«L'università sta diventando la più grande fabbrica di precarietà». A denunciarlo è Domenico Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil, sigla sindacale di rappresentanza dei lavoratori della conoscenza. Con la Repubblica degli Stagisti, Pantaleo commenta i risultati di 'Ricercarsi', indagine appena pubblicata sui percorsi di vita dei ricercatori italiani, per lo più impantanati in una precarietà che li ingabbia a vita. Perché è difficilissimo uscirne. «Con la legge 240 del 2010 approvata dalla Gelmini si era creduto che con il superamento della figura del ricercatore a tempo indeterminato, il vuoto lasciato sarebbe stato colmato dai professori associati». Invece il risultato è stato ben lontano dalle previsioni, portando a un fortissimo impoverimento del personale universitario. Lo testimoniano i dati più recenti: nel 2014 a una fuoriuscita di circa 2324 unità, si sono sostituiti solo 141 contratti di ricercatori a tempo indeterminato di tipo B, quelli cioè che si tramuteranno in un contratto da professore.
Nel frattempo a crescere – in maniera «esponenziale» sottolinea lo studio – sono state invece le figure più precarie, tanto che i soli assegnisti sono passati dai 6mila del 2004 ai 14mila del 2014. E la fuoriuscita dal sistema accademico di quelle che possono definirsi le frange della ricerca precarie per eccellenza – dottorandi, assegnisti e borsisti – ha toccato quota 93%. La quasi totalità, di fronte a un 6,7% di assunzioni. Il quadro è «quello di una università che negli ultimi dieci anni ha sostituito stabilmente personale strutturato della docenza e della ricerca con precari» si legge nello studio. L'approdo è stato verso «un'università sottodimensionata», destinata in sostanza a perdere alcune delle sue roccaforti, magari «gli atenei più deboli» ipotizza Pantaleo. Senza contare che l'assenza di professori fa sì che «ormai la funzione didattica sia assegnata ai ricercatori stessi».
Il problema inizia a farsi sentire proprio a un passo dalla scadenza di «quei contratti da assegnisti di ricerca la cui durata non può superare i quattro anni». E che si esauriranno con l'anno che viene, essendo partiti nel 2010. «Per questi giovani e ormai non più giovani studiosi scarseggiano i posti da ricercatore, sia precario che stabile, e si profila un'espulsione dal mondo universitario» ribadisce l'indagine. Non solo. Lo stesso accadrà l'anno successivo anche per «i contratti da ricercatore a tempo determinato di tipo A per cui arriveranno a scadenza i cinque anni, previsti sempre dalla legge 240/10, senza che ci siano reali possibilità di ingresso stabile nell'università».
La colpa non è però da attribuire ai soli governi del passato. Anche questa legge di stabilità ci mette del suo. Tutto grazie al comma 29 dell'articolo 28, che – a detta del sindacato – «favorisce la proliferazione di contratti precari». «Per poter reclutare un'università ha bisogno di 'punti organico'» spiega Pantaleo «che sono determinati in base a una serie di parametri: per esempio deve essere mantenuto un rapporto tra spesa e personale». Di conseguenza, è chiaro che se «un ordinario vale un punto organico, un associato 0,7 e un ricercatore di tipo A 0,5» come fa sapere il report, la convenienza è tutta per le tipologie più precarie, quelle a cui è associato un minor punteggio.
Il rischio sarebbe ancora più alto nel caso venisse approvata la norma che punta a eliminare «il vincolo di attivazione di un ricercatore a tempo determinato di tipo B, l'unico con prospettiva di stabilizzazione, a fronte dell’assunzione di un nuovo ordinario». La filosofia di fondo sarebbe quella di «creare un sistema di premialità» aggiunge Pantaleo «ma è impossibile se non vengono stanziate risorse in più, e anzi talvolta si applicano persino dei tagli». Uno scenario dunque sempre più nero per i ricercatori, tanto che il 60% dei dottorandi intervistati – quelli ancora ai primi passi della carriera accademica – dichiarano nel sondaggio di considerare la possibilità dell'espatrio come molto probabile.
La proposta della Fcl Cgil per instaurare un modello di ricerca sostenibile è duplice. Per il breve periodo «superare il limite temporale dei quattro anni per gli assegni di ricerca e dei cinque per i ricercatori a tempo determinato di tipo A fino alla definizione di un nuovo meccanismo di reclutamento» scrivono gli autori di 'Ricercarsi'. Un provvedimento insomma che metta a salvo l'università per qualche anno. In prospettiva si dovrebbe poi «avviare un profondo ripensamento del sistema di reclutamento». E dunque cancellare «le figure a cavallo tra il dottorato di ricerca/specializzazione e l’accesso al ruolo della docenza». Una posizione analoga a quella dell'associazione dei dottori di ricerca Adi, che chiede infatti di abolire il contratto di assegno di ricerca e la sostituzione di tutte le figure intermedie con una unica che avvicini poco a poco alla docenza, corredata dalla clausola della tenure track – il collegamento con la cattedra in sostanza. O ci sarà un grande piano di assunzioni stabili che «inverta questa tendenza distruttiva» sottolineano dalla Fcl Cgil, o a essere in dubbio sarà «la tenuta del sistema universitario».
Ilaria Mariotti
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