Katia Nesci
Scritto il 16 Mar 2016 in Approfondimenti
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Mostrarsi migliori di quel che si è: la tentazione c'è, sopratutto quando si è in cerca di lavoro e si mandano curriculum a destra e a manca sperando di essere convocati a colloquio. Infiorare di qua, ingigantire di là, minimizzare i punti deboli, inventare qualche esperienza inesistente, trasformare una conoscenza sommaria di una lingua in livello “proficiency”, una semplice consulenza in un ruolo pressoché dirigenziale. Millantare, insomma. Attenzione: potreste essere scoperti. Perché le aziende, sopratutto quelle più grandi, ricorrono sempre più spesso a una pratica poco conosciuta: la verifica delle informazioni. In gergo tecnico si chiama “indagine preassunzionale” e nella versione evoluta “profilazione”.
In un periodo come questo, in cui c’è molta offerta di forza lavoro e relativamente poca richiesta, la corrispondenza con le caratteristiche psicologiche e attitudinali ritenute necessarie per una data posizione aperta è, sempre di più, considerata un pre-requisito essenziale nell’ambito della selezione del personale.
L’attività di profilazione del candidato, svolta dagli esperti delle risorse umane su elaborazione delle informazioni personali reperibili in rete e in particolare analizzando le interazioni sui social network, serve a valutare il grado di affinità tra il profilo ideale ricercato dall’azienda e quello del candidato. Ciò significa che se non si gestisce in maniera saggia la propria presenza online, in tutti gli ambiti raggiunti dai motori di ricerca, il rischio è di non poter accedere alla fase di valutazione relativa alle competenze professionali.
«La profilazione è considerata un trattamento particolarmente rilevante e delicato dal Codice della Privacy proprio per la sua peculiarità di invasività, volta alla ricostruzione di un vero e proprio profilo del soggetto interessato, al fine di ricavarne giudizi e valutazioni relativi alla selezione lavorativa» spiega alla Repubblica degli Stagisti Francesco Traficante, esperto di data protection e privacy online e fondatore della società Microell che offre questi servizi dal 1999: «Per questo sarebbe d’obbligo la notificazione preventiva ai sensi dell’articolo 37 del Codice della Privacy. La corretta procedura di selezione dovrebbe svolgersi fornendo al candidato idoneo consenso informato, in cui siano esplicitamente indicate le finalità di trattamento dei dati, le eventuali modalità delle attività di profilazione, le fonti di raccolta dei dati personali, social e motori di ricerca ad esempio e la potenziale presenza di esperti in selezione del personale, o comunque di soggetti terzi coinvolti». Tutto ciò per ora accade solo in alcune aziende multinazionali, quelle in cui vige una policy di forte trasparenza in merito all’iter selettivo ed è prevista la firma, in sede di colloquio, di documenti di manleva o autorizzazione ad hoc per lo svolgimento di questa tipologia di approfondimenti informativi. Nel resto dei casi si fa (forse un po' sbrigativamente) riferimento all’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai sensi del decreto legilsativo 196/2003, quello appunto citato da Traficante, la dicitura che inseriamo in fondo al cv.
Dal 2018, con l’arrivo dell’atteso nuovo regolamento europeo in materia di data protection, la notificazione preventiva - nell’ottica di un alleggerimento degli oneri burocratici dell’impresa - probabilmente non sarà più obbligatoria. Verranno invece introdotti nuovi istituti e tutele rafforzate per garantire la conformità di questi delicati processi.
Ma nel frattempo meglio imparare in fretta come salvaguardare la propria reputazione da incursioni non gradite. Quali sono gli aspetti a cui bisognerebbe prestare maggiore attenzione quando si interagisce sui social network? «Una risposta univoca non è possibile perché dipende dalle caratteristiche desiderate nel profilo ricercato» suggerisce Traficante: «Possono però essere parametri importanti i toni e i contenuti che veicoliamo sui social, il nostro orientamento politico, eventuali attività di volontariato e anche le passioni sportive che, se troppo estreme, vengono ritenute indici di aumentata possibilità d’infortunio con conseguente assenza lavorativa». Insomma un appassionato di parapendio potrebbe essere scartato, in una selezione, perché ritenuto a rischio più di un pigro con l'hobby del collezionismo di francobolli. «L’unico strumento efficace per autotutelarsi risulta una corretta e specifica configurazione della privacy di tutti gli account, in modalità privacy by design e cioè avendo cura di impostare secondo le nostre esigenze i parametri di visibilità di ogni elemento che rendiamo pubblico» continua Traficante «con la consapevolezza che potrà essere utilizzato per valutazioni del nostro profilo professionale. Oppure si può optare per la totale assenza dal web, alternativa però ormai difficilmente praticabile nell’era di internet».
Le attività tradizionali di verifica delle informazioni del cv e quelle più specifiche relative alla profilazione vengono in molti casi affidate a società esterne per un esito obiettivo e professionale e una maggiore tutela del candidato. Ad Anna Vinci, consulente legale in Axerta spa, un'agenzia che si occupa proprio di investigazioni aziendali in Italia, la Repubblica degli Stagisti ha chiesto quanto siano diffuse effettivamente queste pratiche nel mercato del lavoro italiano. La risposta è stata sorprendente: ben il 60% delle aziende interpellate ha utilizzato nel 2015 queste prassi, nel 43% dei casi elaborando la verifica internamente e nel 37% affidandola a consulenti specializzati.
Le cosiddette indagini preassunzionali, così sono definite in gergo tecnico le attività di verifica dell’esattezza delle informazioni riportate nel cv, con riscontri sulla reputazione nei precedenti posti di lavoro del candidato e note ricavate dai suoi profili social on line, costituiscono il 4% del fatturato di Axerta. I costi di questo tipo di servizi per le aziende vanno da poche centinaia di euro per i profili standard, fino a 2-3mila euro per il top management. Insomma, un investimento che le aziende scelgono di fare, pur di essere sicure di capire bene chi hanno davanti. É il segno che sempre più le persone vengono selezionate e giudicate per quello che sono, e non soltanto per ciò che sanno o che hanno fatto nella propria vita professionale. Un bene o un male?
Katia Nesci
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