Nell’immaginario collettivo il regno degli infermieri sono corsie e sale operatorie. Angeli custodi dei pazienti in reparto, oltre che di medici e chirurghi. Ma è un’idea destinata a cambiare, almeno un po’. Perché se il posto di lavoro sembra assicurato quasi al 100%, il loro “destino”, così come quello delle molte professioni sanitarie o collegate alla riabilitazione, sarà sempre più fuori dai poli ospedalieri. Per ora e prevedibilmente anche in futuro, comunque, studiare queste materie garantisce una prospettiva economica molto migliore rispetto ad altri indirizzi universitari: le statistiche raccontano retribuzioni ben al di sopra della media. Ma c'è anche qualche ombra: contratti al ribasso e condizioni occupazionali non in linea con i contratti nazionali sono in molti casi un rischio concreto per i liberi professionisti che collaborano con le cooperative.
Il rapporto Almalaurea 2015 incorona le professioni medico-sanitarie, ponendole in vetta alla classifica delle chance occupazionali. A cinque anni dalla laurea magistrale, il tasso di occupazione sfiora la totalità (97%), con stipendi netti medi tra i 1600 e i 1700 euro. Un sogno se si considera la media retribuitiva dei giovani sotto i 30 anni, basti pensare che per indirizzi come quello psicologico, fanalino di coda, la prospettiva di stipendio si ferma ad appena 962 euro mensili.
È un'istantanea che nasconde però molti dettagli. Per capire come orientarsi al meglio, la Repubblica degli Stagisti ha chiesto aiuto alla Federazione degli Infermieri (Ipasvi) e agli atenei di Verona e del Piemonte Orientale, in vetta all’ultima classifica Censis rispettivamente per infermieristica e medicina, grazie a un’offerta didattica di qualità, improntata in entrambi i casi a esperienze formative molto pratiche e professionalizzanti.
Cambia la società, cambiano le esigenze del territorio. E l’assistenza sanitaria, così come la conoscevamo fino ad oggi, deve andare incontro a nuovi bisogni. Un fatto su tutti: l'invecchiamento della popolazione, con la richiesta di un'assistenza sempre più capillare (per riabilitazione, malattie croniche, …) e di prestazioni specialistiche vicine ai cittadini. Il futuro prossimo, non a caso, è la figura dell’infermiere di famiglia, prevista dall’Organizzazione mondiale della sanità, e su cui molte Regioni stanno già lavorando. Andando nel dettaglio, alcune professionalità sembrano trovare più spazio di altre: «Vanno molto bene tutte le professioni legate alla riabilitazione, compresi fisioterapisti e logopedisti», evidenzia Luisa Saiani, docente di scienze infermieristiche all'università di Verona e presidente del Comitato Scientifico del Master Universitario in Metodologie tutoriali e di coordinamento dell’insegnamento clinico nelle professioni sanitarie e sociali. «I corsi di infermieristica sono ormai entrati a pieno titolo nel panorama accademico, producendo un'abbondanza di professionisti sanitari che possono trovare sbocco anche e soprattutto nel privato», aggiunge Saiani. «Cliniche, case di riposo, studi professionali: sono tutte realtà che compensano bisogni privati di cronicità, di sostegno a lungo termine e che traggono molto beneficio dallo sviluppo di queste professioni sanitarie». Il blocco del turn over, tra l’altro, dura ormai da cinque anni nel settore pubblico, «ma non c'è più l'attenzione di un tempo per il posto fisso». A fare più fatica, ostetrici e tecnici di radiologia: «Ce ne sono molti. Per questo credo facciano più fatica a trovare lavoro», osserva la docente veronese.
La prova del nove, un'altra ricerca del Censis: l'anno scorso le prestazioni infermieristiche erogate fuori dagli ospedali sono state 8,7 milioni, per un valore di 2,7 miliardi di euro. Anziani, malati cronici e persone non autosufficienti richiedono un'assistenza sempre maggiore e, soprattutto, regolare. Il che rende le professioni sanitarie molto appetibili, anche solo dopo la triennale: secondo Almalaurea infatti, a un anno dalla triennale oltre il 92% dei laureati non è iscritto a un corso specialistico né ad un altro corso triennale, mentre il 61% risulta già occupato (con un guadagno medio, in questo caso più basso, intorno ai 1160 euro netti). «I corsi specialistici in questo settore danno competenze gestionali e di coordinamento. Per questo anche solo la triennale funziona molto bene, magari abbinata a un master specialistico», conferma Giorgio Bellomo, presidente della Scuola di Medicina dell'università del Piemonte Orientale. «Si creano così figure molto richieste. Da noi, ad esempio, i master in ambito oncologico, come quello di primo livello in "Accessi venosi centrali per le Professioni Mediche e Infermieristiche", fanno sempre il pieno».
«C'è bisogno di infermieri e il rapporto Almalaurea ne dà la prova», conferma Barbara Mangiacavalli, presidente di Ipasvi, la Federazione nazionale di categoria. «Infermieri che tuttavia devono fare i conti, soprattutto all'inizio della carriera, con blocchi e paletti che spesso li costringono a optare per alternative al tempo indeterminato». Nel pubblico, il turn over sconta un blocco in corso ormai da cinque anni e i sotto-occupati o disoccupati sono tra i 25 e i 30mila, secondo stime Ipasvi, su una categoria che conta 423mila professionisti. Anche per questo, chi non trova spazio nel pubblico molto spesso si affida a cooperative che “appaltano” professionisti alle strutture pubbliche. Rischiando stipendi risicati.«Premesso che ci sono cooperative ottime, che offrono condizioni di lavoro adeguate, non possiamo chiudere gli occhi su un fenomeno che vede grandi squilibri, anche geografici», avverte non senza preoccupazione Luigi Pais, presidente del collegio Ipasvi di Belluno, membro della Commissione nazionale Ipasvi Libera Professione. E da libero professionista, titolare di uno studio di infermieristica legale-forense. «Secondo i nostri riscontri, ad esempio, se in una casa di riposo nel Nordest un infermiere libero professionista può essere pagato tra i 24 e i 30 euro l’ora, al Centro-Sud registriamo casi di compensi anche di 6-7 euro l’ora. L’ultimo tariffario, quello del 2002, proponeva un compenso minimo di 23 euro l’ora». Qualche stima sul fenomeno? «Difficile dare cifre sicure. Consideriamo però che gli iscritti come liberi professionisti alla nostra cassa previdenziale sono circa 40mila. E nella stragrande maggioranza sono infermieri singoli. Facile ipotizzare che, per lavorare, si affidino alle cooperative», evidenzia Pais. Ma perché gli infermieri si appoggiano a loro? «È un problema culturale: l’infermiere fa fatica a riconoscersi come professionista singolo o associato in uno studio, come invece è naturale per altri», riflette Pais. «Uno studio associato può negoziare le condizioni migliori per i suoi soci. Ma tutto questo presuppone un’evoluzione verso una mentalità più imprenditoriale. Ci vorrà tempo, forse qualche decennio, perché anche gli infermieri imparino a presentarsi come società solide e non solo come professionisti di valore».
Maura Bertanzon
(nella foto in alto, da Flickr: infermiere durante la guerra russo-giapponese 1904-1908)
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