita migliore. Detto questo, nella maggior parte dei casi fuori dall'Italia essendo “nessuno” è più facile trovare un lavoro qualificato e ben pagato se si ha voglia di lavorare e una buona preparazione.
Nel suo libro c'è anche chi finisce a fare il cameriere: ma allora vale davvero la pena di andarsene?
Sì: perché quello che non c'è in Italia non è solo il lavoro, ma soprattutto le condizioni di libertà minime per sentirsi persone. La produzione culturale di una città come Londra, la multietnicità di una città come Berlino, il clima e la qualità della vita a basso costo di una città come Barcellona o Madrid, sono tutti fattori che incidono molto nella decisione di tagliare la corda e trasferirsi in un posto in cui stare meglio, sentirsi liberi di vestirsi come si vuole o uscire con la persona che si ama, maschio o femmina che sia. È anche l'apertura della società e il grado di civiltà di un Paese a rendere più appetibile la maggior parte dei posti che esistono nel mondo, o almeno in Europa, rispetto all'immobile e spesso insopportabilmente bigotta società italiana.
Con Sergio Nava, autore del blog Fuga dei Talenti e del libro omonimo, avete lanciato un paio di mesi fa il Manifesto degli Espatriati: in cosa consiste questa iniziativa?
Io e Sergio ci siamo conosciuti qualche mese fa per la presentazione del mio libro a Milano e ci siamo trovati subito d’accordo nel pensare che era ora di smettere di lamentarsi o limitarsi a raccogliere lamentele nei nostri rispettivi spazi web. Abbiamo quindi deciso di allearci e di passare dalle parole ai fatti, riassumendo tutto quello che dell’Italia non piace alle persone che abbiamo intervistato negli ultimi anni. Il Manifesto degli Espatriati raccoglie in nove punti queste considerazioni e si conclude con un decimo punto, in cui i firmatari si impegnano a lavorare affinché queste “pecche” del sistema Italia vengano risolte. In poche settimane abbiamo già raccolto mille firme.
Il Manifesto può essere sottoscritto solo da chi è andato a vivere all'estero. E se qualcuno rimasto in Italia volesse darvi sostegno, come potrebbe farlo?
Chi vive in Italia non può per definizione sottoscrivere un Manifesto degli Espatriati. Però quotidianamente sia io che Sergio riceviamo commenti nei nostri blog sul Manifesto, gli italiani che vivono in Italia o chiunque altro può commentare l'iniziativa nei post dedicati al Manifesto sui siti Vivo altrove e Fuga dei Talenti.
Quali sono oggi i tre-quattro Paesi che consiglierebbe a un aspirante espatriante?
Io continuo a consigliare la Spagna a chi vuole fare un'esperienza di vita stimolante dal punto di vista della libertà di espressione o della qualità della vita a basso costo. Sicuramente la Germania in questo momento è il Paese in cui si trova più facilmente lavoro, anche se Berlino è la città con il tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti in Europa, chi ci va oggi lo fa per mettere in piedi una propria impresa o per fare lavori di tipo artistico. Gli Stati Uniti e l'Inghilterra, come anche l'Olanda, sono posti sicuramente molto aperti e accoglienti per giovani molto preparati come di solito sono gli italiani.
A livello europeo, l'Italia è il paese peggiore dal punto di vista delle opportunità offerte ai giovani, o ci sono posti dove si sta ancora peggio?
Dipende da che tipo di Paesi vogliamo prendere in considerazione. Sicuramente ce ne saranno di posti anche in Europa in cui i giovani non vengono valorizzati, eppure tra tutte le interviste che ho fatto per il libro, le storie che ho raccolto nel blog e nel sondaggio lanciato nel sito di Repubblica a ottobre (oltre 25mila testimonianze raccolte), pochissime persone mi hanno detto di aver trovato società di arrivo poco propense a vedere le giovani generazioni come una risorsa. Ovunque i giovani sono il futuro da coltivare, non una minaccia da mettere sotto giogo, come spesso sembra accadere in Italia, dove abbiamo la classe politica, dirigente, insegnante più anziana del mondo. Un record almeno ce l'abbiamo, sarà pur per qualcosa. Io credo che sia perché quando si ha addirittura un presidente del Consiglio che, aiutato dalle televisioni che possiede, vende la vecchiaia come una malattia più che come una tappa fisiologica della vita, allora è inevitabile che i giovani vengano guardati con un mix di invidia e timore.
Lei vive da cinque anni a Barcellona. Tornerebbe?
Per il momento non ho intenzione di tornare, sarebbe strategicamente e professionalmente sbagliato per diversi motivi. Eppure il motivo principale per cui in questo momento non tornerei è perché la mia vita ormai è qui, il mio fidanzato, la mia “famiglia” acquisita, i miei amici... Mi manca moltissimo la mia famiglia naturale, ma ci metto meno tempo e spendo meno soldi io a tornare da Barcellona a Treviso con un volo low-cost di quello che ci mette mio fratello a tornare da Milano a Treviso in treno. E poi sono del parere che esista un tempo di permanenza all'estero (di solito 4-5 anni), superato il quale tornare indietro diventa veramente difficile, soprattutto dopo aver constatato che in tutti questi anni poco o nulla è cambiato nel Paese d'origine. E in Italia negli ultimi cinque anni secondo me non solo non è cambiato nulla di quello che non mi piaceva, ma se possibile sono pure peggiorate molte cose. C'è un sacco di lavoro da fare, bisognerebbe iniziare subito o aver iniziato ieri.
Intervista di Eleonora Voltolina
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